martedì 19 Novembre 2019
Naturalmente, doveva succedere; è secondo le sacre e misteriose leggi della natura, e sarebbe stato vano, forse empio, far contrasto. Un uomo pensoso di sé e della galassia, uno studioso delle comete dell’anima, lettore di classici, amante della sintassi, cultore di aggettivi; tradotto, anche, in lingue bizzarramente locali, sussurrate da pochi e nevrotici indigeni; un uomo così fatto sa che la sperduta umanità si rivolgerà a lui come a un saggio, diciamo una roba zen, un po’ sul guru.
Mi si consenta di uscire dal generico, e di inalberare i vessilli del narcisismo. Mi hanno chiesto, a bruciapelo, come usava nell’Iowa, cosa pensavo della morte, che idea avevo dell’aldilà, che cosa pensavo di una certa nave fenicia, e naturalmente della droga, del Foscolo, dell’amore, dell’eros, dell’erotismo, della pornografia, del sesso, dell’eterosessualità, della fotografia, del cinema muto, degli handicappati, degli omosessuali, dell’inferno, della scuola, dei flipper, di Dio, del romanzo, ma un oracolo non ha raggiunto il suo culmine, non è se stesso, se non gli fanno la domanda estrema: «Che cosa ne pensa lei del culo?».
Di questa domanda debbo osservare in primo luogo che è formulata con il “lei”, e dunque deferente, lievemente angosciata, e che include la parola “culo”. A domande così rispondeva in altri tempi il decaduto oracolo di Delfi, o la quercia di Dodona. E appunto così avrebbero parlato gli antichi: non avrebbero detto “parti deretane”, o “natiche”, o “sedere”, o “servizi”, o “didietro, tutte parole svergognatamente senza vergogna, oneste, semplici, leali. No: è quella parola breve e sonora, quel “culo”, che vuole una risposta. Mi dicono che il culo oggi sia in crescita, che la sua dignità venga riconosciuta, che sia di moda. Quando diventerà di moda l’orecchio sinistro? O il mastoide?
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Milano, Leonardo 1989, pp.63-64]
domenica 6 Gennaio 2019
Una notizia minima – non trascuriamo le belle notizie minime, che tentano di fare di un giornale un romanzo, una favola di Esopo, un frammentato racconto di fantascienza. Dicevo, una notizia da poco; forse men che minima. Un deputato francese, mai sentito nominare, chiede all’assemblea dei Galli se non sia il caso di imporre alla televisione un giorno settimanale “senza politica”.
Una sciocchezza, no? Non sappiamo forse che la politica, la minuta, sussurrata, allusa, criptica, politica, quella che si fa incontrandosi in ascensori, in conventi, la politica insomma, è il sale della vita? Come potremmo vivere decenti, armoniose giornate senza notizie esatte, puntigliose, ora per ora, su quel che fa il tal sottogruppo, gli amici del tale, i dissenzienti del talaltro?
Qualcuno ha rinfacciato al deputato francese che, essendo costui stato gollista, seguace d’un capo intensamente televisivo, non era il più adatto a far codeste prediche. Può darsi che quel deputato fosse tormentato da sensi di colpa; che l’ossessivo ricordo di quello schermo trasformato in campo di battaglia del suo generale gli facesse desiderare una settimanale, non di più, verginità televisiva. Che sciocchezza, vero? Potremmo dire d’aver vissuto il giorno in cui non avessimo visto l’onorevole Bisaglia, almeno in bianco e nero, e ammirato il sorriso di Giulio Andreotti che stringe la mano – a chi? Fate voi, sarà certo importante e cordiale. Ma attenzione a queste sciocchezze. Rivoluzioni sono cominciate per una battuta detta fuori posto, battaglie sono state perdute perché qualcuno aveva litigato con la moglie.
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Milano, Leonardo 1989, p. 30]
giovedì 5 Giugno 2014
Qualche giorno fa, ad un posto di dogana, qui in Italia, si sono presentati diciassette coccodrilli; sul numero potrei essere impreciso, ma non sui coccodrilli. Di per sé la notizia che un folto gruppo di coccodrilli si presenta alla frontiera è interessante ma non straordinaria; il turismo impazza, in tutto il mondo si leggono dispense sulla storia dell’arte, viene fatto di pensare che quelli fossero coccodrilli in viaggio d’istruzione, “vacanze intelligenti”, come si dice. Si sa che fino a qualche tempo fa il livello culturale dei coccodrilli era modesto; ma l’istruzione obbligatoria e i computer fanno miracoli. Forse era un viaggio premio per coccodrilli laureati di fresco.
