lunedì 29 Aprile 2019
Ricordo con quanta assorta attenzione e piacere mi ascoltavano i soldati al fronte quando, la sera tardi (il giorno era tutto preso da occupazioni belliche), al buio (non c’era mai luce), cominciai ad insegnare loro l’aritmetica.
Essi gioivano della sensazione che avevano cominciato qualcosa dall’inizio, che si erano attaccati al vomero e aravano.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, p. 49]
venerdì 27 Luglio 2018
Domani andiamo da Chlebnikov, al cimitero di Novoeviče, e per strada leggo questa cosa di Šklovskij su Puni:
Ivan Puni è l’uomo timido per eccellenza. Ha capelli neri, parla piano, suo padre era italiano. Ho veduto di questi timidi sullo schermo cinematografico.
Ecco un imbianchino che se ne va con una lunga scala sulla spalla. Modesto, silenzioso. Ma la scala urta i cappelli dei passanti, fracassa i vetri, ferma i tram, distrugge case.
Puni invece dipinge.
Se dovessimo raccogliere tutte le recensioni scritte su di lui in russo e spremerne il furore, si potrebbero raccogliere alcuni secchi di liquido molto corrosivo e inoculare con questo la rabbia a tutti i cani di Berlino.
I cani a Berlino sono 500.000.
Puni offende la gente perché non si beffa mai di nessuno. Dipinge un quadro, lo guarda, pensa: Io non c’entro, doveva essere fatto così.
I suoi quadri sono irrevocabili e obbligatori. Egli vede lo spettatore, ma è organicamente incapace di tenerne conto. Accetta gli insulti dei critici come un fenomeno atmosferico.
Fintanto che vive, conversa. Così Colombo navigando verso l’America non ancora scoperta, giocava a scacchi seduto sulla tolda.
Per ora Puni è un pittore per pittori. Questi non lo capiscono ancora, ma già s’inquietano.
Dopo la sua morte – non la desidero, sono suo coetano e anch’io solo, – dopo la morte di Puni, erigeranno un museo sopra la sua tomba. Vi saranno appesi i suoi calzoni e il suo cappello.
Diranno: guardate come fu modesto quest’uomo geniale, con quel cappello grigio calcato sulle sopracciglia, nascondeva i raggi che gli irradiavano dalla fronte.
Qualcuno scriverà qualcosa anche sui suoi calzoni.
Infatti, Puni sa vestirsi.
Attaccheranno al muro la bolletta del gas di Puni, la pagheranno proprio per questo. Chiameranno «punico» il nostro tempo. Possano coprirsi di lebbra tutti coloro che verranno a coprire le nostre tombe con le loro menzioni onorevoli.
A nome nostro opprimeranno le generazioni venture. È così che si fanno le conserve alimentari.
Riconoscere un pittore è il mezzo più sicuro per renderlo innocuo.
Ma forse un museo non ci sarà?
Faremo del nostro meglio.
Intanto Puni, con un sorriso cortese, dipinge attentamente i suoi quadri. Sotto la giacca grigia porta una furibonda volpe rossiccia, che lo mangiucchia a poco a poco. È molto doloroso, anche se da antologia scolastica.
[Viktor Sklovskij, La mossa del cavallo, Bari, De Donato 1967, pp. 103-105]
venerdì 3 Giugno 2016
Sono a tal punto smarrito che se incrocio le gambe non so più quale sia la destra e quale la sinistra.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, p. 176]
sabato 21 Maggio 2016
Chiunque non vuol morire, vanga.
Non tutti accettano di morire.
La città si è trasformata in un orto.
[…]
Che paese curioso.
Ognuno è il proprio mezzo di trasporto, ognuno è ortolano, e ognuno si fabbrica da sé le scarpe.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, pp. 181-182]
martedì 1 Marzo 2016
Quell’inverno gelarono quasi tutti i gabinetti. Fu peggio della fame.
Prima ancora era gelata l’acqua. Nel Talmud c’è scritto che quando l’acqua non basta per dissetarsi e per completare i lavacri, è meglio non bere ma lavarsi. Noi non ci lavavamo. Gelavano i cessi. Come avvenne, lo dirà la storia. Il blocco e la rivoluzione distrussero i trasporti e la legna venne a mancare. L’acqua gelò.
