Nell’Accademia delle Umanità Antiche e Moderne
Quando vinsi un posto nell’Accademia delle Umanità Antiche e Moderne di Milano 25, subito dopo aver concluso il percorso di Acculturato Umanistico Semplice con indirizzo informatico, punti 3.7 su 10 nella scala dell’utilità pubblica stabilita dal Governo a ogni inizio di anno accademico, una studiosa del settore Stra-Antico mi mise sotto la sua protezione e mi spiegò le regole per non perdere il posto:
qui dentro se vuoi campare devi prima di tutto parlare il meno possibile di te, secondo non aspettarti niente da nessuno, terzo non essere ingiustamente maleducata con gli studenti del corso di Fondamenti Acculturato Umanistico Informatizzato. (Il corso, di dieci ore, era suddiviso in quaranta moduli di quindici minuti ciascuno. Ogni studente aveva una postazione audio-video per seguire la lezione registrata di un Professore Supremo: se nel frattempo era morto, all’inizio del video vi erano otto minuti di schermata nera in ricordo del, come da scritta bianca, «professor Tale, venuto a mancare dopo una vita dedicata allo studio di». Un assistente alla cattedra, generalmente uno studioso ai primi anni dell’Accademia, doveva controllare che non ci fosse rumore in aula e che gli studenti prendessero appunti. Raccoglieva eventuali domande che venivano poi inoltrate al Consiglio dei Dodici Semisupremi, i quali inoltravano le domande al Consiglio dei Diciotto Supervisori a Tempo Indeterminato, i quali inoltravano al Consiglio dei Ventisette Supervisori a Tempo Determinato. I quali inoltravano al Gruppo degli Aspiranti Ricercatori a Tempo Determinato, i quali non rispondevano.)
[Emmanuela Carbé, Alta marea, in L’eta della febbre, a cura di Christian Raimo e Alessandro Gazoia, Roma, minimum fax 2015, pp. 189-190]