Un lucchetto
Fuga, o diaspora, come venne chiamato il fenomeno a seconda dei gusti, che ebbe i suoi varchi più praticati nel tratto di confine tra il Lago Maggiore e il Lago di Como, con una punta di preferenza tra le colline che da Viggiù digradano al Mendrisiotto e in particolare nei dintorni del valico doganale di Caggiolo, dove passarono per primi, l’11 settembre 1943, venti prigionieri inglesi evasi dai campi italiani, seguiti il giorno dopo da novanta senegalesi, anch’essi provenienti dai campi di concentramento aperti alla proclamazione dell’armistizio. La sera di quello stesso giorno, dal vicino valico della Cantinetta sopra Ligornetto, entrava in formazione chiusa tutto il reggimento “Savoia Cavalleria”: 15 ufficiali, 642 sottufficiali e soldati, 316 cavalli, 9 muli. Seguivano 8 autocarri, 2 automobili, 2 motofurgoncini, una motocicletta, 32 biciclette, 4 carrette e 4 barrocci che portavano, fra l’altro, un pacco di sigari toscani, 30 bottigliette d’inchiostro, 2 pompe da bicicletta, un lucchetto, 31 ferri da cavallo, 14 forme di parmigiano, 13 sacchi di fagioli e 17 sacchi di maccheroni. Le armi erano in proporzione: 744 fucili, 19 mitragliatrici, pistole, baionette, sciabole e più di 70.000 cartucce. Così, stando al rapporto del colonnello Bolzani.
[Piero Chiara, Le corna del diavolo, Milano, Mondadori 2011, pp. 87.88]