Macché; i coccodrilli, interrogati, si mostrarono del tutto disorientati, e indifferenti alla meta del viaggio; neppure la Torre di Pisa parve commuoverli. Ignoranti. I coccodrilli venivano importati da un tale per motivi che non erano specificati. Forse esiste una setta che ama i coccodrilli e li adora; se ne vedono di tutti i colori. Come che sia, i coccodrilli non sono stati ammessi. Non avevano i documenti in regola.
Forse, direte, le fotografie sui passaporti non erano somiglianti. Ci sono dei coccodrilli ricercati dalla polizia che si nascondono dietro le fattezze di coccodrilli solo vagamente somiglianti. Macché. I coccodrilli sono stati trattenuti perché non erano in regola dal punto di vista sanitario.
Confesso di aver trascurato nei miei giovani anni la patologia dei coccodrilli. Sono tuttavia lieto che a Roma, in questa città universale, questa Porta Portese cosmica, ci sia un ufficio il cui compito è di esaminare con cura le condizioni dei coccodrilli. Li guardano contro luce, li scuotono, gli fanno dire facili filastrocche, li fanno rimbalzare contro i muri, misurano polso e temperatura.
A quanto pare, questi diciassette coccodrilli erano inadeguati. Malsani, anemici, costipati, uricemici, epatici, come che sia, non facevano per noi, che i coccodrilli li vogliamo perfetti, mica dei riformati per insufficienza toracica. C’è qualcosa di affascinante in questo rigore sanitario verso i coriacei draghi africani; mi fa pensare che l’Italia, l’Italia delle Usl e della tassa sulla salute, abbia raggiunto una efficienza medica suprema. Mi vedo file di mandrilli che attendono il visto, pipistrelli ospedalizzati per singulto cronico, farfalle miopi rese felici grazie a perfezionate lenti a contratto, tartarughe fornite di acceleratore e usignoli con il registratore per controllare le proprie prestazioni.
Non so come siano finiti i diciassette coccodrilli; talora penso a quei bestioni pazienti, e mi dico che, semplicemente, nessuno li ha avvertiti che non si viaggia in diciassette. Porta male.
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Milano, Leonardo 1989, pp. 180-181]
martedì 29 Ottobre 2013
Ho davanti agli occhi lo stemma della Repubblica Italiana: la stella a cinque punte, una ruota dentata, tutt’attorno una corona di verdure varie – che poi saprò essere quercia e ulivo – e la scritta Repubblica Italiana su di un nastro, o meglio uno di quei foglietti fragili e sottili che adornavano di sentimenti i cioccolatini d’una volta.
Esiterei a definirlo bello o interessante. So che ha quarant’anni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giuliano Amato, ha detto: «Ci siamo chiesti se gli italiani si riconoscono ancora nel simbolo che combina insieme la ruota dentata, la stella a cinque punte, e i rami di quercia e di ulivo» (è così che ho appreso di che era fatta quella esornativa verdura). È un’affermazione, questa di Giuliano Amato, che merita un breve esame.
In primis, la domanda, se gli italiani «si riconoscano ancora in quel simbolo». Credo che il numero di emigranti pronti a scoppiare in lacrime clamorose scorgendo quella ruota dentata sia del tutto irrilevante. Credo che poche persone, sperabilmente innocue, si siano «riconosciute» in quel simbolo: la contemplazione di quel simbolo potrebbe entrare in un test psicanalitico non privo di interesse. Ma c’è dell’altro: penso a quell’«ancora» della dichiarazione di Giuliano Amato. Evidentemente, egli pensa che il simbolo sia invecchiato. Ma i simboli non invecchiano. Non hanno età. Ad ogni scoccar di secoli sono più solidi, imperativi, fascinosi. Le aquile di Roma, la civetta di Atene. I veri simboli uno li vede anche in sogno. Chi ha mai sognato quella ruota dentata? In verità quello non era un simbolo, era un timbro.
I timbri invecchiano. In Italia, nascono vecchi.
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Leonardo, Milano 1989, p. 147]
venerdì 8 Febbraio 2013
Sono profondamente irritato. Frustrato, ecco. Depresso. Si chiude la campagna di presentazione dei candidati e nessuno mi ha chiesto di presentarmi.
