Il contrario

lunedì 12 Dicembre 2016

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Vitez è già stato diverse volte in Unione Sovietica, parla un po’ di russo e, nonostante quelle che definisce «ottusità», a ogni visita si ritrova a pensare che qui ci sia la vita vera: seria, adulta, con tutta la sua pesantezza. I volti, dice, sono volti veri, scavati, affilati, mentre in Occidente si vedono soltanto facce da bambini. In Occidente tutto è permesso e nulla è importante, qui invece è il contrario: nulla è permesso, tutto è importante, e Vitez ritiene che sia molto meglio così.

[Emmanuel Carrère, Limonov, traduzione di Francesco Bergamasco, Milano, Adelphi 2012, p. 200]

Amici

domenica 11 Dicembre 2016

Sto rileggendo Limonov, di Carrère, e mi viene in mente una strofa di C’era un ragazzo che come me di Gianni Morandi come la cantava un mio amico di Parma che si chiama Giorgio che cantava «Non ha più amici non ha più friends».

C’è stato uno che tutto questo l’ha raccontato

sabato 10 Dicembre 2016

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Ma per restituire il colore dell’epoca, va detto che c’era anche la massa di quanti non erano né eroi, né corrotti, né furbetti. Erano tutti quelli che appartenevano all’underground, e avevano due certezze assolute: che i libri pubblicati, i quadri esposti, i drammi rappresentati fossero necessariamente compromessi con il potere e mediocri, che un artista autentico fosse necessariamente un fallito. Non per colpa sua, ma di un’epoca in cui essere un fallito era un marchio di nobiltà. Lo era, per un pittore, guadagnarsi da vivere come portiere di notte. Lo era, per un poeta, spalare la neve davanti a una casa editrice a cui mai e poi mai avrebbe dato in lettura le proprie poesie, e toccava al direttore sentirsi a disagio quando scendeva dalla sua Volga e lo vedeva nel cortile con la pala in mano. Facevano una vita di merda, ma non avevano tradito. Ci si scaldava, tra falliti, nelle cucine dove si discuteva per nottate intere, facendo circolare samdizdat e bevendo samogonka, la vodka fatta in casa nella vasca da bagno, con zucchero e alcol denaturato.

C’è stato uno che tutto questo l’ha raccontato. Si chiama Venedikt Erofeev. Aveva cinque anni più di Eduard, era nato come lui in provincia e, dopo essere passato per tutte le tappe comuni alle persona sensibili di quel tempo (l’adolescenza appassionata, la deriva alcolica, l’assenteismo e una vita di espedienti), era giunto a Mosca nel 1969 con un manoscritto in prosa che però lui chiamava «poema», come Gogol’ faceva con le Anime morte. Aveva ragione: Mosca sulla vodka [Moska Petuški] è il grande poema dello zapoj, l’ubriacatura russa di lungo corso a cui, sotto Leonid Brežnev, tendeva ad assomigliare la vita intera.

[Emmanuel Carrère, Limonov, traduzione di Francesco Bergamasco, Milano, Adelphi 2012, pp. 86-87]

Gli uomini di valore

venerdì 12 Ottobre 2012

C’è stato uno che tutto questo l’ha raccontato. Si chiamava Venedikt Erofeev. Aveva cinque anni di più di Eduard, era nato come lui in provincia e, dopo essere passato per tutte le tappe comuni alle persone sensibili di quel tempo (l’adolescenza appassionata, la deriva alcolica, l’assenteismo e una vita di espedienti), era giunto a Mosca nel 1969 con un manoscritto in prosa che però lui chiamava «poema», come Gogol’ faceva con Le anime morte. Aveva ragione: Mosca sulla vodka è il grande poema dello zapoj, l’ubriacatura russa di lungo corso a cui, sotto Leonid Brežnev, tendeva ad assomigliare la vita intera. La squallida, catastrofica odissea dello sbronzo Venedikt fra la stazione Kurskaja a Mosca e Petuški, un centro sperduto all’estrema periferia; centoventi chilometri in quarantott’ore, senza biglietto ma con l’aiuto di un imprecisato numero di litri di alcolici: vodka, birra, vino e soprattutto cocktail inventati dal narratore, che ne fornisce ogni volta la ricetta – la lacrima della Komsomolka, per esempio, è una miscela di birra, white spirit, limonata e deodorante per piedi. Protagonista alcolizzato, treno ubriaco, passeggeri avvinazzati: sono tutti sbronzi in questo libro basato sulla convinzione che «tutti gli uomini di valore, in Russia, bevono come spugne»./…/
Assiduamente ricopiato, letto, recitato nella cerchia frequentata da Eduard, tradotto in Occidente, Mosca sulla vodka è diventato una specie di classico, e Venedikt una leggenda: fallito metafisico, ubriacone sublime, incarnazione grandiosa di tutto ciò che quell’epoca aveva di vigorosamente negativo. Si andava e si va ancora in pellegrinaggio alla stazione di Petuški, dove da qualche anno si erge anche la statua di Erofeev.

[Emmanuel Carrère, Limonov, trad. di Francesco Bergamasco, Milano, Adelphi 2012, pp. 87-88]