domenica 13 Marzo 2016

1. Baistrocchi non ha alcuna voglia di scrivere e si inventa giornalista. Ma a modo suo…
Baistrocchi pratica il giornalismo disinformato, che è un giornalismo che prevede che delle cose di cui si scrive non si sappia niente e non si voglia sapere niente.
2. La sua scrittura imita il parlato, il flusso di pensieri, in cui ogni frase smentisce la precedente. Questa scrittura è la sua firma inconfondibile. Com’è nata?
Quando ho cominciato a scrivere avevo il computer su un tavolo che era contro un muro, e scrivevo guardando questo muro e la mia attenzione era tutta verso l’alto, il triangolo che percorrevo per ore, nella mia testa, era tra me, il computer e il cielo della letteratura dal quale cercavo di attingere quelle parole, quelle espressioni, quella sintassi che avrebbero fatto di me un maestro di stile, e scrivevo in una lingua dalla quale non si capiva, non si doveva capire, che io ero di Parma, nel cielo della letteratura non c’era Parma, non c’eran confini comunali, provinciali, regionali, c’eran delle altre cose, c’era il premio Nobel, c’eran dei busti un po’ impolverati, c’era la legge Bacchelli e dietro, là in fondo, c’era la crusca, e i cruscanti, che si intravedevano appena ma restava il dubbio sulla loro natura a metà tra l’umano e il divino. Dopo sei mesi circa che scrivevo tutti i giorni con questa aspirazione al cielo della letteratura, mi hanno invitato a una rivista (si chiamava Il semplice) dove, per capire se i racconti erano belli o no, li leggevano ad alta voce, e io, quando son tornato a casa ho provato anch’io a leggere le mie cose ad alta voce e pian piano le cose che scrivevo si sono macchiate della lingua del posto dove le scrivevo (Parma), e le cose da scrivere non mi venivan più dall’alto, mi venivan su da tutte le parti e quel triangolo lì, io – computer – cielo della letteratura, è diventato un triangolo con un vertice infinito, è diventato io – computer – mondo, credo che grossomodo sia successo così.
3. Baistrocchi torna in pagina con un romanzo giallo ma atipico, poiché continua a vivere la sua vita normale, la vita quotidiana.
A chi gli fa notare che lui, nei romanzi, parla della vita quotidiana, Baistrocchi risponde che lui, l’unica vita che conosce è la vita quotidiana; che la vita settimanale, o la vita mensile, o la vita annuale, lui non sarebbe capace, di parlare di quelle. E, sarà strano, ma Baistrocchi continua a avere una vita quotidiana anche quando viene implicato in un omicidio.
4. Cosa sono le “espressioni parassite”? Dobbiamo tenercene alla larga?
Sono quei nessi sostantivo aggettivo per cui se uno è ricco, è sempre sfondato, se ha la barba, è sempre folta, se c’è un fuggi fuggi, è generale, se si parla di acne, è giovanile, se c’è una bocca, è asciutta, se c’è un nucleo, è familiare, se c’è un’attesa, è dolce, se c’è un errore, è fatale, se c’è un delitto, è efferato, se c’è un’ impronta, è indelebile, se c’è un colpo, è di grazia. Non credo che la lingua parassita si debba evitare, credo la si possa usare con la consapevolezza che è lei, che ci usa, perché quando usiamo queste espressioni, mi sembra che non diciamo quel che vogliamo dire noi, mi sembra che diciamo quel che vuole dire lei.
5. Dopo il diario è giunto il tempo del minutario?
Velimir Chebnikov, all’inizio del novecento, ha scritto che nel novecento non è più sufficiente il diario, ci vuole il minutario, e quando gli torna in mente il primo sguardo che si è scambiato con la mamma di sua figlia, trent’anni prima, Baistrocchi si chiede come fare a raccontare tutto il futuro che sarebbe dipeso da quello sguardo, tutto il rumore di binari che si voltavano che loro due avrebbero dovuto sentire in quel primo minuto, in quel primo secondo, in quel primo centesimo di secondo che passavano insieme e gli sembra che, nelle cose che scrive, si debba andare in quella direzione, non raccontare i propri tempi, non raccontare la propria epoca, provare a raccontare i propri minuti, i propri secondi, i propri centesimi di secondo.
[Questa intervista di Francesco Musolino è uscita oggi sulla Gazzetta del Sud]

