Le radici del loro successo

venerdì 15 Dicembre 2017

Forse da qui nasce, da questa armonia fra le due figure – il grasso e il magro – quella strana forma di “godimento estetico” che spingeva Jean-Pierre Coursodon a individuare le radici del loro successo «in un fatto morfologico indiscutibile: erano belli da vedere, anche separatamente; uniti, erano irresistibili».

[Gabriele Gimmelli, Grandi affari (Big Business, James W. Horne, 1929). Laurel & Hardy e l’invenzione della lentezza, Sesto San Giovanni, Mimesis 2017, p. 61]

Se la filosofia si evolvesse

venerdì 23 Giugno 2017

Spesso si deplora il fatto che la filosofia, nel corso della sua storia, non si sia evoluta, che non abbia prodotto alcun risultato, che non attesti nessun progresso. Sarebbe tuttavia assolutamente disastroso, se la filosofia si evolvesse storicamente, perché, sebbene la situazione del produttore di verità muti nel tempo, quella del consumatore di verità resta invece sempre la stessa. Soltanto l’offerta di verità cambia, non la disperazione del consumatore di fronte a questa offerta. Ogni filosofia autentica non è altro che l’articolazione linguistica di questa disperazione.

[Boris Groys, Introduzione all’antifilosofia, traduzione di Stefano Franchini, Milano Udine, Mimesis 2013, pp. 7-8]

Comprare la verità

giovedì 22 Giugno 2017

La filosofia viene intesa solitamente come ricerca della verità. In questo senso, nella nostra epoca, viene esercitata di rado, specie per due ragioni. In primo luogo, studiando la storia della filosofia si giunge alla conclusione che la verità è irraggiungibile e che perciò è poco sensato dedicarsi alla sua ricerca. E in secondo luogo, si ha la sensazione che, qualora la verità esistesse, trovarla sarebbe solamente metà dell’opera. Molto più difficile sarebbe vendere la verità che abbiamo scoperto, per riuscire a garantirsi condizioni di vita relativamente sicure. E, come insegna l’esperienza, a questo compito non si sfugge. L’odierno mercato della verità sembra essere più che saturo. Il potenziale consumatore di verità deve fare i conti con lo stesso surplus presente in altri segmenti di mercato. Da ogni parte veniamo regolarmente subissati dalla pubblicità della verità. Troviamo verità ovunque e in tutti i media: verità scientifiche, religiose, politiche o concernenti la vita pratica. Così, chi cerca la verità sa di avere scarse possibilità di portare tra la gente il tesoro che potrebbe trovare e al momento buono abbandona la ricerca. Per quanto riguarda la verità, l’uomo odierno ha dunque maturato due convinzioni di fondo: che non esiste alcuna verità e, al contempo, che ne esistono troppe. Queste due convinzioni sembrano contraddirsi a vicenda, ma entrambe portano alla stessa conclusione; la ricerca della verità non è un buon affare.
Ebbene, la scena dell’odierna ricerca della verità, così come l’abbiamo descritta, coincide con la scena originaria della filosofia. In piccolo, questa scena avremmo potuto osservarla nell’agora greca, nel periodo in cui i primo consumatore esemplare di verità, ossia Socrate, cominciò a esaminare l’offerta di verità presente sul mercato. Erano i sofisti che affermavano di aver trovato verità. E le mettevano in vendita. Socrate però, come è noto, non si definiva sofista, ma filosofo, colui cioè che ama la verità (la sapienza, la conoscenza, la Sophia), ma non la possiede. Oppure, in altri termini, colui che non ha da vendere alcuna verità, ma che al contempo è disposto ad acquistarne una se solo riuscisse a convincersi di avere dinnanzi davvero la verità e non l’apparenza dei verità. Il passaggio dalla posizione di sofista a quella di filosofo è il passaggio dalla produzione di verità al suo consumo. IL filosofo non è un produttore di verità. Nemmeno è un cercatore nel senso dei cercatori di tesori o di materie prime. Il filosofo è un uomo semplice, della strada, perdutosi nel supermercato globale delle verità e che adesso tenta di orientarsi, quantomeno di trovare il cartello dell’uscita.

[Boris Groys, Introduzione all’antifilosofia, traduzione di Stefano Franchini, Milano Udine, Mimesis 2013, pp. 7-8]

Anima

domenica 25 Dicembre 2016

imgres

Si può trovare un’indicazione a riguardo in Dostoevskij. Cos’è l’anima russa, così come la descrive Dostoevskij? Questa anima reagisce a tutto, accetta tutto e, allo stesso tempo, trova tutto insufficiente, cambia continuamente i suoi stati d’animo, è dissipatrice, incontrollata, ma contemporaneamente generosa, fine e sognante. In breve: una perfetta anima consumatrice.

