lunedì 16 Dicembre 2019
Tra abitazione, casa, domicilio, dimora, appartamento, residenza ci sono differenze significative non solo di reddito, ma di educazione, di ambiente, di cultura.
[Giuseppe Pontiggia citato in Mariarosa Bricchi, La lingua è un’orchestra, Milano, ilSaggiatore 2018, p. 111]
sabato 5 Gennaio 2019
Tu e le tue stramaledette persone fantastiche. Quante ne hai conosciute, di stramaledette persone fantastiche, Eh?
[J. D. Salinger, I giovani, traduzione di Delfina Vezzali, Milano, ilSaggiatore 2015, pp. 33-34]
(Ho scoperto di avere un libro proibito. E non posso neanche venderlo, sembra: clic. Forse mi devo costituire]
giovedì 13 Settembre 2018
«Robespierre ghigliottina il boia dopo aver fatto ghigliottinare tutti i francesi». Così si legge nella didascalia di una stampa termidoriana in cui l’incorruttibile si staglia sullo sfondo di una foresta di ghigliottine, mentre in secondo piano campeggia un monumento sepolcrale che reca l’iscrizione «Cy gyt toute la France».
[Daniele Giglioli, All’ordine del giorno è il terrore, Milano, IlSaggiatore 2018, p. 47]
giovedì 8 Febbraio 2018
Non c’era mai stato un concerto simile a quello, e Dio non voglia che ce ne sia mai un altro.
I cannoni tedeschi si trovavano a meno di 12 chilometri dalla Filarmonica, quando la Settima sinfonia di Dmitrij Šostakovič fu suonata per la prima volta nella città a cui era dedicata, nel tardo pomeriggio di sabato 9 agosto 1942. Leningrado era sotto assedio da quando i tedeschi avevano tagliato l’ultima via di terra che portava fuori dalla città, il 14 settembre 1941.
Šostakovič aveva iniziato a comporre la sua sinfonia a metà luglio del 1941, mentre i tedeschi cominciavano ad avvicinarsi. Fu portato via dalla città all’inizio di ottobre, con un volo per Mosca, insieme alla moglie e ai due bambini. Giunta a Mosca, la famiglia proseguì il viaggio verso est, fino a Kujbišev sul Volga. Šostakovič aveva portato con sé i primi due movimenti della sinfonia.
Una volta terminata, l’opera fu battezzata «Sinfonia di Leningrado» e venne eseguita con grande successo in Russia, a Londra e New York. Quando la sinfonia venne eseguita a Mosca, la scrittrice Olga Berggol’c vide il giovane, esile compositore alzarsi tra un torrente di applausi e fare un inchino. La Berggol’c, ricordando quel momento, scrisse «Io lo guardavo, un uomo così minuto, con quei grandi occhiali, e pensavo “Quest’uomo è più potente di Hitler”».
La maggiore risonanza della sinfonia però, il suo più vero dispregio dei nazisti – che i russi chiamavano «gli hitleriani» – si ottenne soltanto quando essa venne suonata nella stessa Leningrado flagellata e insanguinata. Era stato dato l’ordine che «in ogni caso» il concerto si sarebbe dovuto tenere.
[Brian Moynahan, Sinfonia di Leningrado, traduzione di Claudia Manciocco, Milano, ilSaggiatore 2017, p. 19]
lunedì 10 Luglio 2017
Orbelj si volse in direzione della Prospettiva Nevskij, il grande viale che che il poeta Aleksandr Blok riteneva «la strada più lirica, più poetica del mondo», dove più che in qualsiasi altro luogo c’era un che di misterioso nelle donne, una cupa bellezza nel loro aspetto, qualcosa di fantomatico nelle loro promesse. La città aveva sempre commosso profondamente chi l’aveva visitata. Per taluni era opprimente, mistica, tragica; per altri, eterea, magica, miracolosa. Per Lenin era un cumulo di tuguri trasudanti, maturi per l’agitazione, l’intrigo, la Rivoluzione. Per i Romanov era la capitale del mondo, il seggio dell’autorità assoluta, il mandato unto dalla benedizione della fede ortodossa.
Sempre la città evocava superlativi, colpendo lo spettatore con la maestà dei suoi spazi, l’ampiezza delle dimensioni, l’intreccio di acqua e pietra, di piloni di granito e snelli ponti, di bassi cieli e dell’interminabile freddo e neve dell’inverno. Era l’officina della Russia, il laboratorio della Russia, la culla della scienza e dell’arte russe. Qui Mendeleev ha scoperto la tavola degli elementi; qui Pavlov ha lavorato coi suoi cani ai riflessi condizionati; qui Musorgskij ha scritto la sua violenta, cupa musica, e i piedi fatati della Pavlova hanno avvinto i cuori dei granduchi e dal seno del Balletto Imperiale sono sbocciati Bakst, Diaghilev, Fokin e Nijinskij.
[Harrison E. Salisbury, I 900 giorni, traduzione di Adriana Dell’Orto, Milano, ilSaggiatore 2014, p. 19]