Quando si è molto contenti
Quando un uomo è molto contento, il suo cervello, come è noto, non funziona un granché.
[Ivan Sergeevič Turgenev, Diario di un uomo superfluo, trad. di Alessandro Niero, Roma, Voland 2011, p. 27]
Quando un uomo è molto contento, il suo cervello, come è noto, non funziona un granché.
[Ivan Sergeevič Turgenev, Diario di un uomo superfluo, trad. di Alessandro Niero, Roma, Voland 2011, p. 27]
Quando un uomo è molto contento, il suo cervello, come è noto, non funziona un granché.
[Ivan Sergeevič Turgenev, Diario di un uomo superfluo, trad. di Alessandro Niero, Roma, Voland 2011, p. 27]
Di qualsiasi disgrazia si parlasse in sua presenza, magari di un villaggio incendiato da un fulmine, di un mulino travolto da una piena, di un contadino che si era staccato una mano con l’ascia, lui domandava ogni volta con un teso accanimento: «E come si chiama?», intendendo con ciò riferirsi al nome della donna che aveva causato la disgrazia, perché, secondo le sue convinzioni, causa di ogni disgrazia era una donna, e si trattava dunque soltanto di approfondire i particolari dell’accaduto. /…/
«Io dico, io sostengo che per quanto riguarda le signorine in generale, è chiaro che non intendo riferirmi alle qui presenti…»
«Ma questo non vi impedisce di pensare anche a loro», l’interruppe Dar’ja Michajlovna.
«Di loro non vorrei parlare» ripeté Pigasov. «In genere tutte le signorine peccano di affettazione in sommo grado; sono affettate nell’espressione dei loro sentimenti. Se, ad esempio, una signorina sente una gioia o un dolore in primo luogo lei imprimerà al proprio corpo un certo ti po di movimento» e qui Pigasov si piegò sgraziatamente sulla vita e spalancò le braccia «e poi lancerà un grido: “ah!”, mettendosi a piangere o a ridere. Tuttavia una volta sono riuscito a ottenere un’autentica e naturale espressione da una signorina particolarmente affettata!»
«E in che modo?»
Gli occhi di Pigasov scintillarono.
«Le assestai con una pertica di pioppo un colpo sul fianco, senza essere visto. Lei dà uno strillo e io le grido: “Brava, brava!”. Questa è stata la voce della natura, questo è stato uno strillo naturale. Anche per il futuro comportatevi sempre così”…»
Tutti i presenti scoppiarono in una risata.
«Che sciocchezze dite, Afrikan Semënyč!», esclamò Dar’ja Michajlovna. «Venite a raccontare proprio a me che avete preso a colpi di pertica una ragazza!».
«Per Dio, una pertica, una pertica enorme come quelle che si usavano nella difesa delle fortezze».
[Ivan Sergeevič Turgenev, Rudin, a cura di Giovanna Spendel, Milano, Mondadori 1984, pp. 34-36]
Qualcuno mi aveva detto che il libro Falene, di Eugenio Baroncelli (237 vite quasi perfette) era da leggere e stasera, alla libreria modo infoshop, l’ho visto, l’ho preso in mano, l’ho aperto a caso e ho visto un titolo A Baden Baden, a Baden Baden! che mi ha fatto venire in mente il modo in cui Daniil Charms parlava di Turgenev in tre delle sue scene dalla vita di Puškin e di Tolstoj, queste:
4.
Turgenev, voleva essere coraggioso come Lermontov, è andato a comprare una sciabola. Puškin, passava vicino al negozio, l’ha visto dalla finestra. Allora s’è messo a gridare, apposta: – Guarda ve’, Gogol’ – (ma con lui Gogol’ non c’era). – Guarda ve’, c’è Turgenev che compra una sciabola. Compriamo un fucile, io e te –. Turgenev, s’è spaventato, quella stessa notte è partito per Baden-Baden.
8.
Puškin, non è che fosse pigro, era un po’ un posapiano. Turgenev, sembrava avesse il ballo di San Vito, era sempre vittima del bisogno di una qualche attività. Puškin delle volte se ne approfittava. Succedeva che era steso sul divano, entrava Turgenev, Puškin gli diceva Ivan Sergeevič, non per convenienza ma per benevolenza, non andreste a prendermi una birra? E poi tranquillo si riaddormentava. Sapeva, che non c’era il caso che Turgenev tornasse. Che lui, delle volte correva a firmare una petizione, delle volte a un raduno di nichilisti, delle volte a un funerale civile. Oppure delle volte prendeva paura di qualcosa, partiva per Baden-Baden. Di restar senza birra Puškin non aveva paura. Grazie a dio, c’erano i servi della gleba. C’era, qualcuno da mandare.