Eppure mi dicono che i partiti, ansiosi di darsi una immagine e insieme di catturare le masse, vanno cercando candidati prestigiosi, capaci di affascinare rurali e grecisti. Debbo dedurne che non sono considerato prestigioso; che si suppone che la mia capacità di irretire le folle sia irrilevante; che non porto voti, al massimo un mezzo milione, che neanche basta a mettere assieme un senatore di mezza tacca; infine, mi si dice, con questo offensivo silenzio, che io non conferisco grazia e stile ad una lista, per quanto sciamannata e folta di rudi pregiudicati. In questi giorni, lo squillo del telefono sembrava ogni volta preannunciarmi una insistente, lusinghiera richiesta. «Abbiamo bisogno di lei», «Ci occorre un nome intemerato e di sicuro prestigio», «Le folle scandiscono il suo irto cognome». Niente. Continua a leggere »
martedì 13 Novembre 2012
Mi hanno chiesto […] cosa pensavo della morte, che idea avevo dell’aldilà, che cosa pensavo di una certa nave fenicia, e naturalmente della droga, del Foscolo, dell’amore, dell’eros, dell’erotismo, della pornografia, del sesso, dell’eterosessualità, della fotografia, del cinema muto, degli handicappati, degli omosessuali, dell’inferno, della scuola, dei flipper, di Dio, del romanzo; ma un oracolo non ha raggiunto il suo culmine, non è se stesso, se non gli fanno la domanda estrema: «Che cosa ne pensa lei del culo?» Continua a leggere »
giovedì 1 Settembre 2011
Certo, viene pure il momento, socialmente responsabile, del decesso; ma la scienza, che si impiccia di cose che non la riguardano, continua a dilazionarlo; nel 2020 i “vecchi” saranno due miliardi, e sarà praticamente impossibile sedersi in autobus. L’espressione “soluzione finale” è stata inventata qualche tempo fa, e ogni tanto si riaffaccia; sono convinto che qualcuno capace di teorizzare l’intrinseca malignità della classe anziana si troverà. E allora si comincerà a studiare veramente non il problema, ma la soluzione. Voi mi capite. Epidemie selezionate. Inverni artificialmente prolungati e rigidi. Cibi maliziosamente specifici. Multe conciliabili a chi travolge un vecchio con la macchina. “Feste dell’anziano”, con giochi pericolosi e obbligatori. Magari guerricciole concordate. Ma suppongo che si cercherà di incrementare il suicidio degli anziani, con una raffinata propaganda subliminale. Televisione, cinema – da affidare agli scandinavi – e articoli di fondo pieni di simpatia per l’anziano suicida.
Ma attenzione: se tutti quei miliardi persuasi cominciassero a buttarsi dalla finestra, i marciapiedi diventerebbero impraticabili; se si impiccassero, non ci sarebbe più spago neanche per un pacchetto di paste domenicali. Forse, bisogna affrontare il problema a monte. Magari, un po’ di guerra seria, no?
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, cit., p. 98]
mercoledì 31 Agosto 2011
L’allarme, il cruccio, l’apprensione sono grandi; vi è nell’aria un disagio, si nota un tacito agitar del capo, un moto delle mani, come a dire: «No, così non si può». «No, così non si può» suggeriscono, a mezza bocca, gli esperti e ciò che «non si può» ormai lo sappiamo. Il problema era uggioso, è pressante, sarà travolgente. Insomma, questi vecchi esagerano. Ho letto che nel 2000 saranno un miliardo e duecento milioni, e c’è da scommettere che sgavazzeranno e se la spasseranno un mondo nelle loro comode, insultanti sedie a rotelle, mentre i giovani dovranno lavorare, a torso nudo anche nel cuore dell’inverno, nelle miniere, nelle fonderie, nelle gigantesche fabbriche di suini; e tutto per mantenere non solo le loro famiglie, che già non è poco, ma tutti quei “vecchi”.
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, cit., p. 96]
lunedì 18 Aprile 2011
Giorgio Manganelli, nato a Milano nel 1922, risiede – sebbene non si possa dire che viva – a Roma. Dal punto di vista sindacale è stato professore ed è giornalista e autore iscritto alla SIAE. Ha scritto saggi e pseudoracconti di cui non mena alcun vanto; di tutto il suo opus, è vanitoso, spesso in modo intollerabile, unicamente dei suoi corsivi; talora li legge da solo, e ride.
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Milano, Leonardo Mondadori 1989]
venerdì 26 Marzo 2010
Qualcuno mi chiede: come fai a vivere senza televisione? Veramente, me lo chiedo anch’io. Con tenerezza, mi fanno domande intese ad accertare se io sia un poco demente. Mi schermisco goffamente come davanti a un elogio incautamente superlativo. Sono disinformato?
[Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, cit. p. 112]