Un difetto poco importante

giovedì 14 Novembre 2019

Era terribilmente poco socievole; rifuggiva chiunque, era uomo d’estrema cultura, leggeva molto ma parlava assai poco e in generale con lui era difficile conversare. Alcuni affermavano che fosse del tutto pazzo, anche se trovavano che in sostanza non si trattasse poi di un difetto così importante.

[Fëdor Dostoevskij, Memorie da una casa di morti, a cura di Serena Prina, Milano, Feltrinelli 2017, p. 11]

Da una tinozza all’altra

mercoledì 23 Agosto 2017

Mi è venuto da pensare che se si volesse schiacciare, distruggere un uomo, infliggergli la più atroce delle punizioni, tale da fare inorridire e atterrire in anticipo anche il più feroce assassino, sarebbe sufficiente conferire al lavoro un carattere di totale, completa inutilità e insensatezza. Attualmente il lavoro dei forzati è sì noioso, privo di interesse per i prigionieri, ma di per sé è razionale: il deportato fabbrica mattoni, scava, intonaca, costruisce; un tale lavoro ha un senso, uno scopo. Capita che il lavoratore forzato ci prenda gusto e lo voglia eseguire meglio, con più abilità, con più efficacia. Ma se lo si costringesse, per esempio, a versare dell’acqua da una tinozza all’altra, e poi da quella alla prima, a tritare della sabbia, a trascinare un mucchio di terra da un posto all’altro, e poi di nuovo indietro, penso che il detenuto, dopo qualche giorno, s’impiccherebbe, oppure commetterebbe ogni sorta di reato pur di farla finita, pur di sottrarsi a quell’umiliazione, a quella vergogna, a quel tormento.

[Fëdor Dostoevskij, Memorie da una casa di morti, traduzione di Maria Rosaria Fasanelli, Firenze, Giunti 1994, p. 25]

Un cielo

sabato 19 Agosto 2017

La nostra colonia penale era al limitare della fortezza, proprio accanto al bastione del forte. Capitava che si guardasse il mondo del buon Dio attraverso le fessure della palizzata: chissà che non si potesse vedere qualcosa? E quello che vedevi era soltanto un piccolo lembo di cielo sopra all’alto terrapieno coperto d’erbaccia, e avanti e indietro lungo il baluardo, giorno e notte, andavano le guardie, e subito pensavi che sarebbero passati anni interi, e tu proprio a quello stesso modo saresti andato a guardare attraverso le fessure della palizzata e avresti visto lo stesso baluardo, le stesse guardie e lo stesso piccolo lembo di cielo, non il cielo che sovrastava la colonia penale, ma un altro cielo, lontano, libero.

[Fëdor Dostoevskij, Memorie da una casa di morti, traduzione di Serena Prina, Milano, Feltrinelli 2017, p. 17]