L’autobus di Stalin

giovedì 21 Gennaio 2016

Antonio Pennacchi, L'autobus di Stalin e altri scritti

L’intervento di Antonio Pennacchi al festival sonoro della letteratura Questa è l’acqua: clic

Argomenti

sabato 12 Dicembre 2015

Sto leggendo una raccolta di saggi di Antonio Pennacchi che si intitola L’autobus di Stalin e altri scritti, e il primo saggio parla di Iosif Stalin, il secondo della moglie di Gianfranco Fini.

Molto man mano

mercoledì 9 Dicembre 2015

Antonio Pennacchi, L'autobus di Stalin e altri scritti

È per questo – pei cacciatori-raccoglitori, ma anche per la decrittazione dei segni – che ogni tanto nel traffico la gente scende dalle macchine e si scanna coi cacciavite, perché trasferisce nel traffico e sulla strada (che per l’appunto si chiama “giungla d’asfalto”) le stesse dinamiche d’allora: «Non rispetti la precedenza, cambi di corsia, sorpassi a destra o addirittura mi rubi il parcheggio? Tu stai attentando – nella mia libertà di traffico – alla mia libertà di procacciamento del cibo: vuoi la guerra».
La maggior parte della gente per fortuna – proprio perché man mano, molto man mano, si fa sempre più largo l’idea che se per tutti è obbligatorio morire non per tutti, per fortuna, è obbligatorio uccidere – capisce che non è più il caso di installare l’automatico e dare consequenzialità effettiva all’input traffico-caccia-sopravvivenza-figli. La maggior parte quindi non scende dalla macchina, dice: «Mica stiamo più a quei tempi» e domina l’impulso – la cultura, cioè, frena la natura – tenendosi il magone nello stomaco. Ma il sogno, il desiderio di scendere e farsi giustizia, è una cosa che provano tutti. Solo qualcuno, ogni tanto, non riesce a far scattare il freno inibitore: il computer si scorda il comando, l’antivirus, e la natura salta fuori libera e gioconda, mandano per aria ogni impulso culturale. È così che succedono le tragedie. Che poi non sono neanche tante in verità, succede a ben vedere assai di rado. Tanto che quando succede, il giorno dopo va a finire sul giornale e tutti dicono: «Quanta violenza che c’è in giro, quanta gente che s’ammazza per niente». Io invece, fatti i conti di quanti girano e di quanti giorni non succede nulla mi meraviglio di quanto pochi siano quelli che uccidono. M’aspetterei di più. È da lì che prende corpo il mio ottimismo e si ritempra la fiducia nelle umane sorti e progressive: «Ma tu guarda quanta gente c’è che non ammazza», perché non c’è nessuno, in mezzo al traffico, che non abbia detto almeno, una volta nella vita: «Se ero un uomo vero lo ammazzavo; bisognerebbe proprio girare armati». Io quasi tutti i giorni. Anzi, io ci giro. Ho sempre il cric a portata di mano.

[Antonio Pennacchi, L’autobus di Stalin e altri scritti, Firenze, Vallecchi 2005, pp. 45-46]