mercoledì 5 Ottobre 2022
Racconta Dovlatov che, nel Settecento, lo storico Nikolaj Karamsin si trovava in Francia e gli chiesero di dire, in due parole, cosa facevano in Russia, e che lui ne usò una sola: «Rubano». Infatti rubano, commenta Dovlatov nel Novecento.
mercoledì 29 Gennaio 2020
Un russo emigrato in America, con le mani in pasta dappertutto dopo alcuni giorni di assenza era ritornato dal Canada. Lì aveva fondato una società per la raccolta del silenzio. Guadagneremo milioni, aveva detto entusiasta alla sua fidanzata, Musja. C’è troppo rumore nella nostra vita, aveva continuato, e questo danneggia la nostra psiche. Ci rende nervosi. Cattivi. Alla gente manca il silenzio. E noi lo raccoglieremo, lo conserveremo e lo venderemo. A peso? gli aveva chiesto Musja. Perché a peso?, le aveva risposto. In cassette numerate. Silenzio numero uno, ad esempio: “Aurora montana”. Oppure, diciamo, silenzio numero cinque: Languore d’amore. Silenzio numero nove: Il silenzio dopo la catastrofe aerea.
[Dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]
sabato 12 Ottobre 2019
Uno faceva l’operaio in una fabbrica dove costruivano giocattoli. Orsacchiotti meccanici, carri armati, scavatrici mobili. Orsacchiotti meccanici, carri armati e scavatrici mobili a un certo punto avevano cominciato a sparire in gran quantità. Si trattava di furto ai danni dello stato. Erano iniziate le indagini. Dopo un anno si era scoperto che questo operaio aveva scavato un piccolo tunnel dalla fabbrica in via Kotovskij. Ma non era lui a trasportare i giocattoli fuori dalla fabbrica. Se ne andavano da soli. Lui li caricava, li posava a terra all’imboccatura, e orsacchiotti meccanici, carri armati, scavatrici mobili, in lunghe file interminabili, arrivavano da soli in fondo al tunnel.
[Dalla Valigia, di Sergej Dovlatov, per il Repertorio dei matti della letteratura russa, questo matto è di Anteo Radovan]
giovedì 23 Giugno 2016
Quando andavo a scuola mi piaceva disegnare i condottieri del proletariato internazionale, Marx in particolare. Buttavo giù uno scarabocchio qualsiasi e già somigliava…
[Sergej Dovlatov, La valigia, traduzione di Laura Salmon, Palermo, Sellerio 1999, p. 14]
mercoledì 3 Ottobre 2012
All’Ufficio per l’espatrio quella stronza viene a dirmi:
– Ogni emigrante ha diritto a tre valigie. Questa è la norma. In merito abbiamo disposizioni precise del ministero.
Protestare non aveva alcun senso. Ma naturalmente protestai:
– Solo tre valigie? Ma come si fa con tutta la roba?
– Per esempio?
– Per esempio, la mia collezione di automobiline da corsa…
– Se le venda – rispose l’impiegata senza pensarci.
E poi aggiunse inarcando leggermente le sopracciglia:
– Se non le sta bene qualcosa, scriva un reclamo.
– Mi sta bene – dissi.
Dopo il carcere tutto mi andava bene.
– Beh, allora si dia una calmata…
Dopo una settimana stavo già raccogliendo le mie cose e potei constatare che una sola valigia bastava e avanzava.
Dalla pena che mi facevo, poco ci mancava che mi mettessi a piangere. In fondo avevo trentasei anni. Diciotto dei quali avevo lavorato. Qualcosa avevo guadagnato, avevo comprato. In fondo, ero convinto di possedere delle cose. E invece, in tutto, una sola valigia. E per di più piuttosto piccola. Ma allora ero un poveraccio? E come avevo fatto a ridurmi così?!
[Sergej Dovlatov, La valigia, a cura di Laura Salmon, Palermo, Sellerio 2000, pp. 11-12]