sabato 26 Febbraio 2011
Paolo Nori, che è nato a Parma nel 1963 e abita a Casalecchio di Reno, non sa mai cosa scrivere in queste note di copertina dove dovrebbe far finta di non essere lui e fare capire che è bravo, e intelligente, e modesto.
[Bandella di sinistra della Meravigliosa utilità del filo a piombo, in uscita a fine marzo per Marcos y Marcos]
mercoledì 23 Febbraio 2011
Cioè delle volte è come se tutto fosse diventato una finta scuola dove hai continuamente dei finti professori che fanno finta di darti il voto e tu devi far finta di saperne altrimenti fanno finta di bocciarti.
[La meravigliosa utilità del filo a piombo, Marcos y Marcos, in bozze, p. 65]
martedì 8 Febbraio 2011
Il mio meccanico, mi ricordo, che aveva messo a punto la macchina prima del viaggio, quando me l’aveva consegnata mi aveva dato anche un cacciavite a stella e mi aveva detto Se la macchina a un certo punto si ferma, tu parcheggi da un lato della strada, scendi, prendi questo cacciavite, sviti le targhe, sia quella davanti che quella di dietro, e la macchina la lasci lì. L’importante è che porti indietro le targhe.
[Da La meravigliosa utilità del filo a piombo, in lavorazione]
domenica 6 Febbraio 2011
Che io una volta un mio amico parlando di letteratura lui mi diceva che gli autori che piacevano a me erano tutti dei marginali, e io ho pensato Per forza.
Che gli autori che in un dato momento tutti dicono che sono fondamentali, gli autori che tu li trovi citati su tutti libri in tutti in tutti i giornali in tutte le conversazioni, gli autori alla moda, gli autori ai quali si abbeverano tutti, se così si può dire, in quel momento lì che sono alla moda che tutti ci si abbeverano, se uno ci va accanto li trova indeboliti, smunti, sbranati, fatti a pezzi, debilitati, ridotti in pillole e ammalati, anche, febbricitanti, anemici, respirano male, mangiano troppo, fan poco moto, c’è pieno di gente che li porta in giro, in palmo di mano, e allora poi loro diventano pigri, han poco fiato, fanno fatica a fare le scale, e parlano male, riescono a dire ormai solo quelle due o tre cose che ripetono così, a pappagallo, sembran dei deficienti ma magari non sono dei deficienti, magari è solo un momento difficile, bisogna avere pazienza, aspettare una ventina d’anni e poi andargli accanto e allora lì sì, che uno si rende conto di cosa hanno da dire, che ormai gli è passata la sbornia, gli son passati anche i postumi, sono lì sobri che ti dicon le cose direttamente senza in mezzo tanta ermeneutica, ma torniamo a John Cage.
[La meravigiosa utilità del filo a piombo, in lavorazione]
mercoledì 2 Febbraio 2011
Ecco, a me è successa una cosa che secondo me un po’ c’entra, con il discorso. Cioè che io, nel 2009, dopo sei o sette anni che non ci andavo, sono andato alla fiera del libro a Torino.
Il giorno prima di andare a Torino sono andato a Parma, con mia figlia, abbiamo dormito a Parma, da mio fratello, e poi son tornato a Bologna, ho lasciato mia figlia a sua mamma, in stazione e, senza passare da casa (abito lontano dalla stazione), ho preso un treno che mi ha portato a Torino. Era tutto calcolato andava bene. Solo che, a Parma, a casa di mio fratello, mi sono macchiato i pantaloni. Allora non potevo andare a Torino star via due giorni coi pantaloni macchiati, e mio fratello mi ha prestato un paio dei suoi. Solo che erano dei pantaloni con la vita bassa, che io non mi ero mai messo, e, il mattino dopo, nel tragitto che, in autobus, porta da casa di mio fratello alla stazione di Parma, mi sono accorto che mi sembrava che mi cascassero continuamente, mi sono trovato a tirarmeli su una ventina di volte, e ho pensato che non potevo star via di casa due giorni con quella sensazione lì che ti caschino le braghe che per me è proprio una sensazione sgradevolissima. Allora quando siamo arrivati nel piazzale della stazione, mi sono accorto che era giorno di mercato, e con mia figlia siamo andati in una bancarella di cinesi ho comprato un paio di braghe cinesi. Cinque euro. Un affare. Siamo andati nel bagno della stazione, mi sono cambiato le braghe, con mia figlia che mi guardava. Siamo usciti, era tutto a posto, tranne che, d’un tratto, mi è venuto in mente che avevo lasciato lo zaino sull’autobus. Noo, ho detto a mia figlia, ho lasciato lo zaino sull’autobus. Lei mi ha guardato mi ha detto Noo. Mia figlia ha cinque anni, allora ne aveva quattro. Mi ricorderò sempre il modo in cui mi ha detto Noo. Non so perché, è stata una cosa memorabile. Continua a leggere »