Greenwich

martedì 9 Giugno 2009

978-88-541-1194-3

[È uscita qualche mese fa una nuova edizione (Newton Compton) di L’importanza di chiamarsi Ernesto, di Wilde, che ha una presentazione che ho scritto io qualche mese fa. Ho il dubbio di averla già messa, qualche mese fa, sul sito, ma penso di no. Comunque: se l’ho messa, la rimetto, se non l’ho messa, la metto (è un po’ lunga)]

 

 

Greenwich

 

1. My friend

Un mio amico che fa il regista teatrale dice che nel mondo anglosassone, la loro fortuna, in campo teatrale, è il fatto che loro hanno un teatro. Cioè hanno questa tradizione teatrale in lingua anglosassone che fa sì che se tu vedi quattro personaggi dentro una stanza che parlano, in lingua anglosassone, non ti sembra una cosa strana. È quasi normale, che quattro anglosassoni, dentro una stanza, parlino, se sei a teatro.

 

2. In Italy

Invece in Italia, quattro personaggi dentro una stanza, a teatro, se parlano, è più facile che parlino in dialetto, che in italiano.
Se uno va a teatro, e parlano italiano, e la cosa funziona, è probabile che stiano facendo qualcosa che è stato tradotto dalla lingua anglosassone. Questo lo dico io. Il mio amico che fa il regista teatrale dice solo nel mondo anglosassone, la loro fortuna, in campo teatrale, è il fatto che loro hanno un teatro.

 

3. Earnest

Cosa si può dire dell’Importanza di chiamarsi Ernesto? Ci vuole un punto di applicazione. Per esercitare qualsiasi forza, per quanto forte possa essere, ci insegnavano a scuola, lezioni di fisica, ci vuole un punto di applicazione.
Tu puoi essere anche il più forte di tutti, come Svjatagor, che è un gigante della tradizione slava, se non hai un punto di applicazione non riesci neanche a sollevare una leggera bisaccia, come Svjatogor, e per lo sforzo muori, come è morto lui. Continua a leggere »