Chiamiamola Anja
L’8 novembre del 1866, quando Anna Grigor’evna era andata ancora da Dostoevskij a lavorare, lui le aveva detto che gli era venuto in mente un romanzo nuovo, ma che non era sicuro e voleva il suo consiglio. «Io ero così orgogliosa di poterlo aiutare», scrive nelle sue memorie Anna Grigor’evna.
– Chi è il protagonista del suo romanzo?
– Un artista, un uomo non più giovane, della mia età. /…/
Per il suo eroe Fedor Michajlovič non aveva risparmiato i colori forti: era un uomo invecchiato precocemente, un malato incurabile, tetro, sospettoso, con un buon cuore, a dire il vero, ma incapace di esprimere i propri sentimenti, un arista forse di talento, ma sfortunato, che non era mai riuscito a incarnare le proprie idee nella forma che sognava da sempre…
– E poi, – aveva continuato Dostoevskij, – in questo momento decisivo della sua vita l’artista incontra una donna giovane, della sua età, più o meno, forse un anno o due di più. Chiamiamola Anja, solo per non chiamarla la protagonista. È un bel nome… È possibile che una donna giovane, così diversa per carattere e per abitudini, possa innamorarsi del mio artista? Non sarebbe, psicologicamente, inverosimile? Era questo, che volevo chiederle.
– Ma perché dovrebbe essere inverosimile. Se, come dice lei, la sua Anja non è solo una civetta, ma ha un cuore buono, sensibile, perché non dovrebbe innamorarsi del suo artista? Perché è malato e povero? Come se ci si potesse innamorare solo per l’aspetto esteriore e per la ricchezza…
Lui taceva, come se dubitasse di qualcosa.
– Si metta per un attimo nei panni di lei, – aveva detto con la voce che un po’ gli tremava, – Si immagini che questo artista, io, per esempio, si immagini che io le confessi che la amo e le chieda di essere mia moglie. Mi dica, cosa mi risponderebbe lei?
– Io le risponderei che la amo anch’io e che la amerò sempre. – aveva detto Anna Grigor’evna.
Alla vigilia del matrimonio F. M. Dostoevskij aveva trovato un nuovo appartamento sulla prospettiva Voznesenskij.
[Evgenija Saruchanjan, Dovtoevskij v Peterburge, Leningrad, Lenizdat 1970, p. 60]