Di fiori del Bois de Boulogne

sabato 4 Novembre 2017

La frase che mi è rimasta più impressa dello Straniero, il romanzo di Camus del 1942, è una frase che dice il protagonista, Mersault, nelle prime pagine del libro: «il caffelatte era buono». È una cosa che non ha quasi senso, che una frase così semplice mi sia rimasta così impressa, e che mi ricorda quel che dice lo scrittore americano Kurt Vonnegut in un breve saggio intitolato Come scrivere con stile quando dice: «La semplicità della lingua non è solo stimabile, probabilmente è addirittura sacra. La Bibbia si apre con una frase decisamente alla portata di un quattordicenne sveglio: “All’inizio Dio creò il cielo e la terra”» (la traduzione è di Franco Garnero). E Vonnegut, nelle sue opere, continuamente si muove verso la semplificazione, come in questo passo della Colazione dei campioni: « L’autista ricordò che il giorno prima era stato il Giorno dei Veterani. “Uhm” fece Trout. “Tu sei un veterano?” chiese l’autista. “No” rispose Trout. “E tu?”. “No”. Nessuno dei due era un veterano» (la traduzione è di Attilio Veraldi). Ma non stiamo parlando di Vonnegut, stiamo parlando di Camus.
E il personaggio che mi è rimasto più impresso della Peste, romanzo di Camus del 1947, non è il protagonista, che è il medico che scopre e cura la peste, e si chiama Bernard Rieux, è un personaggio secondario che si chiama Joseph Grand e che fa l’addetto alle statistiche del comune di Orano. Riferendosi a Monsieur Grand, è lo stesso narratore della Peste a dire, a un certo momento: «Se ci fosse assolutamente bisogno di un eroe, in questa storia, il narratore proporrebbe questo eroe insignificante e dimenticato che aveva un ideale apparentemente ridicolo», e che è «uno di quei rari uomini, nella nostra città come altrove, che hanno sempre il coraggio dei propri buoni sentimenti».
Monsieur Grand è un burocrate che ricorda un po’ Akakij Akakevič, il copista del Cappotto di Gogol’: come Akakij Akakevič, Grand è solo, è stato lasciato dalla moglie (si rimprovera di non aver saputo trovare le parole per trattenerla) e, come Akakij Akakevič, a Grand non interessa tanto la vita società perché le sere, per lui, sono sacre: non ha bisogno di svagarsi, sa giù cosa fare. La sua passione, si scopre a un certo momento, è la scrittura. Continua a leggere »