domenica 13 Novembre 2022
Sto rivedendo le citazioni di Sanguina ancora per la traduzione francese (di Nathalie Bauer, per Philippe Rey), e ho trovato, nell’Idiota, quel ragazzo malato, Ippolit, che dice: «Eppure devo morire!» e per poco non aggiunge “Un uomo come me!”. Che coglione. Come tutti noi.
domenica 24 Maggio 2020
«Eppure devo morire!» disse (e per poco non aggiunse “Un uomo come me!”).
[Fëdor Dostoevskij, L’idiota, traduzione di Licia Brustolin, Milano, Garzanti 2000, p. 604]
lunedì 11 Maggio 2020
Se io non ho sentito niente, tu non hai sentito niente, quell’altro non ha sentito niente, allora nessuno ha sentito niente, quindi chi ha sentito, ti domando?
[Fëdor Dostoevskij, L’idiota, traduzione di Licia Brustolin, Milano, Garzanti 2000, p. 415]
sabato 2 Maggio 2020
Io però ho un grande amico che è ancora più disgraziato di noi. Volete che ve lo faccia conoscere?
(I personaggi di Dostoevskij più son disgraziati, più vale la pena di conoscerli; la citazione viene dall’Idiota, parte prima, capitolo XI)
domenica 16 Settembre 2018
Presi appuntamento con uno psicologo all’ambulatorio dell’università. In sala d’attesa vidi una brochure intitolata Verità e falsi miti sull’acidità di stomaco e mi misi a leggere, perché di solito i falsi miti mi divertivano, ma questi facevano pena. «La menta piperita è un rimedio contro l’acidità di stomaco». Un’infermiera disse una parola che quasi sicuramente voleva essere il mio nome. La seguii fino a una porta con una targa di metallo che diceva PSICOLOGIA DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA. All’interno, un uomo dai capelli bianchi con la faccia rubizza sedeva dietro una scrivania circondato da blocchetti di legno e maiali di plastica. Non c’erano altri animali, solo maiali. Ivan li aveva nominati nelle sue mail. I maiali avevano qualcosa di speciale che io non sapevo?
– Accomodati, prego, – disse lo psicologo dell’infanzia e dell’adolescenza, indicando una gamma di sedie, alcune a dimensione di bambino e altre, immaginai, a dimensione di adolescente. Mi sedetti su una delle sedie più grandi e gli raccontai tutto.
[Elif Batuman, L’idiota, traduzione di Martina Testa, Torino, Einaudi 2018, p. 139]
mercoledì 5 Settembre 2018
Era difficile decidere quale corso di letteratura frequentare. Tutto ciò che dicevano i professori sembrava secondario rispetto alle questioni importanti. Tu volevi sapere perché Anna doveva morire, e invece quelli ti dicevano che i proprietari terrieri russi dell’Ottocento erano combattuti fra il sentirsi e il non sentirsi davvero europei. Il sottinteso era che fosse sinonimo di ingenuità voler parlare di qualcosa di interessante, o pensare di poter mai arrivare a capire qualcosa di importante.
[Elif Batuman, L’idiota, traduzione di Martina Testa, Torino, Einaudi 2018, p. 18]
lunedì 14 Ottobre 2013
era salito un giorno sul patibolo e gli era stata letta la condanna a morte: doveva essere fucilato, per un delitto politico. Venti minuti dopo, arrivò la sentenza di grazia, cioè la commutazione della pena. Tuttavia, nei venti minuti, o per lo meno, nel quarto d’ora trascorso tra una lettura e l’altra, egli aveva vissuto con la persuasione di dover essere giustiziato fra pochi minuti. Mi interessava molto ascoltarlo parlare quando si ricordava delle impressioni di quei momenti, e più volte mi feci ripetere la narrazione, rivolgendogli domande su domande. Si ricordava di tutto con una straordinaria chiarezza, e assicurava che non avrebbe mai dimenticato neppure i più minuti particolari di quell’ora. A circa venti passi dal patibolo circondato dai soldati e dal popolo, erano conficcati in terra tre pali, giacché dovevano essere giustiziati in parecchi. I tre primi furono condotti presso i pali, legati, vestiti di abiti mortuari (lunghi camici bianchi); calzarono loro fin sugli occhi dei berretti pure bianchi, perché non vedessero le canne dei fucili; poi, di fronte ad ogni palo, si schierò un drappello di soldati. Il mio conoscente era l’ottavo della fila, quindi gli sarebbe toccato recarsi al palo al terzo turno. Il prete presentò la croce a ciascuno dei condannati. Gli rimanevano, quindi, cinque, non più di cinque minuti di vita. E secondo lui, quei cinque minuti gli sembravano uno spazio di tempo infinito, un immenso tesoro; credeva di dovere vivere, in quei cinque minuti, tante vite, che fece persino delle disposizioni; calcolò il tempo che gli occorreva per dare l’ultimo addio ai suoi compagni e vi assegnò due minuti, altri due minuti li destinò alle proprie meditazioni intime, e un minuto lo destinò per ben guardarsi un’ultima volta intorno. Si ricordava benissimo di avere diviso proprio in quel modo il tempo che gli rimaneva da vivere. Moriva a ventisette anni, nel pieno rigoglio del suo vigore. Accomiatandosi dai compagni, ricordava di avere fatto a uno di questi una domanda che non aveva nulla a che vedere con quel momento e di essersi molto interessato alla risposta. POI, dopo avere salutato i compagni, giunsero i due minuti che aveva destinati alle meditazioni intime; sapeva anticipatamente a che cosa avrebbe pensato: voleva immaginarsi, nel modo più chiaro possibile, quello che doveva succedere: adesso esisteva, viveva, e di lì a tre minuti sarebbe stato un non so che, un qualche cosa, ma che cosa dunque? E dove? Tutto ciò intendeva risolvere in due minuti! Poco lontano di là sorgeva una chiesa, e la cupola, ricoperta di un tetto dorato, scintillava al sole. Si ricordava di avere fissato ostinatamente quel tetto e i raggi che vi risplendevano; non poteva staccare gli occhi da quei raggi, gli sembrava che fossero la sua nuova sostanza, e che, tre minuti dopo, egli si sarebbe in qualche modo amalgamato con essi… L’incertezza e il senso di ripulsione che provava di fronte a quell’ignoto che stava per cominciare, erano terribili; secondo lui, però la cosa più penosa in quel momento era questo continuo pensiero: ‘Se non dovessi morire! SE la vita potesse continuare, che eternità mi si aprirebbe innanzi! E tutto ciò sarebbe allor mio! Trasformerei ogni momento in un secolo, non perderei nulla, ogni istante sarebbe calcolato, non spenderei un attimo inutilmente!’ Diceva che questo pensiero si sera infine trasformato in una rabbia tale, che bravava persino di essere giustiziato al più presto».
Il principe tacque di colpo; tutti aspettavano ch’egli continuasse e traesse una conclusione .
[F. M. Dostoevskij, L’idiota, traduzione dal russo di Rinaldo Küfferle, Milano, Garzanti 1983 (7), pp. 74-75 ]