domenica 18 Settembre 2022
È arrivato il suo tram. Sono rimasta a guardarla mentre saliva sul predellino, entrava, afferrava il corrimano, apriva la borsa… Con il vecchio impermeabile, il vecchio ridicolo cappello che somiglia al berretto di un bambino, le scarpe scalcagnate – elegante, il viso splendido, la grigia frangia spettinata.
Un tram come tanti. Persone come tante. E nessuno si è accorto che era proprio lei.
[Lidija Čukovskaja, Incontri con Anna Achamotova. 1928-1941, traduzione di Giovanna Moracci, Milano, Adelphi 1990, p. 64]
mercoledì 12 Agosto 2020
Una invitava spesso a casa un’amica e appena quella arrivava lei: «Mi dispiace, sto uscendo!» diceva.
[Lidija Čukovskaja, dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]
venerdì 7 Agosto 2020
Una capitava di sentirla urlare: «Maledetto, carogna, te la farò vedere!».
Aiutava suo figlio a fare i compiti.
[Lidija Čukovskaja, dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]
sabato 9 Maggio 2020
Alcuni stavano dentro un tram di Leningrado, uno di quei tram come tanti altri tram, pieni di persone come tante altre persone. Solo che loro non stavano in un altro tram, stavano proprio in quello lì, quello in cui era appena salita Anna Achmatova con il suo vecchio impermeabile, il suo cappello che somigliava al berretto di un bambino, la sua frangia grigia e spettinata, le sue scarpe scalcagnate e il suo viso splendido. Stavano sul suo stesso tram e non l’avevano riconosciuta.
[Lidija Čukovskaja dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione, immagine di Kuz’ma Petrov-Vodkin]
domenica 13 Ottobre 2019
Nel 1940 ormai non scrivevo quasi più nulla i me, e sempre più spesso scrivevo di Anna Andreevna. Ed ero portata a farlo perché lei stessa, le sue parole, le sue azioni, la sua testa, le sue spalle e i gesti delle sue mani possedevano la perfezione che di solito in questo mondo appartiene soltanto alle grandi opere d’arte. Il destino della Achmatova, – qualcosa di più grande della sua stessa personalità – stava allora scolpendo, sotto i miei occhi, da quella donna famosa e abbandonata, forte e indifesa, la statua del dolore, della solitudine, della superbia e del coraggio. Le vecchie poesie della Achmotova le sapevo a memoria fin da bambina, ma quelle nuove, insieme al gesto delle mani che bruciavano il foglietto nel posacenere, insieme al profilo dal naso aquilino disegnato con precisione da un’ombra azzurra sulla bianca parete di un carcere di transito, entravano ora nella mia vita con la stessa irrevocabile naturalezza con cui già da tempo erano entrati i ponti di Leningrado, Sant’Isacco, il Giardino d’Estate o i Lungoneva.
[Lidija Čukovskaja, Incontri con Anna Achmatova. 1938-1941, traduzione di Giovanna Moracci, Milano, Adelphi 1990, p. 21]
martedì 19 Aprile 2016
Anche Anna Andreevna, quando veniva a trovarmi, mi leggeva versi di Requiem in un sussurro, ma a casa sua, alla casa sulla Fontanka, non si risolveva neppure a sussurrare; d’un tratto, nel bel mezzo del discorso, si interrompeva e, indicandomi con gli occhi il soffitto e le pareti, prendeva un pezzetto di carta e una matita; poi diceva ad alta voce qualcosa di molto frivolo: «Volete del tè?», oppure: «Come siete abbronzata!», scriveva velocemente fino a riempire il foglietto e me lo porgeva. Io leggevo i versi e, quando li avevo impressi nella memoria, glieli restituivo in silenzio. «L’autunno è venuto così presto» diceva Anna Andreevna ad alta voce e, acceso un fiammifero, bruciava il foglietto in un posacenere.
Era un rito: le mani, il fiammifero, il posacenere – un rito splendido e doloroso.
[Lidija Čukovskaja, Incontri con Anna Achmatova. 1938-1941, traduzione di Giovanna Moracci, Milano, Adelphi 1990, p. 20]