giovedì 8 Aprile 2021

L’inferno di Dante è affollato esclusivamente di italiani.
Oltre a questi vi sono alcuni antichi romani. Non bastava il posto per altri popoli.
Questo inferno raffigura la litigiosa Italia.
[Viktor Šklovskij, Marco Polo, traduzione di Maria Olsufieva, Macerata, Quodlibet 2021, p. 209]
lunedì 26 Novembre 2018

Poco più tardi un fiorentino dalla barba rossiccia, Dante, descriverà l’inferno in un poema.
L’inferno di Dante è costruito ad anfiteatro e scende a cerchi, sempre più in basso. L’inferno di Dante è affollato esclusivamente di italiani.
Oltre a questi vi sono alcuni antichi romani. Non bastava il posto per altri popoli.
Questo inferno raffigura la litigiosa Italia. Le città sono disposte in cerchio, i cittadini leticano e nell’eterna oscurità si fanno gesti osceni.
[Viktor Šklovskij, Marco Polo, traduzione di Maria Olsufieva, Quodlibet, Macerata 2015, p. 209]
giovedì 28 Settembre 2017

Nelle steppa stanno i nomadi. D’estate se ne vanno nelle montagne, d’inverno scendono a valle, dove il bestiame mangia l’erba rinsecchita o la scava da sotto la neve. Altri girano per le steppe, compiendo di anno in anno un circolo chiuso.
Lungo i circoli si scavano pozzi. I territori racchiusi dai circoli sono delimitati dall’uso.
Non sono gli uomini a pungolare il bestiame: questo cammina e gli uomini lo seguono.
Nel Tadzikistan, nella vallata di Lokaj, i pastori si legano tuttora a un montone per svegliarsi quando questo si alza e ricomincia a pascolare.
[Viktor Šklovskij, Marco Polo, traduzione di Maria Olsoufieva, Macerata, Quodlibet 2017, p. 9]
sabato 22 Ottobre 2011

La luce penetra di rado, nella prigione sotterranea, se ne va presto. La macchia della finestra in alto compie un breve tragitto sul muro.
Poco più tardi un fiorentino dalla barba rossiccia, Dante, descriverà l’inferno in un poema.
L’inferno di Dante è costruito ad anfiteatro e scende a cerchi, sempre più in basso. L’inferno di Dante è affollato esclusivamente di italiani.
Oltre a questi vi sono alcuni antichi romani. Non bastava il posto per altri popoli.
Questo inferno raffigura la litigiosa Italia. Le città sono disposte in cerchio, i cittadini leticano e nell’eterna oscurità si fanno gesti osceni.
Pene amorose, offese, liti con usurai riempiono l’inferno di Dante dall’alto fino in fondo.
L’interno di Dante assomiglia alla prigione di Genova.
Pisani e veneziani erano reclusi insieme..
C’era anche gente di Parma, di Toscana, di Ravenna.
La prigione parlava dialetti diversi, la prigione discuteva, si grattava, moriva nelle catene, insultava i carcerieri, aspettava il sole la mattina, il sonno la sera.
Ogni conversazione era da tempo esaurita tra carcerati, da tempo avevano detto tutto sulle battaglie perdute, sul pane perfido, sull’acqua salata. Si insultavano in italiano, ma la lingua comune era il francese, lingua della corte e dei mercanti.
[Viktor Šklovskij, Marco Polo, cit., p. 258]
mercoledì 19 Ottobre 2011

Un popolo strano, ridanciano, dedito al brigantaggio. Erano belli i cani. Nessuno accettava denaro cartaceo, volevano monete di sale. Indossavano pelli di animali o abiti di cotone grezzo. Qui bisognava portare il sale, il khan ne aveva molto; lo facevano evaporare dall’acqua marina oppure pompavano la soluzione salina da profondi pozzi. Bisognava portare là tessuti di poco prezzo, e se ne sarebbe potuto esportare cani grossi come asini e turchesi.
Vigeva da quelle parti una strana usanza.
Una ragazza non valeva nulla se non era giaciuta con molti uomini. Quando arrivavano stranieri e mettevano su le tende, venivano le vecchie del villaggio a portare le figlie, e così portavano venti, quaranta donne.
E quando il mercatante hae fatto il suo volere, e’ conviene che ‘l mercatante le doni qualche gioia, acciocché possa mostrare come altri hai avuto affare seco. E quella ch’hae più gioie è segno che più uomeni sono giaciuti con essa, e più tosto si marita. E conviene che ciascuna, anzi che si possa maritare, abbia più di venti segnali al collo, e quella che n’ha più è tenuta migliore, e dicono ch’è più graziosa che l’altre.
Molte donne furono portate a Marco Polo ed egli annotò nel suo libro che bisognava andare lì da giovani, fra i sedici e i ventiquattro anni.
Marco Polo non ne aveva di più.
/…/
Poi Marco Polo si rimise in viaggio. Giunse al paese d’Ardanda, corrispondente al cinese zardandan (denti d’oro), dove la gente aveva denti d’oro e dove, quando la moglie partoriva, il marito si metteva a letto e urlava più della donna, dopo di che riceveva le congratulazioni e stava coricato come fosse stanco, a riprova che il figlio era suo. In quel paese non c’era più scrittura, la moneta era aurea, gli spiccioli erano conchiglie.
[Viktor Šklovskij, Marco Polo, cit., p. 139-140]