Lo sapete, no?
Ma lo sapete, no, il proverbio: non te la prendere con lo specchio, se hai la faccia storta.
[Jurij Michajlovič Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, traduzione di Valentina Parisi, Milano, Bompiani 2017, p. 284]
Ma lo sapete, no, il proverbio: non te la prendere con lo specchio, se hai la faccia storta.
[Jurij Michajlovič Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, traduzione di Valentina Parisi, Milano, Bompiani 2017, p. 284]
La conclusione fu che venne istituito uno speciale ufficio per la sorveglianza di Puškin (ufficio che sarebbe stato abolito vari anni dopo la morte del poeta).
[Puškin è morto l’8 febbraio 1837, 185 anni fa, la citazione è da J. M. Lotman, Puškin, trad. di F. Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 130]
Uscire dall’arte è impossibile, così come lo è uscire dalla lingua. Perfino quando tacciamo lo facciamo in una determinata lingua.
Per questo l’arte siamo noi. Noi siamo compenetrati d’arte. Ora è malata, perché siamo noi a essere malati, soprattuto in questo periodo. Siamo malati e ci lamentiamo di avere un’arte malata. Ma lo sapete, no, il proverbio: non te la prendere con lo specchio, se hai la faccia storta.
[Jurij Michajlovič Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, traduzione di Valentina Parisi, Milano, Bompiani 2017, p. 284]
Conoscete la fiaba della principessa che in realtà era un gatto, trasformato da una fata in una bellissima principessa? Questa principessa aveva una particolarità: se vedeva un topo, non poteva fare a mene di spiccare un salto per acchiapparlo. I governi riformisti in Russia tra il XVIII e il XIX secolo facevano lo stesso: sostenevano di essere liberali, eppure non sopportavano la vera democrazia. A quel punto, il gatto si risvegliava nella principessa e gli zar sentivano a pelle, d’istinto, non solo razionalmente, che una simile soluzione non era possibile.
[Jurij Michajlovič Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, traduzione di Valentina Parisi, Milano, Bompiani 2017, p. 284, la foto è di Alessio Gironi e è stata fatta a Pietroburgo la settimana scorsa, nel corso di un viaggio che si chiama Gogol’ maps (cliccare sull’immagine per ingrandire)]
Puškin era andato tanto avanti rispetto ai suoi contemporanei, che a questi pareva che fosse rimasto indietro.
[Jurij Michajlovič Lotman, Puškin, traduzione di Francesca Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 158]
La conclusione fu che venne istituito uno speciale ufficio per la sorveglianza di Puškin (ufficio che sarebbe stato abolito vari anni dopo la morte del poeta).
[Jurij Michajlovič Lotman, Puškin, traduzione di Francesca Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 130]
Puškin era un «artista in piena forza» e la curiosità continua, vuota, lo stancava, le «chiassose chiacchiere» lo incattivivano. La sua posizione nella società ricordava ciò che egli aveva descritto a Del’vig in una lettera da Malinniki: «I vicini vengono a guardarmi come se fossi il cane [ammaestrato] Munito». Più avanti aveva raccontato la trovata di Poltorackij, il padre di Anna Kern, che aveva convinto i bambini a farsi invitare perché «là ci sarebbe stato Puškin, costui è tutto di zucchero e il suo deretano pare una mela, che verrà tagliata a spicchi e distribuita a tutti. I bambini sono corsi tutti a leccarmi, ma quando si sono accorti che non ero di zucchero ci sono rimasti male».
[Jurij Michajlovič Lotman, Puškin, traduzione di Francesca Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 143]
Conoscete la fiaba della principessa che in realtà era un gatto, trasformato da una fata in una bellissima principessa? Questa principessa aveva una particolarità: se vedeva un topo, non poteva fare a mene di spiccare un salto per acchiapparlo. I governi riformisti in Russia tra il XVIII e il XIX secolo facevano lo stesso: sostenevano di essere liberali, eppure non sopportavano la vera democrazia. A quel punto, il gatto si risvegliava nella principessa e gli zar sentivano a pelle, d’istinto, non solo razionalmente, che una simile soluzione non era possibile.
[Jurij Michajlovič Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, traduzione di Valentina Parisi, Milano, Bompiani 2017, p. 284]
Anche la scrittrice francese Madame De Staël sosteneva che la Russia fosse uno stato dove il dispotismo era mitigato dal cappio. Quando la tirannide passava il segno, si poteva pur sempre strangolare lo zar.
[Jurij Michajlovič Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, traduzione di Valentina Parisi, Milano, Bompiani 2017, p. 285]
Il concetto di originalità, riferito a una cultura, può scaturire solo se accanto a essa troviamo un altra cultura. Se non c’è contrasto, allora non c’è neppure specificità. Se tutto è color verde, i colori cessano di esistere. Affinché possa comprendere di essere verde, ho bisogno che vicino a me ci sia qualcuno di rosso o di qualche altro colore. Ed è da qui che ha origine il problema intricato e, insieme, inaggirabile della comunicazione, che attraversa tutta l’esistenza. E trapela anche dai dettagli, per esempio dal modo in cui ci salutiamo. Da questo dipende come continueremo a vivere sulla Terra, se, per esempio, riusciremo finalmente a capire che le persone possono intendere la stessa cosa in modo diverso, che tutti hanno il diritto di pensarla a modo loro, che non possiamo e non dobbiamo nutrire tutti gli stessi sentimenti e amare le stesse cose, che è nel nostro interesse che gli altri siano altri. Si tratta di un ideale culturale difficile da raggiungere, ma è anche quel messaggio forse non sempre chiaro che ho cercato di includere in tutte le lezioni che vi ho proposto. E per la vostra attenzione vi ringrazio sinceramente.
[Jurij Michajlovič Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, traduzione di Valentina Parisi, Milano, Bompiani 2017, p.227-228]