5.
Lev Tolstoj e F.M. Dostoevskij avevan scommesso su chi tra loro avrebbe scritto il romanzo più bello. A far da giudice avevano chiamato Turgenev. Tolstoj era corso a casa, si era chiuso nello studio e aveva cominciato a scrivere. Di bambini, naturalmente (li amava molto). Dostoevskij invece è a casa sua che pensa: Turgenev è uno pauroso. Adesso è a casa sua e pensa: Dostoevskij è uno nervoso. Se dico che il suo romanzo è il più brutto, è capace di ammazzarmi, perfino. Cosa mi sforzo a fare? (questo lo pensa Dostoevskij). Il romanzo lo scrivo male, apposta, la grana me la becco comunque (avevan scommesso cento rubli). Nello stesso momento Turgenev è a casa sua e pensa: Dostoevskij è uno nervoso. Se dico che il suo romanzo è il più brutto, è capace di ammazzarmi, perfino. D’altra parte Tostoj è un conte. Anche con lui è meglio evitare polemiche. Ma che vadano… E quella stessa notte, di nascosto, è partito per Baden-Baden.
La biografia che c’è in Falene (pagg. 255-256), quella che si intitola A Baden Baden, a Baden Baden! è questa qua:
È un’anima mite in un corpo da lottatore. È gentile, come quei musici di una volta che nei suoi romanzi intonano le loro rapsodie fino a tardi nelle notti estive, ma vorrebbe essere audace come gli eroi e coraggioso come Lermontov. Un giorno, entra in un negozio scintillante di lame e chiede di comprare una sciabola. Bello e sfrontato, Puškin, che passa di lì per caso, lo vede attraverso la vetrina e si mette a gridare: «Guarda un po’, c’è Ivan Sergeevič che si compra una sciabola. Compriamo piuttosto un fucile, tu e io!». Lui è così spaventato che quella stessa notte parte per Baden Baden. Un giorno, Tolstoj e Dostoevskij, che hanno scommesso cento rubli su chi dei due scriverà il romanzo più bello, a far da giudice chiamano lui. Tolstoj corre a casa, si chiude nello studio e comincia a scrivere (di bambini, naturalmente). Anche Dostoevskij corre a casa, ma invece che a scrivere (di demoni, naturalmente, e nei Demoni, nel fatuo romanziere Karamzinov, avrebbe ritratto giusto lui) si mette a pensare. Pensa: «Quello è un pavido, che in questo momento sta pensando: Dostoevskij è un fascio di nervi; se boccio il suo romanzo, è capace di ammazzarmi». Pensa: «Butto giù un romanzetto da niente e mi becco la grana comunque». Pressapoco in quei momenti, lui è a casa che pensa: «Dostoevkij è un tipo nervoso. Se boccio il suo romanzo è capace di ammazzarmi. E Tolstoj? Se boccio il romanzo suo, magari non mi ammazza, ma è pur sempre un conte. Meglio evitare guai anche con lui». Quella sera corre in gran segreto alla stazione Bielorussia e prende il primo treno per Baden Baden. Scappò, con la geniale e spavalda Russia che gli sferragliava accanto nelle sospirate tenebre della notte.
Ottava e ultima parte della lettura integrale di padri e figli di Turgenev, capitoli 26, 27 e 28, clic.
Domani è il primo aprile. Possibile che io muoia domani? Sarebbe quantomeno indecoroso.
[Ivan Sergeevič Turgenev, Diario di un uomo superfluo, trad. di Alessandro Niero, Roma, Voland 2011, p. 84]
[Mi è arrivata ieri la nuova edizione di Padri e figli, per i classici della Feltrinelli. Metto qua sotto l’introduzione]
1. Il senso
Tutte le volte che, in questi anni, ho sentito parlare di nichilismo, e è successo spessissimo, ne parla continuamente anche il papa, mi è tornato in mente questo romanzo di Turgenev e in particolare il protagonista, Bazarov, e le rane, e quando per esempio ho visto il film dei fratelli Coen Il grande Lebowski, dove c’era un gruppo di nichilisti, tutti vestiti di pelle nera, che ripetevano continuamente «Noi non crediamo a niente, noi non vogliamo niente, noi non sappiamo niente», mi è venuto in mente che Bazarov non era così, lui credeva nelle rane, e non fingeva di rapire le mogli di facoltosi produttori cinematografici, come i nichilisti dei fratelli Coen, se non ricordo male, ma studiava continuamente e curava la gente e sapeva parlare coi contadini.
