Per via di copiare dentro nei libri
C’è un manuale famoso, abbastanza famoso, credo che l’abbiano per lo meno sentito nominare tutti quelli che, negli ultimi trentasei anni, hanno fatto una tesi di laurea, si intitola Come si fa una tesi di laurea e l’ha scritto Umberto Eco, e anch’io, quando ho fatto la tesi di laurea, vent’anni fa, l’avevo letto e mi ricordo che cominciava dicendo che il primo e più semplice modo per fare una tesi di laurea era copiarla. Ecco, anche il primo e più semplice modo di fare un romanzo, è copiarlo, solo che la tesi di laurea, Umberto Eco, ammesso che l’abbia scritto lui, quel libro lì, nel suo manuale consigliava agli studenti che avessero deciso di copiarla, la tesi di laurea, di fare in modo che non se ne accorgesse nessuno, invece un romanzo lo si può copiare apertamente, mi viene da dire, senza preoccuparsi del fatto che se ne accorga qualcuno.
Alla fine del Candido di Sciascia c’è una Nota dell’autore che comincia così:
Dice Montesquieu che «un’opera originale ne fa quasi sempre nascere cinque o seicento altre, queste servendosi della prima all’incirca come i geometri si servono delle loro formule». Non so se il Candide sia servito da formula a cinque o seicento altri libri. Credo di no, purtroppo: ché ci saremmo annoiati di meno, su tanta letteratura. Comunque, che questo mio racconto sia il primo o il seicentesimo, di quella formula ho tentato di servirmi.
[Da Scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti, che esce in agosto per Corraini]