mercoledì 6 Gennaio 2016
Per lei l’artista conta più della sua opera?
Sì, l’individuo in quanto tale, in quanto cervello, se preferisce, mi interessa molto di più di quello che può fare. E poi in genere gli artisti non fanno che ripetersi. È comprensibile, d’altra parte, perché non si può sempre fare qualcosa di nuovo, ma ciò che mi riesce incomprensibile è la loro smania di produrre. Hanno contratto quella vecchia abitudine che impone di fare, ad esempio, un quadro al mese. Forse pensano di dovere alla società il loro quadro mensile o annuale, a seconda della loro velocità di produzione.
[Marcel Duchamp, Ingegnere del tempo perduto. Conversazione con Pierre Cabanne, traduzione di Angelica Tizzo, Milano, Abscondita 2009, pp. 109]
martedì 18 Agosto 2015
È un modo come un altro per confrontarsi con gente di quell’epoca. Intendevo dire che se un artista, in ogni epoca, non è sulla cresta dell’onda, non infastidisce nessuno. Che io ci fossi o no, non avrebbe cambiato granché. Solo ora, quarant’anni dopo, ci si accorge che allora accaddero delle cose che avrebbero potuto infastidire qualcuno, ma a quel tempo non importavano assolutamente nulla, a nessuno.
[Marcel Duchamp, Ingegnere del tempo perduto. Conversazione con Pierre Cabanne, traduzione di Angelica Tizzo, Milano, Abscondita 2009, pp. 11-12]
sabato 15 Agosto 2015
André Breton ha affermato che lei è l’uomo più intelligente del XX secolo. Cos’è per lei l’intelligenza?
Mi piacerebbe che fosse lei a dirmelo. La parola «intelligenza» è assolutamente elastica. Vi è una forma logica o cartesiana dell’intelligenza, ma ritengo che Breton intendesse dire qualcos’altro. In realtà, dal suo punto di vista surrealista, considerava il problema in un modo molto più libero; l’intelligenza per lui era, in un certo senso, la penetrazione di ciò che per l’uomo normale è incomprensibile o arduo da capire. C’è come un’esplosione nel senso di certe parole: valgono molto più di quanto il dizionario non dica.
Breton è un uomo del mio stesso ordine, c’è una comunanza di punti di vista tra noi, ecco perché credo di capire la sua idea di intelligenza allargata, distesa, gonfiata, se preferisce…
Nel senso in cui lei stesso ha allargato, gonfiato e fatto esplodere i limiti della creazione secondo la sua «intelligenza».
Forse. Ma la parola «creazione» mi fa paura. Nel senso sociale, normale, del termine, la creazione è qualcosa di molto seducente, ma in definitiva io non credo alla funzione creatrice dell’artista. È un uomo come gli altri, che fa certe cosa, ma anche il businessman, ad esempio, fa certe cose. La parola «arte», al contrario, mi affascina. Se deriva dal sanscrito, come ho sentito dire, significa «fare». Tutti fanno qualcosa e coloro che fanno delle cose su una tela, mettendoci poi una cornice, si definiscono artisti. Un tempo venivano chiamati con una parola diversa, che preferisco: artigiani. Un tempo, quando Rubens aveva bisogno del colore blu, doveva chiederlo alla sua corporazione, che discuteva a lungo sulla quantità da accordargli. Allora i pittori erano realmente degli artigiani, e lo si può verificare dai contratti. la parola «artista» è stata inventata quando il pittore è divenuto un personaggio della società monarchica, e successivamente di quella moderna. Nel primo caso il pittore faceva cosa per qualcuno, il committente; nel secondo c’è qualcuno, il compratore, che sceglie tra le cose prodotte dal pittore. Nella società moderna l’artista conduce una vita più travagliata, ma in compenso è anche meno soggetto a costrizioni.
[Marcel Duchamp, Ingegnere del tempo perduto. Conversazione con Pierre Cabanne, traduzione di Angelica Tizzo, Milano, Abscondita 2009, pp. 11-12]
sabato 8 Agosto 2015
Nel 1913 ho avuto la buona idea di fissare una ruota da bicicletta su uno sgabello da cucina e di guardarla girare.
[Marcel Duchamp, In Bernard Marcadé, Marcel Duchamp, le maître, in Téléramna, L’art contemporain. Origin acteurs enjeux, Paris, novembre 2014, p. 16]