No no, io sono d’accordo, con quel che dici tu

venerdì 2 Marzo 2018

Chissà chi si ricorda di Oscar Luigi Scalfaro, un signore molto cattolico, nato a Novara nel 1918, che era stato magistrato, e poi era entrato nell’assemblea costituente, e poi era stato parlamentare dal 1946 al 1992, e poi era diventato il nono presidente della Repubblica Italiana, carica alla quale l’aveva candidato Marco Pannella, che vedeva in lui «un Pertini cattolico» e che poi aveva detto di essersi sbagliato e che Scalfaro era stato il peggiore presidente di sempre. Adesso io non voglio giudicare il valore politico del lavoro di Oscar Luigi Scalfaro, mi sento però di poter dire qualcosa sulla voce, di Scalfaro, che aveva una voce, un mondo di parlare, un’intonazione, diceva le cose con una cantilena che, quando mi capitava di sentirlo, per radio, o in televisione, a me veniva da pensare che, qualsiasi cosa avesse detto, Scalfaro, io ero contrario. Avesse anche letto un testo scritto da me, non so, l’inizio di questo pezzetto, queste poche righe in cui dico che io, qualsiasi cosa dicesse Scalfaro, ero contrario, a me, se lo sentissi, per assurdo, detto da Scalfaro, Scalfaro avrebbe un modo, di dire che io sono sempre in disaccordo con quel che dice lui, che a me verrebbe da dire «No no, io sono d’accordo, con quel che dici tu», dando il via a una spirale illogica e insensata che è meglio chiuderla subito qui, perché non è di Scalfaro, che mi voglio occupare oggi, ma di Laura Boldrini. E quel che voglio dire, di Laura Boldrini, la presidente della camera, è che lei quando parla, ha un tono, alle cose che dice dà una tale aria d’importanza, sembrano venire così dall’alto, le parole della Boldrini, che io, prima ancora che mi arrivi il senso esatto delle sue parole, a me mi viene da dire «No no, non ci siamo». Quindi, per me, parlare di Laura Boldrini, è un po’ complicato, e, di conseguenza, questo pezzetto non sarà così chiaro, e imparziale, e distaccato come quelli che l’han preceduto, portate pazienza, per cortesia, ma poca, perché di cose, sulla Boldrini, dopo questa lunga introduzione su Scalfaro, ne dirò solo e due una, la seconda, avrò solo il tempo di accennarla. La prima cosa che voglio dire riguarda la proposta della presidente della camera di introdurre una riforma linguistica che doveva portare a chiamare i ministri femmine la ministra, e i sindaci femmine la sindaca, e gli assessori femmine l’assessora e così via. La prima volta che ne avevo sentito parlare, io avevo pensato che allora, se si voleva essere almeno minimamente coerenti, bisognava chiamare un pilota maschio il piloto, uno psichiatra maschio lo psichiatro, un giornalista maschio il giornalisto, una guida alpina maschio il guido alpino, una guida turistica maschio il guido turistico, una guardia giurata maschio il guardio giurato, una vedetta, maschio, il vedetto, una sentinella, maschio, il sentinello, un pediatra, maschio, il pediatro, un barista, maschio, il baristo, un fascista, maschio, il fascisto, un ambientalista, maschio, l’ambientalisto, un obbligazionista, maschio, l’obbligazionisto, un omicida, maschio, l’omicido e che una lingua così, a me l’italiano piaceva moltissimo, e mi sembrava, come aveva detto un poeta russo che si chiama Osip Mandel’štam, «la più dadaista delle lingue romanze», ma era una lingua, che, secondo me, proprio per com’era fatta lei, non poteva rispondere sissignore agli ordini di nessuno, neanche della presidente della camera, e quando avevo sentito questa proposta a me era venuta in mente una cosa che mi sembra avesse detto un filosofo austriaco che si chiamava Wittgenstein quando aveva detto che «la lingua si cura da sé», che era una cosa che mi sembrava che fosse così, e la direzione in cui va la lingua non dipende da una persona, per quanto importante creda di essere, ma dall’insieme dei discorsi che fanno tutti i parlanti di quella lingua lì.
Un altro tema del quale si è occupata recentemente la Boldrini è l’antifascismo. Antifascismo che è diventato, un po’ a sorpresa, uno dei temi di questa campagna elettorale; la Boldrini, da una parte, sostiene che «I gruppi neofascisti vanno sciolti», qualcuno, d’altro canto, cita Pasolini e il suo «Fascismo dell’antifascismo». Io, devo dire, quando penso a Pasolini mi viene sempre in mente Manganelli, che una volta ha scritto che in certe cose che scriveva Pasolini «Quel che si nota è una tale quantità di superiorità morale nei confronti dell’universo, da essere difficilmente compatibile con una prosa comprensibile».
Ma il discorso sul fascismo e sull’antifascismo preferisco non liquidarlo nelle poche righe che mi rimangono, ci dedicheremo magari un pezzo a parte, magari già quello di domani, e oggi finisco con una frase di uno scrittore russo che in Unione Sovietica non è mai riuscito a pubblicare e che, uscito dall’Unione Sovietica e stabilitosi in America, è diventato uno dei più importanti scrittori russi del ‘900, Sergej Dovlatov. Ecco lui, Sergej Dovlatov, alla fine degli anni settanta, appena arrivato a New York, scrive: «Dopo i comunisti, quelli che sopporto meno sono gli anticomunisti».
A domani.

