Filoitaliani e filorussi

venerdì 21 Aprile 2023

La mamma di Dovlatov, Zoščenko, la caloscia e un filorusso, che sono io: clic

Mi scusi

mercoledì 19 Aprile 2023

In Noialtri Dovlatov racconta che una volta sua mamma ha incontrato Zoščenko, che era appena stato escluso dall’unione degli scrittori, e si è accorta che Zoščenko la evitava, allora gli è corsa dietro e gli ha chiesto «Be’, perché non mi saluta?». «Mi scusi – ha risposto Zoščenko – Aiuto gli amici a non salutarmi».

[Venerdì 21 aprile, alle 19, sul mio profilo Instagram, leggo un racconto di Michail Zoščenko, uno di quelli ne hanno causato l’esclusione dall’Unione degli Scrittori]

Per esempio gli auricolari

venerdì 23 Marzo 2018

Per esempio gli auricolari, uno trova un auricolare che va bene, e ci sta insieme un po’, non so, tre settimane, poi un giorno, misteriosamente, quell’auricolare lì sparisce? Ma dove è andato a finire. Ma chi è che l’ha rubato? Ma ci sono dei ladri di auricolari? Ma cosa se ne fanno? Del mio auricolare, che è stato nelle mie orecchie? Ma si può denunciare, un furto di auricolare? In Unione sovietica, secondo me, si sarebbe potuto denunciare, se avessero avuto gli auricolari (clic).

I cantanti

domenica 9 Luglio 2017

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Così termino, compagni… L’ascendente di Puškin su di noi è immenso. È stato un poeta geniale e grande. E viene da rammaricarsi per il fatto che egli non viva oggi insieme a noi. Lo porteremmo in palma di mano e gli assicureremmo una vita meravigliosa; naturalmente, se sapessimo che ne verrebbe fuori proprio un Puškin. A volte capita che i contemporanei ripongano tante speranze nei propri poeti e riservino loro un ottimo trattamento, gli forniscano l’automobile e l’appartamento, e dopo viene fuori che le cose non stavano precisamente così. Come si dice, restano allora con un pugno di mosche… In generale, è una professione misteriosa, dio solo lo sa. I cantanti in un certo senso ti danno più soddisfazione. Cantano, e capisci subito che voce hanno.

[Michail Zoščenko, Le giornate puškiniane, in Le api e gli uomini, traduzione di Mirella Garritano, Roma, Editori riuniti 1963, p. 145]

