Chi è
Mi è poi tornato in mente, stamattina, che in questo libro qua (clic), di cui si parla qua (clic), Nikita Chruščëv viene definito ex-analfabeta, che io quando l’avevo letto mi ricordo mi ero chiesto E chi è, che non è un ex-analfabeta? Eh?
Mi è poi tornato in mente, stamattina, che in questo libro qua (clic), di cui si parla qua (clic), Nikita Chruščëv viene definito ex-analfabeta, che io quando l’avevo letto mi ricordo mi ero chiesto E chi è, che non è un ex-analfabeta? Eh?
«È con una verve straordinaria, e con un punto di vista originalissimo, che Francis Spufford racconta la storia dell’Unione Sovietica tra gli anni Cinquanta e Sessanta», si legge nella bandella di destra dell’Ultima favola russa, di Francis Spufford (traduzione di Carlo Prosperi, Bollati Boringhieri, pagine 484, euro 19, 90), e in quarta di copertina si legge che è «impossibile pensare a un libro che comunichi altrettanto bene la quotidianità della vita in Unione Sovietica».
Ecco, probabilmente mi sbaglio, ma a me, il libro di Spufford, che è, si legge nella bandella di destra «docente al Goldsmiths College di Londra» e è stato «nominato nel 1997 giovane scrittore dell’anno dal Sunday Times», è sembrato una specie di Lettere persiane al contrario. Continua a leggere »
I fotografi [americani], poi, sembravano specializzati nel cogliere i soggetti con la guardia abbassata, ritraendoli in pose imbarazzanti, con la bocca aperta, o una smorfia disdicevole sul volto. Nina Petrovna [seconda moglie di Nikita Chruščëv] trovò particolarmente sgradevole una foto che la ingrassava non poco. «Se avessi saputo che sarebbero uscite immagini del genere non sarei venuta». «Chiedo scusa» intervenne un membro dell’entourage. «Non credo sia lei». Analizzarono la foto. Non era lei.
[Francis Spufford, L’ultima favola russa, traduzione di Carlo Prosperi, Torino, Bollati Boringhieri 20013, p. 42]
Il problema era che Marx aveva previsto la rivoluzione sbagliata. Secondo Marx il socialismo non si sarebbe affermato certo nella Russia rurale e arretrata, bensì nei paesi industriali più floridi e sviluppati: in Inghilterra, in Germania o negli Stati Uniti. Perché il capitalismo (secondo la sua analisi) creava miseria ma al tempo stesso progresso, e la rivoluzione che avrebbe liberato l’uomo dalla miseria sarebbe scoppiata soltanto dopo che il capitalismo avesse generato tutto il progresso, e insieme tutta la misera, di cui era capace. A quel punto, nel tentativo disperato di continuare a ottenere profitti, i capitalisti avrebbero investito talmente tanto denaro che l’infrastruttura produttiva avrebbe quasi raggiunto la perfezione. Al tempo stesso, la ricerca di profitti maggiori avrebbe via via compresso i salari, spingendo i lavoratori verso l’indigenza. Sarebbe stato un mondo di macchine meravigliose ed esseri umani ridotti alla fame. Quando la contraddizione fosse diventata insostenibile, i lavoratori sarebbero passati all’azione rovesciando quel folle sistema sociale, ben più rozzo e spietato delle catene di montaggio delle fabbriche.
[Francis Spufford, L’ultima favola russa, traduzione di Carlo Prosperi, Torino, Bollati Boringhieri 20013, p. 101]