Tre cose russe

sabato 13 Giugno 2009

Incollo qua sotto un pezzetto su tre cose russe tradotte quest’anno che esce oggi sul manifesto (è un po’ lunghino).

 

Tre cose russe

In un articolo del 1924, Il presente letterario, Jurij Tynjanov diceva che, ai suoi tempi, nel 1924, in Unione Sovietica, gli scrittori scrivevano senza gioia, come se facessero rotolar dei massi. Con ancora meno gioia, secondo Tinjanov, gli editori trasportavano quei massi fino alla tipografia e quegli stessi massi, poi, i lettori li guardavano con assoluta indifferenza.
I lettori, scriveva Tynjanov, si trascinano fino alle librerie e chiedono: E poi, cosa c’è? E quando gli danno questo poi, si accorgono che questo poi c’era già stato. Perché gli editori a lui contemporanei, secondo Tynjanov, non avevan fatto quasi altro, in quegli anni, che pubblicare Tarzan, il figlio di Tarzan, la moglie di Tarzan, il suo bue e il suo asino, e, con l’aiuto di Erenburg, avevano quasi convinto il lettore che questo Tarzan fosse, in sostanza, la letteratura russa. Continua a leggere »

Karačunicy

venerdì 13 Febbraio 2009

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KARAČUNICY

Luogo anticamente abitato dai Brevi, popolo di bassa statura sulla cui estinzione ancora non si è fatta chiarezza. Si ipotizza che i Brevi fossero un gruppo separatosi dal popolo dei megaliti per sfuggire all’avanzata delle tribù ugrofinniche, trovando rifugio negli impenetrabili boschi di Porchov. Secondo la leggenda i Brevi si distinguevano per la statura estremamente bassa (meno di un metro: da qui il nomignolo di “Brevi”) di origine genetica nonché legata all’eccessivo apporto proteico nella loro alimentazione (si nutrivano principalmente di insetti e vermi). I Brevi vivevano in grossi carri ricoperti da un tendone. In epoca successiva l’intera tribù emigrò in Africa in groppa a cicogne grigie e non si esclude possano essere proprio loro gli antenati dei moderni Pigmei dell’Africa Centrale. La scienza rifiuta risolutamente e integralmente l’ipotesi avanzata dal famigerato cronologo Fomenko secondo cui il re dei Franchi, Pipino il Breve, e il re polacco riunificatore della Polonia, Ladislao il Breve, fossero entrambi discendenti della tribù dei brevi. L’opinione della maggioranza degli storici è unanime e si fonda sul generale sviluppo delle conoscenze storiche: una cosa del genere non avrebbe mai potuto essere perché non avrebbe mai potuto essere. Sconfessato l’impudente, procediamo.

[Ja. M. Sen’kin, Viaggio da Pietroburgo al nulla, cit., tr. it. Roberto Lanzi, p. 44]

Porchov

domenica 8 Febbraio 2009

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PORCHOV

In lontananza, sul lato sinistro della strada, si scorge una gigantesca stazione per il pompaggio dell’acqua. Il 25 agosto 2004 lo stesso “Corriere di Porchov” ha pubblicato un articolo su un episodio avvenuto proprio in quella stazione. Titolo: IN SU È PIÙ FACILE CHE IN GIÙ. L’articolo recitava: “Tre abitanti del posto hanno trascorso circa tre giorni sulla sommità di un serbatorio piezometrico. Uno di loro si era arrampicato fin lassù in stato di forte ubriachezza con l’intenzione di suicidarsi lanciandosi direttamente sulla casa dell’odiata suocera; gli altri due, poco meno ubriachi ma veri amici, lo avevano seguito sulla struttura per scongiurare la disgrazia. E ci sono riusciti: hanno fermato in tempo l’amico disperato legandolo, ma poi non sono più stati in grado di scendere a terra, né con lui né da soli: la torre è troppo alta, quasi 50 metri. La scala in dotazione della squadra della Protezione civile giunta in soccorso era lunga solamente 30 metri ed è stato quindi necessario attendere tre giorni perché da Pietroburgo fosse portata una speciale gru di altezza adeguata con la quale si è poi riusciti a riportare a terra i tre poveri disgraziati. Durante il periodo di permanenza forzata in cima alla torretta, i tre amici hanno ricevuto viveri e bevande con l’ausilio di una catapulta costruita da un bravissmo artigiano membro del circolo I paladini di Dovmontov: i proiettili contenenti viveri e bottiglie d’acqua in plastica sono però riusciti ad atterrare in sicurezza solo il terzo giorno perché fino a quel momento soffiava un forte vento e i lanciatori non avevano grande esperienza. In seguito all’operazione di salvataggio, compiuta sotto gli occhi dell’intera Porchov accorsa ai piedi della torretta, i tre si sono visti presentare un conto di cinquemila rubli che dovranno versare all’erario in ottantassette anni sotto forma di trattenute sullo stipendio.”

[Ja. M. Sen’kin, Ferdinand, o il viaggio da Pietroburgo al nulla, tr. it. Roberto Lanzi, cit., p. 43]

Chredino

mercoledì 4 Febbraio 2009

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CHREDINO

Località nota in primis per il crollo del poderoso muro di cinta della chiesa locale, avvenuto, a nostra memoria, in epoca neanche troppo lontana. A onor del vero bisogna riconoscere che già da alcuni anni il muro aveva perso solidità e stabilità – come dicono da queste parti, “si era di molto messo di sghimbescio” – e, secondo un’antica usanza russa, era stato puntellato con un paio di travi. Quei mattacchioni dei villeggianti della domenica che arrivavano da Pietroburgo si divertivano sempre a scommettere se il muro di cinta, eretto ancora prima della rivoluzione, sarebbe rimasto in piedi fino alla fine del millennio o se invece non ce l’avrebbe fatta. Tutta una burla, sì, ma purtroppo la cosa è andata poi a finire in tragedia. Mi riferisco alla storia della cosiddetta “apparizione del Cane Nero di Chredino”, diventato famoso in tutta la Russia e di cui diedero notizia le telescriventi di tutte le più importanti agenzie di stampa del pianeta. Secondo quanto raccontato dai numerosissimi testimoni oculari, il fatto si era così svolto: una sera, al crepuscolo, in una delle stradine di Chredino, era apparso un cane gigantesco, grosso quasi come un cavallo, occhi fiammeggianti di viola come un fornello a gas e pelo scintillante al chiar di luna. Correva silenzioso questo cane. Dalle fauci fuoriuscivano nuvole di vapore fetido e dal muso sbavava schiuma. Fece irruzione nella chiesa e sotto gli occhi di uno sparuto gruppetto di parrocchiani sbranò due vecchie monache. Tempo dopo si venne a sapere che le due vecchie avevano passaporto greco ed erano originarie dell’assolata isola di Lesbo. La mostruosa creatura, comunque, non si limitò semplicemente a sbranarle, ma con la velocità del lampo e la precisione del chirurgo, mozzò la testa delle due venerande lesbie che con un tonfo rotolò sul pavimento della chiesa. Solo dopo lunghe ricerche le teste furono ritrovate nell’angolo più buio della casa di Dio. Continua a leggere »