Tutti noi, quasi tutta Pietroburgo, portavamo l’acqua e l’immondizia su e giù con i secchi ogni giorno. Com’è difficile vivere senza gabinetto. Un amico mio, professore, mi diceva affranto mentre percorrevamo una strada insieme, intirizziti: «Sai, invidio i cani, quelli almeno non si vergognano». La città si ricoprì di escrementi: i coltili, i portoni, per poco anche i tetti, ne erano pieni.
La visione era ributtante, a volte addirittura oscena. C’era molta spudoratezza: qualcuno faceva sfoggio di feci.
La gente orinò molto, quell’anno, spudoratamente, più spudoratamente di quanto io possa scrivere: in pieno giorno sulla prospettiva Nevskij; ovunque. Orinavano senza sfilarsi i tiranti delle slitte, senza togliersi il giogo, senza lasciare la presa delle corda degli slittini.
V’era in questo un che di sconvolto e di disperato. Per vivere occorre battersi, battersi ogni giorno, far la coda per un grado di calore, lasciarsi corrodere le mani nella cenere per la pulizia.
Poi la città venne invasa dai pidocchi. L’angoscia genera i pidocchi.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, pp. 19-20]
sabato 26 Dicembre 2015
La vita è trafitta da altre vite, da altri mondi, come l’aria dalla pioggia.
Una ruota gira e si ingrana su un’altra.
Non può essere, eppure è così. Lo sapete anche voi.
Avvitata ad un altro mondo, mia moglie dorme e non sa di che colpa mi sono macchiato in un terzo mondo.
Qualcuno tesse la nostra vita su uno strano telaio. I fili sono tesi non soltanto per il lungo e per il largo, e nemmeno soltanto verso l’alto. Quando verrà tolta dal telaio vedremo una cosa strana: non tessuto e neppure una specie di ponte, ma una ruota che lavora là dove già ne lavora un’altra che forma un angolo retto con la prima, e una vita trafitta da altre vite come l’aria è trafitta dalla pioggia.
Forse anche la vita nostra ne trafigge un’altra, come la pioggia.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, pp. 169-170]
mercoledì 19 Marzo 2014
Quando sono costretto a scrivere delle note di recensione sento d’essere quel sigillo di stato con il quale Tom, divenuto re d’Inghilterra, spaccava le noci per volere di Mark Twain.
Tuttavia si devono anche spaccare le noci.
Bisogna scrivere, non foss’altro perché non sia uno diverso da te a farlo e a tormentarti con la sua arguzia.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, p. 73]
lunedì 3 Febbraio 2014
Il materialismo storico serve egregiamente alla sociologia, ma non può sostituire le nozioni di matematica o di astronomia né possiamo servircene per costruire un ponte o determinare le leggi del movimento d’una cometa.
Non è neppure possibile, partendo dal materialismo storico, spiegare e respingere oppure accettare qualche opera d’arte o un’intera scuola artistica. Cercherò perciò di spiegare il fenomeno arte: la quercia cresce da una ghianda.
Lo scopo delle arti figurative non è mai stato quello di rappresentare oggetti esistenti: è stato e sarà la creazione di oggetti artistici: e cioè della forma artistica.
Anche se volessimo «imitare la natura» nelle arti figurative, sarebbe un attentato, fatto con mezzi non idonei, verso un obiettivo non idoneo. Ad esempio, Helmholtz ha dimostrato che il rapporto fra l’intensità della luce in un tratto di cielo e l’ombra di un bosco si può esprimere come rapporto di ventimila a uno. In un quadro invece la differenza fra la macchia più vivida e quella più scura non supera il sessanta per uno. In tal modo un quadro non può rendere, con i colori, il rapporto della luce né questo è il suo compito. Un quadro è qualcosa di costruito secondo leggi proprie, non imita.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, pp. 85-86]
sabato 1 Febbraio 2014
C’è da star freschi con avversari come questi.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, p. 141]
venerdì 29 Novembre 2013
Nell’Ivanov di Cechov una padrona di casa offre a tutti marmellata di uva spina. Ne ha cotto vari bariletti e l’offre: bisogna pur finirla.
Credo sia in Ivanov. Non posso rileggere Cechov per una seconda volta.
A quando pare la nostra gente di teatro ha una grossa provvista di marmellata di uva spina. Le commedie che si allestiscono sono decorose, tutte con una buona reputazione, ma sono cotte da tanto tempo.
[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, p. 43]