[Uscito ieri sulla Verità]

Il suo mestiere

domenica 20 Luglio 2014

Questa settimana la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha detto che «l’uso del linguaggio è una scelta politica, e non è giusto che donne che svolgono un ruolo non debbano avere un riconoscimento di genere anche nelle parole che le definiscono». Cioè, per esempio: se una donna facesse il muratore (che sembra una cosa strana, ma quando son stato in Russia ho visto parecchie donne che lo facevano) non bisognerebbe dire muratore, ma muratrice, se interpreto bene il pensiero della Boldrini. E se una donna facesse il facchino, per esempio, non bisognerebbe dire facchino, ma facchina. E se una donna facesse il becchino, e magari ce ne sono, che lo fanno, non bisognerebbe dire becchino, ma becchina, se interpreto bene il pensiero della Boldrini.

Adesso io, il mio mestiere, quando mi chiedono che mestiere faccio io dico che scrivo del libri, perché non mi suona molto bene la parola scrittore, che è la parola che è scritta nella mia carta d’identità alla voce: professione. Però mi ricordo una scrittrice, della quale adesso mi sfugge il nome, la moglie di quell’attore, lì, come si chiama, Castellitto, che lei, ecco, Margaret Mazzantini, adesso mi son ricordato, ecco lei, la Mazzantini, io l’ho sentita una volta per radio che diceva «Io, come scrittore»; e mi ricordo quand’ero in Russia, nel 1995, c’era un gruppo di studentesse di architettura che dopo tre giorni che ci vedevamo una di loro mi ha detto «se mi chiami ancora una volta architetta ti do un pugno», nel senso che voleva essere chiamata architetto, con la o; allora, mi viene da chiedermi, chi ha ragione, han ragione quella studentessa di architettura e la Mazzantini o ha ragione la Boldrini? E mi vien da rispondermi che non ha ragione nessuno, cioè che han ragione tutti, perché secondo me non c’è un modo giusto e un modo  sbagliato di parlare, tutti i modi son belli, e il più bello di tutti è forse quello più usato, e forse davvero quando si parla val più la pratica della grammatica, come si dice, e l’unica cosa che forse è sbagliata, in questo campo, è dire quel che si può e quel che non si può fare, assumere quell’atteggiamento lì che ha la Boldrini di volere educare gli altri. Io, per quello che conto, e conto pochissimo, dalla Boldrini vorrei che facesse bene il suo mestiere, che è presiedere la camera dei deputati, non che mi venisse a insegnare come parlare, che di parlare ho l’impressione di esser capace anche senza i consigli della Boldrini, che con i suoi interventi da presidente della camera, però, terza carica dello Stato, una cosa buona la fa, secondo me, conferma un’idea dello scrittore americano Kurt Vonnegut, che nel suo libro Un uomo senza patria scrive (nella traduzione di Martina Testa): «C’è un tragico difetto nella nostra preziosa Costituzione, e non so come vi si possa rimediare. È questo: solo gli scoppiati vogliono candidarsi alla presidenza. Ed era così già alle superiori. Solo gli alunni più palesemente disturbati si proponevano per fare i rappresentanti di classe».

 

[uscito ieri su Libero]