martedì 15 Febbraio 2022
E ho imparato che per ogni orso danzante in pensione c’è un momento in cui la libertà inizia a far male. E allora cosa fa? Si mette sulle zampe posteriori e inizia a… ballare. Fa quello che i dipendenti del parco vorrebbero fargli disimparare a ogni costo. Torna a comportarsi da schiavo. Chiama l’addestratore, vuole che torni e si prenda di nuovo la responsabilità della sua vita. “Che mi picchi, che mi maltratti, ma che si riprenda questo maledetto bisogno di doversela cavare da soli”; così sembrano dire gli orsi.
E ancora una volta ho pensato che sì, è un racconto sugli orsi. Ma anche su di noi.
[Vitold SzabƗowski, Orsi danzanti, trad. di Leonardo Masi, Rovereto, Keller 2022, p. 17]
lunedì 3 Giugno 2019
Ho già regalato questo libro a ventiquattro persone. Tra loro ci sono un poliziotto, un’addetta alle pulizie, una professoressa, il figlio di un mio cugino. Quest’ultimo si è diplomato l’anno scorso in un istituto tecnico. Un giorno è passato a trovarmi. Alla vista della mia libreria, dopo essersene uscito con un classico: «Hai letto t-u-t-t-i questi libri?» confessò di non averne mai letto uno. A scuola se l’era sempre cavata con i riassunti. «Magari ne avrei letto qualcuno» disse, «ma nella mia scuola vigeva la regola che chiunque fosse sorpreso a leggere veniva irrimediabilmente coperto di ridicolo: che razza di sfigato! Ma guardatelo, legge un libro! proprio un frocio fatto e finito!»
«Perché hai cominciato a leggere libri?» mi chiese d’un tratto, ed è la domanda che reputo la più interessante che mi sia mai stata posta.
«Perché mi sono sembrati più intelligenti delle persone che conoscevo allora»
«Consigliamene uno per cominciare»
E così, come a tanti altri prima e dopo di lui, gli diedi una copia de La morte dei caprioli belli, il mio favorito tra i favoriti.
Quelli che l’avevano ricevuto, mi chiamavano poi sbalorditi. «È il libro più antidepressivo del mondo» annunciavano (tutti all’infuori del figlio di mio cugino, che non aveva confronti).
[Mariusz Szczygieł, Postfazione, in Ota Pavel, La morte dei caprioli belli, traduzione di Barbara Zane, Rovereto, Keller 2013, p. 147-148]
venerdì 3 Maggio 2019
«Hermínka, un patrimonio ci guadagniamo, un patrimonio».
Io non sapevo cosa fosse un patrimonio, ma doveva essere qualcosa di bello e di grande perché il papà sorrideva beato e accarezzava le mani della mamma.
[Ota Pavel, La morte dei caprioli belli, traduzione di Barbara Zane, Rovereto, Keller 2013, p.12]
venerdì 7 Settembre 2018
I carri armati scivolavano facendo scoppiettare con cattiveria i tubi di scappamento e ruggire i motori, ma la tensione degli uomini e dei mezzi sembrava cozzare con quel movimento lento, quasi più avanti sulla strada qualcosa si opponesse al passaggio della colonna, e quest’ultima non sapesse in sostanza se avesse senso avanzare, se ce ne fosse la necessità. Quasi il tempo ce la mettesse tutta per iniziare, ma senza riuscirvi.
Quel giorno d’agosto durò a lungo. In lontananza, nei campi, dietro le finestre dell’ospedale, si mieteva il grano, e carri armati e mietitrebbia, così diversi come i carnivori dagli erbivori, parevano osservarsi stupiti nello scoprire altri esseri meccanici.
[Sergej Lebedev, Il confine dell’oblio, traduzione di Rosa Mauro, Rovereto, Keller 2018, p. 92]
giovedì 14 Giugno 2018
Le assi del pavimento stridevano come gesso su una lavagna rovinata, attraverso i buchi delle serrature si riuscivano a distinguere banchi e sedie altrettanto pesanti e goffe delle borsa a tracolla degli scolari. Su un banco, una riga da disegno, come se l’insegnante l’avesse dimenticata e stesse per tornare a riprenderla.
Il custode era accanto a una stufa; contro la parete, pile di manuali di lingua russa per la quarta classe, stropicciati, zeppi di scritte, passati da uno scolaro all’altro. Lui li prendeva uno alla volta, ne strappava le copertine, accartocciava le pagine perché bruciassero con più facilità e le gettava nella stufa. «La scuola, l’hanno chiusa» aveva commentato. «Di legna, non ne passano. E noi ci scaldiamo così, mica possiamo congelarci. La biblioteca è grande, fino ad aprile basterà».
Dunque, la stufa della scuola era alimentata dalla lingua russa.
[Sergej Lebedev, Il confine dell’oblio, traduzione di Rosa Mauro, Rovereto, Keller 2018, pp. 12-13]
lunedì 19 Dicembre 2016
«Lei pensa?» gli chiese con voce insicura.