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, p. 99]

Quando tutte le altre possibilità di comunicazione falliscono

sabato 17 Dicembre 2016

imgres

Quindi io attraverso gli altri come se fossi un prolungamento, come se fossi un proiettile di me stesso?

No, non necessariamente come un proiettile di lei stesso, tuttavia può comunicare con gli altri semplicemente ferendoli o uccidendoli. Questa è una possibilità che rimane sempre aperta – anche quando tutte le altre possibilità di comunicazione falliscono. In questo senso, Guerre stellari è particolarmente istruttivo: specie viventi molto differenti si incontrano – in parte robotiche, in parte extra-terrestri, che di certo non possono sempre capirsi tra loro, perché spesso non hanno nessuna lingua in comune. Però si possono sparare a vicenda – gli rimane sempre questa possibilità. E viene anche abbondantemente usata.

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, p. 65]

Continuamente

venerdì 16 Dicembre 2016

imgres

Succedono continuamente cose incredibili.

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, p. 59]

Questo pubblico attuale

martedì 13 Dicembre 2016

imgres

Ma cosa si può dire di questo pubblico attuale, con tutte le sue esigenze e i suoi desideri? La prima cosa che si può dire a riguardo è che si tratta di un raggruppamento di persone, cosa che ci costringe a presumere che, in un prossimo futuro, saranno tutte morte. Anche solo per questo motivo, non ha molto senso scrivere specificamente per questo pubblico. Ciò significa che, fosse anche solo per questo motivo, i modelli sociologici dominanti al giorno d’oggi sono insufficienti e implausibili. Questi modelli probabilmente descrivono bene l’atteggiamento fondamentale di qualcuno che vuole, ad esempio, produrre pomodori e cetrioli per poi venderli, poiché queste merci sono ancor più deperibili dei loro consumatori. Anche i vestiti ormai sono diventati più deperibili delle persone. Scrivere libri o produrre opere d’arte significa invece contare fin dall’inizio sul fatto che si fabbricano prodotti in grado di sopravvivere ai loro consumatori attuali – e dunque si rivolgono necessariamente a lettori e osservatori sconosciuti, non ancora nati, i cui bisogni e desideri sono altrettanto sconosciuti. In fin dei conti, non si scrive per un lettore reale ma per un lettore utopico che non solo legge il libro con la massima attenzione e vi scopre tutto ciò che l’autore «voleva dire», e per di più scopre cose nel libro di cui l’autore non sapeva nulla, ma che anzitutto ama il libro. E amare il libro significa apprezzarlo più della realtà stessa. Che un tale lettore viva già oggi, che debba ancora nascere o che rimanga solo una figura ideale, alla fine è lo stesso. Perché si tratta unicamente di un’idea regolativa, ma questa è costitutiva del processo di scrittura e non può essere rimpiazzata da nessuna invocazione di un pubblico attuale.
Inoltre, questa figura del lettore è molto meno utopica di quanto si possa pensare. Quando ero giovane, ho conosciuto molti di questi lettori – ed ero anche uno di loro. All’epoca, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando la vera natura del sistema stalinista divenne chiara a molti, si è cominciato a leggere libri proibiti, i cui autori, come ad esempio Mandelstam e Charms, non si sarebbero mai potuti aspettare di avere tali lettori se avessero scritto in modo realistico-pragmatico, cioè nello spirito di Bourdieu, e con l’obiettivo di accumulare capitale simbolico. Allora avevamo la sensazione che tutta la realtà intorno a noi fosse avvelenata. Ed è per questo motivo che non volevamo leggere nessuno che avesse respirato la stessa atmosfera avvelenata – a prescindere da cosa avesse scritto. Avevamo fiducia solo in quei libri che emanavano un’aria diversa. Gli autori di questi libri non erano particolarmente avanguardisti, non avevano infranto nessun tabù, né fatto niente di simile. Era stata molto più avanguardistica la potenza sovietica, che ha infranto molti tabù e la cui estetica era piuttosto provocante e scioccante. Questi autori, invece, nello scrivere i loro libri, rimasero stranamente insensibili ai desideri del pubblico della loro epoca. Grazie a esercizi respiratori misteriosi, che loro stessi probabilmente non conoscevano, potevano sopravvivere – almeno temporaneamente – senza inalare l’aria del loro tempo, vale a dire l’aria sovietica. È per questa ragione che abbiamo apprezzato molto di più i loro libri della realtà a noi circostante.  

