venerdì 30 Marzo 2018
Se solo la vittima ha valore, se solo la vittima è un valore, la possibilità di dichiararsi tale è una casamatta, una fortificazione, una posizione strategica da occupare a tutti i costi. La vittima è irresponsabile, non risponde di nulla, non ha bisogno di giustificarsi: il sogno di qualunque potere. Nel suo porsi come identità indiscussa, assoluta, nel suo ridurre l’essere a una proprietà che nessuno può disputarle, realizza parodicamente la promessa impossibile dell’individualismo proprietario. Non a caso è oggetto di guerre, nella pretesa di stabilire chi è più vittima, chi lo è stato prima, chi più a lungo. Le guerre hanno bisogno di eserciti, gli esercii di capi. La vittima genera leadership. Chi parla in suo nome? Chi ne ha diritto, chi la rappresenta, chi ne trasforma l’impotenza in potere? Può veramente parlare il subalterno? Se lo è chiesto Gayatri Spivak in un saggio famoso. Il subalterno che sale alla tribuna in nome dei suoi simili è ancora tale o è già passato dall’altra parte?
[Daniele Giglioli, Critica della vittima, Milano, Nottetempo 2014, pp. 10-11]
martedì 27 Febbraio 2018
Subito prese la parola un autore di romanzi e di versi ispirati ai canoni del realismo socialista, composti in buona parte dopo la morte di Stalin. Era iscritto al partito fin dal liceo.
A sorpresa, mettendo da parte ogni buon senso, citò il celebre passo della lettera di Voltaire a Helvétius: “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. “Questa frase magnifica,” disse lo scrittore, membro del Partito Comunista ai suoi colleghi, “è il fondamentale principio etico della cultura moderna. Chi volesse tornare ai tempi anteriori a questo concetto si ritroverebbe direttamente nel Medioevo”. (Era Milan Kundera).
La platea, a detta dei testimoni, restò senza fiato, mentre il segretario pelato, che aveva lanciato l’appello all’alleanza della letteratura con l’Urss, serrò con forza le labbra.
Le foto del Congresso ritraggono quattrocento e passa scrittori seduti ai tavoli in manche di camicia. Si sono tolti le giacche e gesticolano animatamente.
[Mariusz Szczygieł, Gottland, traduzione di Marzena Borjczuc, Roma, Nottetempo 2009, pp. 143-144]
martedì 27 Ottobre 2015
C’è speranza ma non per noi.
Franz Kafka
[Giorgio Agamben, L’avventura, Roma, Nottetempo 2015, p. 69]