Sergej Esenin

martedì 19 Febbraio 2019

Tra gli ospiti c’era la poetessa K. La donna piacque a Esenin. Cominciò a farle la corte. Per pavoneggiarsi le propose con semplicità: «Volete vedere una fucilazione? Posso organizzare tutto in un minuto tramite Bljumkin».

[Vladislav F. Chodasevič, Esenin, in Necropoli, a cura di Nilo Pucci, Milano, Adelphi 1985, p. 170]

La rivoluzione?

domenica 7 Maggio 2017

Dritto e altezzoso, in frac, Gumilëv attraversa le sale. Trema anche lui dal freddo, ma distribuisce saluti e inchini con solenne affabilità. Conversa con i conoscenti in tono mondano. Sta giocando al ballo. Tutto il suo aspetto dice: «La rivoluzione? Non è successo niente».

[Vladislav F. Chodasevič, Gumilëv e Blok, in Necropoli, a cura di Nilo Pucci, Milano, Adelphi 1985, p. 31]

Brjusov

domenica 3 Maggio 2015

Vladislav F. Chodasevič, Necropoli

La letteratura gli appariva come una divinità spietata, eternamente assetata di sangue. E per lui si incarnava nel manuale di storia letteraria. Era capace di adorare questo mattone scientifico come una pietra sacra, come l’ipostasi di Mitra. Nel dicembre del 1903, lo stesso giorno in cui compiva trent’anni, mi disse esattamente queste parole: «Voglio vivere perché nella storia della letteratura universale ci siano due righe dedicate a me. E ci saranno».

[Vladislav F. Chodasevič, Brjusov, in Necropoli, a cura di Nilo Pucci, Milano, Adelphi 1985, p. 31]

Comunque

giovedì 11 Settembre 2014

Samuel Vikotorovič Kissin, la persona di cui mi accingo a parlare, non ha in sostanza fatto nulla nel campo della letteratura. Ma vale comunque la pena parlarne, e bisogna farlo, perché, pur essendo un personaggio «a sé», con tutta la sua indole egli esprimeva qualcosa di estremamente caratteristico per l’epoca in cui si svolse la sua breve vita. Lo conosceva tutta la Mosca letteraria tra la fine del Novecento e l’inizio degli anni Dieci. Pur non avendo un ruolo eminente nella vita letteraria, fu tra coloro che crearono lo «sfondo» degli eventi di quei tempi. Tuttavia, per i tratti della sua personalità non fu un «uomo della folla», assolutamente. Era troppo originale e complesso per essere un «tipo». Era piuttosto un «sintomo».
Ci conoscemmo verso la fine del 1905. Samuil Viktorovič viveva allora a Mosca da «povero studente», con i venticinque rubli al mese che gli mandavano da Rybisnk i parenti. Scriveva poesie che pubblicava su una rivistina, «Zori», sotto lo pseudonimo di Muni. Con questo nome Mosca lo conobbe fino alla sua morte (anche se verso la fine cominciò a firmarsi «S. Kissin»). Così lo chiamerò anch’io.
Al principio non ci piacemmo decisamente, ma nell’autunno del 1906 «ci scoprimmo» di colpo e ben presto diventammo amici. I successivi nove anni, fino alla morte di Muni, furono segnati da un’amicizia così leale e da un affetto così saldo da sembrarmi, oggi, miracolosi.
La storia esteriore della vita di Muni è assai semplice. Nacque nell’ottobre del 1885 a Rybinsk, da una famiglia ebrea di modeste condizioni. A Rybinsk frequentò il liceo, poi si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Mosca. Nell’estate del 1909 sposò Lidija Jakovlevna Brjusova, sorella del poeta. Fin dai primi giorni di guerra fu mobilitato, venne arruolato come funzionario semplice, e morì a Minsk il 18 marzo 1916. Le tracce che ha lasciato nella vita, come anche nella letteratura, non sono profonde. Ma poco prima di morire, con quell’ironia che raramente lo abbandonava, mi disse: «Ricordalo: comunque sono esistito».

[Vladislav F. Chodasevič, Necropoli, a cura di Nilo Pucci, Adelphi, Milano 1985, pp. 81-82]

Mentre parlava

sabato 7 Gennaio 2012

Blok lesse per ultimo il suo ispirato discorso su Puškin. Indossava una giacca nera sopra un maglione bianco col collo alto. Muscoloso e asciutto, la pelle del viso arrossata e come arsa dal vento, somigliava a un pescatore. Parlava con una voce un po’ sorda, pronunciando nettamente le parole, le mani ficcate nelle tasche. Ogni tanto si girava dalla parte di Kristi e diceva, scandendo distintamente: «I funzionari sono la nostra plebe, la plebe di ieri e di oggi… Stiamo attenti, potrebbero ricevere un epiteto anche peggiore quei funzionari che vogliono deviare il corso della poesia incanalandola negli alvei da loro stabiliti, attentando alla sua segreta libertà e impedendole di realizzare il suo misterioso disegno». Il povero Kristi era evidentemente sulle spine, continuava a dimenarsi sulla sedia. Qualcuno mi riferì che prima di uscire, mentre si infilava il cappotto in guardaroba, aveva detto ad alta voce: «Non mi sarei mai aspettato da Blok una simile mancanza di tatto».
Ma in quel contesto e sulle labbra di Blok quel discorso suonò non tanto indelicato quanto profondamente tragico e in parte, forse, espiatorio. L’autore dei Dodici affidava alla società e alla letteratura russa il compito di custodire l’estremo retaggio puškiniano – la libertà, sia pure segreta. E mentre parlava, si sentiva che la parete tra lui e la sala stava gradatamente cadendo. Nelle ovazioni che seguirono il suo discorso c’era quella gioia radiosa che sempre accompagna la riconciliazione con una persona amata.

[Vladislav F. Chodasevič, Necropoli, a cura di Nilo Pucci, Adelphi, Milano 1985, pp. 101-102]