giovedì 24 Maggio 2018
Ho sentito un’intervista al sindaco di Roma, la Raggi, che ha detto in qualche secondo due o tre «sostanzialmente» e la cosa mi ha colpito perché son delle frasi, quelle con sostanzialmente, che se ci togli sostanzialmente funzionano benissimo lo stesso, anzi, forse funzionano meglio, e mi ha fatto venire in mente un pezzo di un libro di qualche anno fa che si chiama Manuale pratico di giornalismo disinformato, quel pezzo qua: «L’avevo vista una volta, alla cena alla fine della scuola elementare di giornalismo disinformato, avevo fatto un corso che si era chiamato così e alla fine avevam fatto una cena e lei, che non aveva fatto il corso, era la moglie di uno dei partecipanti, lei mi aveva detto tre frasi, che mi ricordavo benissimo: “Io, sostanzialmente, sono la moglie”; “Mio marito, sostanzialmente, ha perso la testa”; “Mio marito, sostanzialmente, si è innamorato di lei”, dove lei ero io, parlava con me, in realtà suo marito non si era innamorato di me, si era innamorato di un’altra, ma lei, la moglie, sostanzialmente, non lo sapeva».
domenica 13 Marzo 2016
1. Baistrocchi non ha alcuna voglia di scrivere e si inventa giornalista. Ma a modo suo…
Baistrocchi pratica il giornalismo disinformato, che è un giornalismo che prevede che delle cose di cui si scrive non si sappia niente e non si voglia sapere niente.
2. La sua scrittura imita il parlato, il flusso di pensieri, in cui ogni frase smentisce la precedente. Questa scrittura è la sua firma inconfondibile. Com’è nata?
Quando ho cominciato a scrivere avevo il computer su un tavolo che era contro un muro, e scrivevo guardando questo muro e la mia attenzione era tutta verso l’alto, il triangolo che percorrevo per ore, nella mia testa, era tra me, il computer e il cielo della letteratura dal quale cercavo di attingere quelle parole, quelle espressioni, quella sintassi che avrebbero fatto di me un maestro di stile, e scrivevo in una lingua dalla quale non si capiva, non si doveva capire, che io ero di Parma, nel cielo della letteratura non c’era Parma, non c’eran confini comunali, provinciali, regionali, c’eran delle altre cose, c’era il premio Nobel, c’eran dei busti un po’ impolverati, c’era la legge Bacchelli e dietro, là in fondo, c’era la crusca, e i cruscanti, che si intravedevano appena ma restava il dubbio sulla loro natura a metà tra l’umano e il divino. Dopo sei mesi circa che scrivevo tutti i giorni con questa aspirazione al cielo della letteratura, mi hanno invitato a una rivista (si chiamava Il semplice) dove, per capire se i racconti erano belli o no, li leggevano ad alta voce, e io, quando son tornato a casa ho provato anch’io a leggere le mie cose ad alta voce e pian piano le cose che scrivevo si sono macchiate della lingua del posto dove le scrivevo (Parma), e le cose da scrivere non mi venivan più dall’alto, mi venivan su da tutte le parti e quel triangolo lì, io – computer – cielo della letteratura, è diventato un triangolo con un vertice infinito, è diventato io – computer – mondo, credo che grossomodo sia successo così.
3. Baistrocchi torna in pagina con un romanzo giallo ma atipico, poiché continua a vivere la sua vita normale, la vita quotidiana.
A chi gli fa notare che lui, nei romanzi, parla della vita quotidiana, Baistrocchi risponde che lui, l’unica vita che conosce è la vita quotidiana; che la vita settimanale, o la vita mensile, o la vita annuale, lui non sarebbe capace, di parlare di quelle. E, sarà strano, ma Baistrocchi continua a avere una vita quotidiana anche quando viene implicato in un omicidio.
4. Cosa sono le “espressioni parassite”? Dobbiamo tenercene alla larga?
Sono quei nessi sostantivo aggettivo per cui se uno è ricco, è sempre sfondato, se ha la barba, è sempre folta, se c’è un fuggi fuggi, è generale, se si parla di acne, è giovanile, se c’è una bocca, è asciutta, se c’è un nucleo, è familiare, se c’è un’attesa, è dolce, se c’è un errore, è fatale, se c’è un delitto, è efferato, se c’è un’ impronta, è indelebile, se c’è un colpo, è di grazia. Non credo che la lingua parassita si debba evitare, credo la si possa usare con la consapevolezza che è lei, che ci usa, perché quando usiamo queste espressioni, mi sembra che non diciamo quel che vogliamo dire noi, mi sembra che diciamo quel che vuole dire lei.
5. Dopo il diario è giunto il tempo del minutario?
Velimir Chebnikov, all’inizio del novecento, ha scritto che nel novecento non è più sufficiente il diario, ci vuole il minutario, e quando gli torna in mente il primo sguardo che si è scambiato con la mamma di sua figlia, trent’anni prima, Baistrocchi si chiede come fare a raccontare tutto il futuro che sarebbe dipeso da quello sguardo, tutto il rumore di binari che si voltavano che loro due avrebbero dovuto sentire in quel primo minuto, in quel primo secondo, in quel primo centesimo di secondo che passavano insieme e gli sembra che, nelle cose che scrive, si debba andare in quella direzione, non raccontare i propri tempi, non raccontare la propria epoca, provare a raccontare i propri minuti, i propri secondi, i propri centesimi di secondo.
[Questa intervista di Francesco Musolino è uscita oggi sulla Gazzetta del Sud]
domenica 23 Agosto 2015
Stavamo, a Parigi, in rue St Denis, e vicino c’era Impasse St Denis, che era un vicolo cieco, un impasse, e tutte le volte che ci passavo davanti io mi chiedevo com’era, abitare in un vicolo cieco, in un impasse. E, secondo me, adesso non so se sia vero, ma secondo me a me mi colpiva, questa cosa, perché io un po’ ero lì dentro, in un vicolo cieco, in un impasse.
martedì 11 Agosto 2015
Avere la casa in disordine, tutti i giorni, quando perdi le cose, dopo, sei così contento di ritrovare le cose, almeno tre o quattro volte al giorno, che è una contentezza che, a mettere in ordine, dopo, come fai? No no, io lascio così.
domenica 9 Agosto 2015
E sull’aereo, nel venire in qua, ho letto una copia di Le monde (del 4 agosto 2015) dove, a pagina 14, in un articolo (di Harry Bellet) su Rabelais c’era questa citazione di Erasmo da Rotterdam: «Trattenere un peto prodotto dalla natura è un comportamento da imbecilli che si preoccupano più dell’educazione che della salute».