mercoledì 31 Ottobre 2012
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domenica 5 Febbraio 2012
[Di Dario Pappalardo, oggi su Repbblica]
Che effetto le fa sapere che i romanzi del ciclo di Learco Ferrari vengono ripubblicati? Ha intenzione di scrivere ancora di lui? Tutti i suoi lettori lo considerano un alter ego dell’autore. Anche lei?
Sono contento della riedizione di questi romanzi per Marcos y Marcos, ma non credo che scriverò altre cose con Learco Ferrari come protagonista. Per via dell’alter ego, quando ho letto la sua domanda mi sono chiesto cosa intendeva di preciso, con alter ego; allora sono andato a vedere su wikipedia, e ho trovato: Il termine viene comunemente usato nell’analisi letteraria per descrivere personaggi che sono psicologicamente opposti l’uno all’altro. Ecco, in questa prospettiva sì, considero Learco Ferrari il mio alter-ego. Poi però mi sembrava una definizione strana, sono andato sul De Mauro ho trovato che alter ego, in letteratura, è un personaggio che rispecchia specularmente la personalità del suo autore (es: Jacopo Ortis è l’alter ego di Ugo Foscolo). Ecco, a pensarci, anche in questa prospettiva, considero Learco Ferrari il mio alter-ego. Continua a leggere »

venerdì 29 Aprile 2011
[Metto qua sotto una breve intervista a Andrea Giannasi]
1) Glasnost come trasparenza e trasparenza come pubblicità. Partiamo da un punto di riferimento: le pubblicità degli anni venti e trenta del ‘900 sovietico. Cosa rimane di quelle contaminazioni oggi nella nostra società letteraria?
Non so molto, del rapporto tra pubblicità e società letteraria che credo sarebbe, a saperne parlare, un argomento molto interessante. L’unica cosa che mi viene da dire è che uno slogan (o una campagna pubblicataria) e un romanzo (o un racconto o una poesia), anche quando a scriverli è la stessa persona (penso per esempio a Malerba, che ha fatto il pubblicitario e ha scritto dei romanzi che a me sembrano bellissimi) sono generi sostanzialmente diversi tra loro; ho l’impressione che quando scrivi un romanzo, o un racconto, o una poesia, non hai un scopo, o, per meglio dire, hai uno scopo che non sapevi di avere, mentre, credo, quando partecipi a una campagna pubblicitaria, hai uno scopo preciso e il tuo lavoro, le cose che scrivi, sono funzionali a quello scopo. Ma non ho mai lavorato per la pubblicità e può darsi che la mia idea di come si scrive per una campagna pubblicitaria sia un’idea naif e priva di fondamento. Continua a leggere »

domenica 30 Maggio 2010
1. Zavattini consigliava agli sceneggiatori di prendere l’autobus per raccontare una storia. Ed è un po’ la sensazione che si prova leggendoti: salire sull’autobus, accomodarsi nella tua testa e comodamente guardare da vicino piccoli, minuziosi, ininfluenti e poetici dettagli che aprono a storie e a mondi… Non ti senti un po’ spiato?
Non mi sento spiato perché la testa che c’è dentro i libri non mi sembra sia la mia testa, è come se li scrivesse la testa di un altro che non saprei dire chi sia.
[Intervista di Norina Wendy Di Biasio, il resto si trova qui]

