Le ragazze

domenica 27 Dicembre 2015

imgres

E scrive, Stephen King, che «La similitudine zen è uno dei tanti possibili trabocchetti del linguaggio figurato. La più comune (al solito, cascarci dentro dipende spesso da una scarsa quantità di letture) consiste nell’uso di immagini, metafore e paragoni stereotipati. Correre come un pazzo, bella come il sole, furbo come una volpe, forte come un leone… per favore, non infierite su di me, o chiunque altro, con questo vecchiume. Rischiate di sembrare svogliati o ignoranti, il che non gioverà alla vostra reputazione di scrittori.
A ogni modo, – continua Stephen King, – le mie similitudini preferite in assoluto arrivano dalla narrativa hard boiled degli anni Quaranta-Cinquanta e dagli eredi della tradizione pulp. Tra le tante, “Era una notte scura come un grande buco di culo” (George V. Higgins) e “Accendersi una sigaretta [che] aveva il saporaccio di un fazzoletto da idraulico” (Raymond Chandler)».
E adesso, al di là dell’idea delle cose preferite, che io non lo so quali sono le mie similitudini preferite, forse queste qua di Ammaniti e Hotakainen: clic, però, intanto che leggevo questo pezzetto di Stephen King mi è venuto in mente l’inizio di una poesia di Chlebnikov, «Le ragazze, quelle che camminano, con stivali di occhi neri, sui fiori del mio cuore» e un pezzo di Viktor Šklovskij che dice così: «Le sei del mattino. Fuori, nella Kaiserallee, è ancora buio. A te si può telefonare alle 10.30. Quattro ore e mezzo, e poi ancora venti inutili ore, ed in mezzo la tua voce. Mi è odiosa la mia stanza. Non amo la mia scrivania, sulla quale scrivo lettere, solo a te. Sono seduto qui, innamorato come un telegrafista. Sarebbe bello procurarsi una chitarra e cantare».

Una festa

giovedì 10 Luglio 2014

figuracce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scopro in questo momento di essere uno dei personaggi che, nel racconto ilmiolibro.it, di Christian Raimo, pubblicato nella raccolta Figuracce, a cura di Niccolò Ammaniti (Einaudi stile libero 2014, pp. 69-98), partecipa a una festa a New York a casa di Carla Benedetti. Allora siccome io non sono mai stato a casa di Carla Benedetti, e non sono neanche mai stato a New York, non so bene come mi devo comportare.

 

 

Quel che non c’era

lunedì 17 Gennaio 2011

Qualche giorno fa, alla libreria Ambasciatori di Bologna, ho preso, dalla cima di una pila di libri che sarà stata alta un metro e venti, una copia dell’ultimo romanzo di Niccolò Ammaniti, Io e te (Einaudi stile libero big, 118 pagg., 10 euro), e intanto che la prendevo pensavo «Vediamo nelle prime tre pagine che paragoni ha inventato, questa volta».
Pensavo così perché negli ultimi due romanzi di Ammaniti, Come Dio comanda e Che la festa cominci, avevo trovato un uso della lingua, non so come dire, sopra le righe, con riferimenti continui a immagini improbabili o esotiche non so quanto necessarie: c’era un uomo che si lamentava come se gli stessero facendo una rettoscopia; una donna che come un capretto, un Bambi o quel diavolo che era, cominciava ad agitarsi, a urlare, a dimenarsi, a farfugliare; una signora alta e affilata come una mantide religiosa; un’altra piccola e verde come un goblin, che si trascinava dietro un quadrupede che sembrava un diavolo della Tasmania; c’era una scimmia da laboratorio sotto oppio; c’era una testuggine a cui avevano sfilato il guscio e infilato una tunica bianca; una principessa berbera il giorno dell’incoronazione; un profugo ugandese; una sanguisuga infetta; un pigmeo con il verme solitario eccetera eccetera. Continua a leggere »

Le palpebre

lunedì 2 Novembre 2009

che-la-festa-cominci

[Copio qua sotto una recensione al nuovo romanzo di Ammaniti pubblicata ieri su Libero. È un po’ lunga]

Mi sembra che il modo migliore per dare un’idea del romanzo Che la festa cominci, di Niccolò Ammaniti, appena uscito per Einaudi Stile libero (pp. 328, euro 18,00), sia paragonare le metafore e le similitudini usate da Ammaniti e quelle usate dal finlandese Kari Hotakainen nel suo romanzo Via della Trincea (traduzione di Nicola Rainò, p. 366, euro 16,00), appena uscito anche lui per Iperborea. Fare proprio due elenchi.
In Ammaniti: «assomigliava a una testuggine a cui hanno sfilato il guscio e infilato una tunica bianca» (pag. 22); «si copriva di gioielli etnici neanche fosse una principessa berbera il giorno dell’incoronazione» (pag. 49); «in quel momento era spiritoso e vivace come un profugo ugandese» (pag. 118); «Fabrizio si strappò dalla spalla un arancino come se fosse una sanguisuga infetta» (pag. 132); «Elena Paleologo Rossi Strozzi sembrava /…/ un pigmeo con il verme solitario» (pag. 134); «la Somaini emise un verso simile al richiamo del chiurlo in amore» (pag. 135); «da sotto il cappuccio spuntavano /…/ due occhi grigi e freddi come una giornata d’inverno sul mar Caspio (pag. 138); «Fabrizio adorava le donne idiote, si abbeverano alla sua personalità come frisone a un fontanile” (pag. 150); «il libro era salito in vetta alle classifiche con la stessa violenza con cui lo space shuttle entra nella ionosfera» (pag. 152); «una modella era così bianca che sembrava morta da tre giorni» (pag. 162); «per poco non inciampò in una radice spessa quanto un anaconda» (pag. 219); «Sasà Chiatti con i suoi novanta chili ondeggiò e parve resistere all’impatto, ma poi come un grattacielo a cui hanno minato le fondamenta cadde giù» (pag. 271). Continua a leggere »