Ma pensa
A radio tre, in una trasmissione che si chiama A3, il formato dell’arte, hanno appena detto che Kafka ha scritto Le metamorfosi.
A radio tre, in una trasmissione che si chiama A3, il formato dell’arte, hanno appena detto che Kafka ha scritto Le metamorfosi.
Alludendo alle Tue esperienze solevi dire in tono amaro di scherzo che noi stavamo troppo bene. Ma in un certo senso non è affatto uno scherzo. Quello che Tu avevi dovuto conquistarTi lottando non lo ricevevamo dalle Tue mani, ma la lotta per la vita, quella che a Te fu subito familiare e che naturalmente neppure a noi venne risparmiata, noi la dovemmo combattere più tardi, con forze infantili nell’età adulta. Non voglio dire che la nostra posizione sia stata più difficile della Tua, probabilmente le due posizioni si sono equivalse (per quando le tendenze naturali non si possano paragonare); il nostro svantaggio è in ciò, che noi non possiamo gloriarci delle nostre sofferenze, né umiliare con esse alcuno come invece Tu hai fatto con le Tue. Neppure nego che forse avrei potuto godere gistamente dei frutti del Tuo grande e fortunato lavoro, trarne profitto e con esso seguitare a lavorare così da procurarTi gioia e soddisfazione, ma c’era la misura che ci divide. Io potevo fruire di cià che Tu davi, ma solo nella vergogna, nella stanchezza, nell’impotenza, nel sentimento di colpa. Posso perciò esserTi grato come un mendicante, non con quanto ho compiuto.
[Franz Kafka, Lettera al padre, traduzione di Anita Rho, Milano, il Saggiatore 1985, p. 27]
E mi veniva in mente ieri sera il padre di Kafka, che Kafka lo trattava così male. Che testa, che aveva. Suo figlio era Kafka, e lui lo trattava male.
L’anno scorso Andrea Gambetta, della fondazione Solares, ha chiesto a me e a Giuliano Della Casa di mettere su qualcosa sul tema del cibo, per una mostra che si chiamava Gnam, che è l’acronimo di Gastronomia Nell’Arte Moderna, credo.
Allora con Giuliano ci siamo messi un po’ a lavorare e alla fine sono saltati fuori un testo di cinquanta minuti (25 cartelle), intitolato I libri devono essere magri, e dodici tavole un metro per cinquanta centimetri con dodici riratti di scrittori magri o meno magri, e con il fondo alla tavola il frammento di testo che a loro si riferisce.
I libri devono essere magri è, in origine, una lettura musicata (musica di Tienno Pataccini eseguita dall’Usignolo) e anche una mostra portatile (la mostra si monta nel corso della lettura) che abbiamo fatto a Parma alla fine dell’anno scorso, a Spilamberto, in provincia di Modena, poche settimane fa e che rifaremo forse a Modena, in un locale che si chiama Il baluardo, tra qualche settimana, ma adesso è anche un libro, pubblicato da Tre lune, una casa editrice di Mantova che ha pubblicato anche una bellissima edizione delle Bucoliche di Virgilio illustrata sempre da Giuliano Della Casa.
Il libro ha in quarta di copertina la tredicesima tavola, della quale non ho una riproduzione fotografica, e il cui testo (un’imitazione abbastanza spudorata di Charms) è questo qua:
Beckett, scriveva in una lingua che non era la sua.
Flaubert, voleva scrivere un libro su un fatto insignificante.
Pasternàk, di tutti i suoi libri di poesie pensava Era meglio se non lo pubblicavo.
Balzac, le prime cose che ha scritto pensava che fossero porcherie letterarie.
Sciascia, delle volte si confondeva.
Hemingway, gli piacevano i fucili.
Majakovskij, gli piaceva la polizia.
Andy Warhol, usava le parrucche.
Gogol’, pensava di essere un profeta.
Petrarca, si è fatto incoronare.
Kafka, i suoi libri avrebbe voluto bruciarli.
Tutti un po’ dei disgraziati, a guardarli così.
Le dodici immagini di Giuliano Della Casa son queste qua:
(se si clicca sulle immagini le si ingrandisce, se si clicca ancora una volta le si ingrandisce ancora e si legge anche il testo)
ps Il libro è, al momento, abbastanza difficile da trovare nelle librerie e nel testo della tredicesima tavola, mi sono accorto adesso, mi sono dimenticato Leopardi.