domenica 23 Maggio 2010
1) Qual è la situazione odierna della letteratura italiana? Quali autori non troppo noti ti sentiresti di annoverare nel “paradiso dei meritevoli”?
Della situazione odierna della letteratura italiana non ho un’idea molto precisa. Esce tanta roba e faccio fatica a leggere anche le cose che vorrei leggere. Mi succede spesso di consigliare i libri di Ugo Cornia e Daniele Benati.
2) Leggi i giornali? Come siamo messi secondo te a “libertà d’informazione”?
Non li leggo quasi mai. Per via della libertà, io ho l’impressione che la libertà dipenda da ciascuno di noi, che sia una specie di sentimento individuale che qualcuno ce l’ha, qualcuno no. L’idea di informazione, invece, non ce l’ho molto chiara. Se essere informati significa leggere i giornali, io devo dire che, quasi sempre, mi trovo meglio a essere disinformato.
3) Facci da oracolo… la “crisi”. Che è sta crisi?
In Padri e figli, di Turgenev, c’è questo passo:
Ma pensa! – disse Bazarov, – cosa significano le parole! L’ha trovata, ha detto: «crisi» e si è consolato. È stupefacente, come l’uomo creda ancora nelle parole. Gli dicono, per esempio, che è un coglione e non lo picchiano, si rattrista: lo chiamano intelligentone e non gli danno un soldo, prova piacere. Continua a leggere »

lunedì 10 Maggio 2010
[Sull’ultimo numero di Stilos dovrebbe esserci questa intervista di Alessandro Bonino]
Ti presenti? (chi sei, cosa fai, dove vivi e con chi, da dove vieni e dove stai andando, sei hai pesci, cani, gatti.)
Mi sembra una domanda un po’ indelicata; e ho anche l’impressione di non esser capace di rispondere. Cioè potrei dire che sono un uomo, ma sarebbe già una risposta impegnativa, che ho 46 anni, ma non vorrebbe dir niente, che vivo a Bologna, ma sarebbe vero in parte, che ho due cani, due setter, con i quali vado caccia tutte le mattine nella campagna tra Basilicanova e Santa Maria del Piano, potrei dire qualsiasi cosa, ma che senso avrebbe?
Quel che fai nella tua vita, ti piace? È quello che volevi fare?
Anche questa mi sembra una domanda un po’ indelicata. Comunque dipende dai giorni.
E la musica, c’è della musica che ti piace? Tu suoni o suonavi la tromba, lo fai ancora? E i Bogoncelli, che fine han fatto? Pensi di fare ancora qualcosa in ambito musicale?
Non è che mi piaccia un genere musicale. Non c’è una musica che mi piace. Mi piace il liscio, ma non tutto. Mi piace l’opera, ma non tutta. In generale, quello che mi vien da dire della musica, è che sono molto ignorante, in materia musicale. Suono la tromba in modo orribile. Recentemente, ho suonato la colonna sonora di un booktrailer, il booktrailer dei Malcontenti, che è un romanzo che è uscito da poco. Se uno vuol sentire come suono, può andare a sentirlo su youtube. I Bogoncelli, o, meglio, i nuovi Bogoncelli, visto che ci siamo sciolti e poi ci siamo ricomposti (con lo stesso identico organico e la stessa identica scaletta e gli stessi identici bis, perfino, abbiamo cambiato solo il nome), esisterebbero ancora, ma non ci chiamano più da un anno e mezzo circa. Faccio, o ho fatto, un po’ di cose con dei musicisti, Fabio Bonvicini, Umberto Petrin, Carlo Boccadoro, Maurizio Pisati, Antonio Zambrini, Mirco Ghirardini e il suo concerto a fiato L’usignolo, e son tutte cose che mi piacciono molto. Mi piacerebbe scrivere delle canzoni, alcune le ho scritte ma ci manca la musica, il testo di una è dentro un libro che si chiama Siam poi gente delicata.
Da cosa nasce la tua passione per l’Unione Sovietica?
Non lo so, da dove nasce. Mi vien da dire che mi piace la Russia perché piaceva a mio nonno, ma non tutte le cose che piacevano a mio nonno piacciono anche a me, allora mi vien da dire che mi piace perché è bella, e anche questa, come vedi, è una risposta insensata. Poi quando ci sono andato per la prima volta, in Russia, oltre a essere Russia era anche Unione Sovietica, e era un mondo stupefacente, era proprio una cosa che toglieva il fiato, che ti veniva da piangere a camminare per strada. Continua a leggere »