Mi è sembrato, nei vent’anni che sono passati dalla prima volta che ho letto Padri e figli, che il nichilismo, così come Turgenev l’aveva presentato alla pubblica opinione occidentale, fosse stato, nella sua variante moderna, completamente travisato, e mi sembrava che quelle tre cose, Bazarov, il nichilismo e le rane, fossero il senso del romanzo, e che nella corretta interpretazione del nichilismo, del ruolo di Bazarov, e del suo lavoro con le rane, stesse il senso di Padri e figli.
Adesso che l’ho riletto dopo vent’anni, mi sembra che le cose non stiano così.
2. Il caso
Sarà forse per via anche del fatto che nella biblioteca che frequento, la biblioteca Sala Borsa di Bologna, è ricomparso, dopo qualche anno, un libro che era stato mandato a rilegare, perdeva le pagine, un libro introvabile in libreria e che è piuttosto raro trovare anche nelle biblioteche, un libro pubblicato in Italia nel 1967, La mossa del cavallo, di Viktor Šklovskij, una raccolta di saggi dove a un certo punto si trova un saggio, intitolato Mille aringhe, che comincia così:
Nei manuali, i problemi sono disposti in bell’ordine. Alcuni problemi vogliono un’equazione con una sola incognita, altri, di seguito, ne richiedono di secondo grado.
Le soluzioni si trovano alla fine, incolonnate:
4835 5 pecore.
4836 17 rubinetti.
4837 13 giorni.
4838 1000 aringhe.
Sciagurato chi comincia lo studio della matematica direttamente dalle «soluzioni» e cerca di trovare un senso nell’accuratissima colonna.
Importano i problemi, il loro svolgimento, non le soluzioni.
Si trovano nella situazione di chi, volendo studiare la matematica, studia la colonna delle risposte, quei teorici ai quali nelle opere d’arte interessano le idee, le conclusioni, non la struttura delle opere.
Nel loro cervello si forma la colonna seguente:
romantici = rinuncia religiosa
Dostoevskij = ricerca di Dio
Ròzanov = problema del sesso
anno 18° = … rinuncia religiosa
anno 19° = … ricerca di Dio
anno 20° = … problema del sesso
anno 21° = … trasferimento nella Siberia settentrionale.
Ma per i teorici dell’arte esistono le cattedre universitarie, come per i baccalà esistono gli essiccatoi .
Ecco io, in questi anni, riguardo a Padri e figli, ero come un baccalà nel suo essicatoio, bisogna dire.
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– Be’, anche se non mi capisci molto bene, ti annuncio quel che segue: secondo me, è meglio spaccare i sassi per la strada, che permettere a una donna di possedere anche una falange di un tuo dito. È tutto… – Bazarov stava per pronunicare la sua parola preferita, «romanticismo», ma si trattenne e disse: – una sciocchezza. Tu adesso non mi crederai, ma io ti dico: io e te siamo capitati in una compagnia femminile, e ci stavamo bene; ma abbandonare una compagnia del genere è come roversciarsi addosso dell’acqua fredda in un giorno caldissimo. Un uomo non ha tempo di occuparsi di queste inezie. Un uomo deve essere crudele, dice un ottimo probverbio spagnolo. Ecco tu per esempio, – aggiunse rivolgendosi al contadino che sedeva in serpa, – tu, uomo intelligente, ce l’hai una moglie?
– La moliéra? C’è. Come fai, senza moliéra?
– La picchi?
– La moliéra? Delle volte. Ma sol se gh’è il motivo.
– Benissimo. E lei ti picchia?
Il contadino tirò le redini.
– E, che lavor c’a t’è dit, signor! At schersi semper… – era evidente che si era offeso.
[Ivan Sergeevič Turgenev, Padri e figli, capitolo XIX – esce in aprile]
credeva nei veggenti, nei geni della casa, negli spiriti del bosco, nei cattivi incontri, nel malocchio, nella medicina popolare, nel sale del giovedì santo, nell’imminente fine del mondo; credeva che se la domenica di Pasqua, alla messa notturna, non venivano spente le candele, il grano avrebbe fruttato bene, e che un fungo smetteva di crescere, se lo vedeva un occhio umano; credeva che il diavolo amasse i posti dove c’era dell’acqua, e che ogni giudeo avesse sul petto una macchiolina color sangue; aveva paura dei topi, delle bisce, delle rane, dei passeri, delle sanguisughe, del tuono, dell’acqua fredda, degli spifferi, dei cavalli, dei caproni, dei rossi di capelli e dei gatti neri e pensava che grilli e cavalli fossero animali impuri: non mangiava né carne di vitello, né piccioni, né gamberi, né formaggio, né aspargi, né tartufi di canna, né lepri, né cocomeri, perché un cocomero tagliato ricordava la testa di Giovanni Battista.
[Della mamma di Bazarov, dal capitolo XX di Padri e Figli]