sabato 9 Maggio 2009

Il ritorno dello Pseudo-Venantius
Un giorno uno studente di lettere classiche andò a chiedere la tesi a un professore potente e indaffarato. Il professore, giudicando con un’occhiata che lo studente non sembrava destinato a niente di particolare nella vita, gli assegnò una tesi sullo Pseudo-Venantius. Lo studente ci rimase male, perché una tesi sullo Pseudo-Venantius non aveva mai aperto la carriera di nessuno, ma era intimorito dal professore e non obiettò. Cominciando a studiare il poco materiale a disposizione, rimase affascinato dall’abisso di oblio in cui può cadere un essere umano, questo animale dotato di memoria. Si appassionò allo Pseudo-Venanius, dedicandosi alla tesi giorno e notte. Fece viaggi lunghissimi, ricerche massacranti, collazioni di testi che avrebbero sfiancato un’abbazia di filologi. Gli anni volarono via, i genitori trapassarono, i suoi amici fecero in tempo a sposarsi e a divorziare, il professore morì d’infarto tra le braccia di una studentessa, l’università venne trasferita, i confini della nazione furono modificati, ma lo studente continuava a lavorare alla sua tesi, abbagliato dallo Pseudo-Venantius come da una luce oscura, destinata solo a lui. Finì a fare un lavoro ignobile in una città volgare, miope e solo, poverissimo e disprezzato, felice di essere morto al mondo, in compagnia del suo segreto, della sua felicità, del suo autore.
[L’accalappiacani numero 3, cit., pag. 88]
giovedì 7 Maggio 2009

Vita e opere dello Pseudo-Venantius
Lo Pseudo-Venantius è l’autore più sconosciuto della tarda antichità. Il secolo che l’ha visto nascere è incerto, il suo borgo natale è stato raso al suolo, della sua vita non si sa niente e le sue opere, di cui non si conosce affatto il contenuto, non hanno mai interessato anima viva. Nessuno, del resto, si è mai dato la minima pena di conservarle. Gli autori medievali che lo citano si confondono sempre con qualcun altro che ha un nome che gli somiglia e gli fanno dire cose che molto probabilmente non avrebbe mai detto neanche per sbaglio. I pochi frammenti che gli si potrebbero assegnare sono stati per secoli attribuiti a quegli altri autori che hanno un nome che gli somiglia e gli studiosi di quegli altri autori non intendono cedere una virgola allo Pseudo-Venantius. Di lui non si sa cosa pensava, non si sa cosa voleva, non si sa se era felice o infelice, laico o chierico, scapolo o ammogliato, se era di tendenze suicide o se aveva un motivo qualsiasi per stare al mondo. Pare che dopo qualche giorno passato senza vederlo non lo riconoscessero nemmeno gli amici. L’unica testimonianza certa rimasta di lui è che una volta suo padre, incontrandolo sulle scale di casa, gli chiese: “E tu chi sei?”
[L’accalappiacani numero 3, cit., pag. 79]
mercoledì 6 Maggio 2009

– Mi ha svegliato il rumore che proveniva da fuori, un rumore sordo come di qualcuno che batte su delle assi di legno. Sono uscito dall’armadio e mi sono diretto verso la porta.
– Delle volte la domenica mentre allungo il piatto da brodo a mia madre perché lo riempia di cappelletti, mentre mio padre stappa la bottiglia di vino bianco con un occhio al telegiornale, mi viene da fare un pensiero.
– Poi diceva Vado dentro a ballare: andava dentro e poco dopo era già di nuovo lì fuori vicino a me. Poi mi diceva che aveva appena visto un film di De Sica.
– Anche se ormai adesso parlan tutti di calcio, anche i professori.
[L’accalappiacani, Settemestrale di letteratura comparata al nulla, numero 3, Roma, DeriveApprodi 2009, 128 pagine, 12 euro, badante grafico Timofej Kostin]