La caloscia

giovedì 16 Febbraio 2017

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Certo, perdere una caloscia in tram è una cosa che può succedere.
Soprattutto se ti spingono di fianco e da dietro un delinquente ti mette un piede sul tallone, e ecco, hai perso la caloscia.
A perdere una caloscia non ci vuole niente.
A me l’avevano sfilata in un attimo. Si può dire che non avevo fatto in tempo a dire «Ahi».
Ero entrato sul tram con due calosce al loro posto. E ero uscito dal tram, avevo guardato, una caloscia era al suo posto, sul piede. L’altra no. Lo stivale c’era. E la calza, avevo guardato, c’era. E i mutandoni, c’erano anche loro. Ma la caloscia no.
Non è che mi ero messo a correr dietro al tram.
Avevo preso la caloscia rimasta, l’avevo arrotolata in un giornale e via andare.
Dopo il lavoro, avevo pensato, mi metterò a cercarla. Non è una cosa che sparisce nel nulla. Da qualche parte sarà andata a finire.
Dopo il lavoro avevo cominciato a cercare. Prima di tutto, avevo chiesto a un mio conoscente che faceva il tramviere.
E lui mi aveva rassicurato così:
– Ringrazia che l’hai persa in tram, – mi aveva detto. – In un altro luogo pubblico non garantisco, ma perdere qualcosa in tram è come vincere alla lotteria. Noi abbiamo un deposito per gli oggetti smarriti. Vai e la riprendi. Come vincere alla lotteria.
– Be’, – gli avevo detto io, – grazie. Mi hai proprio tolto un peso. Per via che è una caloscia quasi nuova. Son solo tre stagioni che la porto.
Il giorno dopo ero andato al deposito.
– Non posso, ragazzi, avere indietro la mia caloscia? Me l’han sfilata in tram.
– Certo che può, – mi avevan detto. – Che caloscia è?
– Una caloscia – avevo detto io, – normale. Numero dodici.
– Del numero dodici, – avevan detto loro, – ne abbiam dodicimila. Che caratteristiche ha?
– Le caratteristiche – avevo detto io, – son poi le solite. Il tallone è tutto sfilacciato e la fodera interna non c’è più, s’è consumata.
– Di calosce così ne abbiamo forse più di mille. Non ha dei segni particolari?
– Dei segni particolari, – avevo detto io, – ce li ha. La mascherina è quasi tuta staccata, si tiene appena. E il tacco non c’è quasi più. Si è consumato, il tacco. E i fianchi, – avevo detto, – tengono ancora botta, per il momento reggono.
– Siediti qui, – mi avevan detto, – adesso guardiamo.
E poi, d’un tratto, mi avevan portato la mia caloscia.
E io ero così contento. Mi ero commosso, proprio.
– Ecco, – avevo pensato, – un apparato che funziona come si deve. E che persone impegnate, avevo pensato, come si sono dati da fare per una caloscia.
– Grazie, – gli avevo detto – amici, fino alla morte. Presto, datemela. Che me la metto. Grazie ancora.
– No, – mi avevan detto loro, – caro compagno, non possiamo dargliela. Noi – mi avevan detto, – come facciamo a sapere che è stato proprio lei a perderla?
– Ma perché sono stato io, che l’ho persa. Posso darvi la mia parola d’onore. –
Loro mi avevan detto: – Le crediamo e la capiamo perfettamente, e è molto verosimile che sia stato proprio lei a perdere questa caloscia. Ma non possiamo dargliela. Ci porti una dichiarazione che attesta che è stato proprio lei a perdere la caloscia. La faccia autenticare dalla amministrazione del condominio e allora, senza lungaggini inutili, le daremo quello che ha perso per legge.
Io gli avevo detto: – Ragazzi, – avevo detto, – compagni, all’amministrazione del condominio non lo sanno, che io ho perso la caloscia: può darsi che non me lo danno, un certificato del genere.
Loro mi avevan detto: – Glielo danno, glielo devon dare, cosa servono a fare se no?
Avevo guardato un’ultima volta la caloscia e ero uscito. Il giorno dopo ero andato dal presidente del mio condominio e gli avevo detto: – Fammi un certificato che ho perso la caloscia.
– Ma è vero, – mi aveva detto lui – che l’hai persa? O ci prendi in giro? Forse vuoi solo accaparrarti un oggetto di largo consumo.
– Accidenti, – avevo detto io, – se l’ho persa!
Lui mi aveva detto – Capisci che non posso fidarmi solo della tua parola. Se tu mi porti una dichiarazione dal deposito dei tram che dichiara che tu hai perso la caloscia, allora io posso farti il certificato. Ma senza niente non posso.
Io gli avevo detto – Ma sono loro che mi han mandato da te.
Lui mi aveva detto – Allora scrivimela tu una dichiarazione.
Io gli avevo detto – E cosa devo scriverci?
Lui mi aveva detto – Scrivici: il tal giorno ho perso una caloscia. Eccetera. Mi impegno, scrivi, a non lasciare la città fino a che la questione non sarà chiarita.
Avevo scritto la dichiarazione. Il giorno dopo mi avevan rilasciato il certificato ufficiale. Con quel certificato ero andato al deposito. E lì, immaginatevi un po’, senza far neanche una piega e senza tante lungaggini burocratiche mi avevan dato la mia caloscia. Mi ero appena infilato la caloscia, che mi ero sentito invadere dalla commozione. Ecco, avevo pensato, come si lavora! In che altro posto al mondo avrebbero perso tanto tempo per la mia caloscia? L’avrebbero buttata via e basta. Qui, invece, ti dai da fare per un po’ meno di una settimana, e te la danno indietro. Peccato solo che in questa settimana, intanto che mi davo da fare avevo perso la prima caloscia. L’avevo tenuta sempre sotto l’ascella, dentro un foglio di giornale e non mi ricordo dove l’avevo lasciata. Ma la cosa grave, era che non l’avevo persa in tram. Era un disastro, non averla persa in tram. Dove potevo cercarla? Però l’altra caloscia ce l’avevo. L’avevo messa sul comò. Se mi veniva la malinconia, guardavo la mia caloscia e mi sentivo l’animo leggero e comprensivo. Ecco, pensavo, come funziona bene la burocrazia! La conservo per ricordo, questa caloscia. Che i posteri, un giorno, possano ammirarla.

[Michail Zoščenko, Izbrannoe v 2-ch tomach (Opere scelte in due volumi), Mosca, Chud. Lit. 1978]

Fantasmagoria acquatica

mercoledì 7 Dicembre 2016

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Un cineasta moscovita giunse a Leningrado per ragioni di lavoro.
E scese all’albergo «Europa».
Una stanza deliziosa e accogliente. Due letti. Bagno. Tappeti. Quadri. Tutto questo, come dire, predispose il nostro visitatore ad incontrarsi con il prossimo e a trascorrere piacevolmente il tempo.
Insomma, vennero a trovarlo amici e conoscenti.
Ma, come spesso accade, alcuni dei suoi amici, aderendo all’invito, ne approfittarono per farsi un bagno. Dal momento che molti vivono in appartamenti dove il bagno non c’è. molti, naturalmente, non amano eccessivamente andare al bagno pubblico, tanto che alla fine dimenticano una simile pratica del viver civile. Ma ecco un’occasione tanto fortunata: andare da un amico, chiacchierare, filosofare, e nello stesso tempo darsi una bella lavata. Tanto più che l’acqua lì è calda. Gli asciugamani sono dell’albergo, e via discorrendo.
Molti, naturalmente, proprio per questo sono contenti di avere amici che arrivano in città.
In breve, dopo quattro o cinque giorni, il nostro visitatore moscovita si era addirittura un po’ seccato di una simile linea di condotta invariabilmente perseguita dai suoi amici.
Ma, naturalmente, tenne duro fino all’ultimo, quando, alla fine, avvenne la catastrofe.

[Michail Zoščenko, Fantasmagoria acquatica, in Le api e gli uomini, traduzione di Mirella Garritano, Roma, Editori riuniti 1963, p. 133]