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, pp. 22-23]

I mobili

martedì 13 Dicembre 2016

imgres

Quando entriamo nello spazio linguistico della filosofia constatiamo subito che questo spazio è già stipato di mobili. Qui c’è un grosso armadio di nome Heidegger, lì troviamo un divano di nome Kant e là invece c’è tutta una cucina attrezzata di nome Hegel. Ciò significa che gli altri filosofi, per me, non sono delle figure paterne, ma piuttosto dei mobili che si possono utilizzare – oppure no. Ad esempio, ci si può rinchiudere nell’armadio-Heidegger e sistemarsi lì per tuta l’eternità – in perenne estasi di fronte al carattere meravigliosamente scomodo di questo armadio, tanto che obbliga a restare sempre vigili. Ma ci si può anche stendere sul divano-Kant e godersi un salutare sono professorale-etc. Detto questo, esistono però dei mobili contro cui si urta costantemente nel momento in cui ci si vuole muovere liberamente nello spazio linguistico della filosofia. Qualunque sia il movimento linguistico o di pensiero che si intraprende, si è costretti a constatare che c’è qualcosa, appeso o a terra, che impedisce di procedere con spensieratezza. Per me questi mobili sono per l’appunto Kierkegaard, Husserl e Wittgenstein. Per gli altri ci sono altri nomi – e i mobili sono disposti in un altro modo.

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, p. 17]

Nessun libro

sabato 3 Dicembre 2016

imgres

Ogni volta che opero all’interno dello spazio della cultura, compio in primo luogo una sottomissione – anche se alla mia personale professione di fede. E tutti coloro che dicono di liberarsi da qualcosa attraverso l’arte, di vivere così il loro desiderio o di sanare il loro trauma – mentono, raccontano favole. Se volessero vivere il loro desiderio, venderebbero droghe, guadagnerebbero facendo parte della mafia – ma non scriverebbero proprio nessun libro.
Sappiamo fin troppo bene quanto costa scrivere un grosso libro. Ed è impossibile credere a una persona che parla di desiderio dopo tutto questo lavoro, quando a malapena può ancora vedere perché troppo stanco e a malapena può ancora stare seduto perché tutto il suo corpo è dolente. In altre parole: queste persone mentono spudoratamente, come si suol dire. L’unica cosa che li preoccupa è un self-styling, che però non ha niente a che fare con la liberazione e con il desiderio. Ha invece molto a che fare con l’ascesi e con la sottomissione alle regole dello scrivere. Tra l’altro, viene ignorato particolarmente spesso il fatto che ci si sottomette alle regole specialmente nel momento in cui si vuole produrre il nuovo, l’insolito, l’innovativo, l’inatteso, lo spontaneo, l’autentico o altro di simile. Ed è proprio su questo punto che son maggiormente sottomesso alle regole della tradizione, perché è esattamente ciò che la tradizione esige da me.

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, pp. 73-74]

Raskolnikov ha letto un libro su Napoleone

venerdì 2 Dicembre 2016

imgres

L’assurda particolarità della Russia consiste nel non avere nessuna particolarità. È originariamente postmoderna. E questa assenza originale di originalità della Russia è il suo migliore articolo di esportazione. Il primo a riconoscerlo è stato Dostoevskij, che era un genio degli scambi culturali e delle strategie del mercato culturale. Infatti fu il primo in Russia a comprendere che non si può praticare esclusivamente né l’importazione, né l’esportazione – che si tratta piuttosto di fondare un’azienda di import-export, e cioè di vendere tanto quanto si compra e di comprare tanto quanto si vende. Tutti i suoi romanzi sono strutturati secondo questo principio. I romanzi di Dostoevskij cominciano con qualcuno che arriva in Russia dall’Occidente, come ad esempio Myskin ne L’Idiota, o dall’occidentalizzata San Pietroburgo nella provincia russa, o con qualcuno che ha letto troppa letteratura occidentale e che si è identificato troppo con le idee e con i modelli occidentali, come ad esempio Raskolnikov di Delitto e castigo. Quindi inizia sempre tutto con una situazione di importazione culturale dall’Occidente alla Russia – un’importazione che consta delle idee occidentali in voga: libertà, uguaglianza, fratellanza, socialismo, liberalismo, progresso etc. Tuttavia questi beni culturali vengono modificati sostanzialmente dal contesto russo e danneggiati in modo irreparabile. Prendiamo un esempio: Raskolnikov ha letto un libro su Napoleone. Riflette su che cosa potrebbe voler dire essere Napoleone in Russia, e arriva alla conclusione che essere Napoleone in Russia significa ammazzare la sua anziana vicina. Questa è una deduzione alquanto strana, se si pensa che fu proprio Napoleone a tentare di fondare il moderno Stato di diritto. Ma è proprio la stranezza di questa conclusione a interessare Dostoevskij – perché vi distingue quel fraintendimento che secondo lui è tipicamente russo. E Dostoevskij rivende tale fraintendimento in Occidente. La merce occidentale danneggiata viene riconsegnata a Parigi come se fosse autenticamente russa.

[Boris Groys, Politica dell’immortalità. Arte e desiderio nel tardo capitalismo, traduzione di Eleonora Florio, Sesto San Giovanni, Mimesis 2016, pp. 99-100]