«Io penso anche quando non voglio. È più forte di me».
[Patrik Ourednik, Caso irrisolto, traduzione di Alessandro Catalano, Rovereto, Keller 2016, pp. 29]
sabato 17 Dicembre 2016
La tranquillità del quartiere era dovuta anche alla presenza del parco. Non era adatto alla prostituzione e per gli spacciatori era troppo lontano dal centro. Se non fosse stato per il numero crescente di svitati che, alle prime ore del mattino e nelle tarde ore pomeridiane, si dedicava a un’attività denominata Djo-ging, che aveva sostituito gli esercizi ginnici davanti alla finestra spalancata con il panorama della fabbrica, solo poche cose, suggerivano che anche qui la ruota della Storia si era mossa.
L’unica prova lampante dell’impetuosità della Storia poteva essere individuata nella spianata di cemento artificialmente rialzata all’interno del parco. Nel punto in cui un tempo si stagliava il generalissimo Stalin, vittima del XX Congresso del PCUS, si ergeva ora un enorme pendolo, che rappresentava, con uguale proporzione di forza meccanica e simbolica, il movimento del tempo. Nel corso del penultimo anno del secolo scorso, elevato dai media al rango di ultimo, era stata temporaneamente installata sul pendolo una banda luminosa, dalla quale gocciolavano i secondi che separavano la città dalla supposta fine del secolo. Tra il primo gennaio e l’ultimo dicembre del 1999, dall’ex monumento del generalissimo Stalin erano così sgocciolati 31.536.000 secondi. Dalla presunta fine del secolo ne sono poi sgocciolati altri 111.758.400, uno identico all’altro, tutti ugualmente perplessi. Ma oggi, amici, possiamo ormai parlare del secolo scorso senza partito preso, in modo distaccato e a mente fredda. Nei libri di storia il generalissimo ha preso posto accanto a Pericle e la bomba atomica è finita nel capitolo dedicato all’evoluzione e ai cannoni di legno della battaglia ci Crécy. Non che i secondi del nuovo secolo scivolassero via in modo più intelligente, ce ne scampi Iddio, ma magari, rifletteva a volte Dyck con una tenue speranza, il prossimo sarebbe stato l’ultimo. Non è pensabile che questo esperimento duri per sempre. In quanto ex studente delle facoltà di scienze naturali e in seguito conoscitore della vita dei carabidi, Dyck aveva coscienza che la natura offre alternative. Magari è il turno delle formiche O delle meduse. Questo sì che provocherebbe [Patrik Ourednik, Caso irrisolto, traduzione di Alessandro Catalano, Rovereto, Keller 2016, pp. 13-14]
[Patrik Ourednik, Caso irrisolto, traduzione di Alessandro Catalano, Rovereto, Keller 2016, pp. 20-21]
mercoledì 7 Dicembre 2016
Dyk aveva l’abitudine di pronunciare sentenze che provenivano dalla sua zucca, abbellendole con fonti inventate, di solito bibliche. Aveva già da tempo compreso che, in Cechia, la ripetizione di qualcosa già detto da altri viene considerata la più alta manifestazione di intelligenza. Un tempo, all’epoca in cui raccoglieva coleotteri nei parchi, si assumeva la paternità delle sue sentenze («come dico sempre…»), ma non aveva mai suscitato altra reazione che sorrisi imbarazzati. Un giorno gli era venuto in mente di aggiungere «Libro di Rut, 4,6» – ed ecco che tutti gli sguardi attorno si erano illuminati, quelli delle donne di ammirazione, quelli degli uomini di invidia. Da allora aveva sempre fatto così. «La notte è l’annuncio dell’alba. Levitico, 2,10» diceva alzandosi dalla sedia e prendendo commiato da una serata. «Scava nella sabbia, troverai te stesso, Ecclesiaste, 17, 5» esortava una collega di lavoro che un giorno o l’altro contava di scoparsi. «Il padre tuona ad alta voce, ma, ahimè, il figlio non lo sente. Gilgamesh, canto terzo», consolava un vicino che si era lamentato del figlio adolescente.
Nemmeno stavolta aveva mancato l’effetto voluto. La signora Prochazka emise uno sbuffo di gioia e gettò a Dyk un’occhiata ammirata.
«Ah, lei!» commentò. «Lei sì che sa sempre trovare le parole giuste».
[Patrik Ourednik, Caso irrisolto, traduzione di Alessandro Catalano, Rovereto, Keller 2016, pp. 13-14]
lunedì 21 Marzo 2016
La fata, presso la quale si ha diritto a un desiderio, c’è per ognuno. Solo che a pochi riesce di ricordarsi del desiderio che hanno espresso; così solo pochi si accorgono del suo compimento nel corso della loro esistenza.
Walter Benjamin
[Epigrafe di Catherine Mavrikakis, Gli ultimi giorni di Smokey Nelson, traduzione di Silvia Turato, Rovereto, Keller 2016, p. 11]