giovedì 28 Novembre 2019
Uno era il ragionier Berlaga. Per evitare l’epurazione era fuggito in manicomio. Il cognato aveva elaborato una strategia per rendere credibile la sua pazzia. Aveva letto un libro sugli usi e costumi dei malati di mente e avevano stabilito che la forma migliore di pazzia era la mania di grandezza. “Non dovrai fare altro” gli aveva detto il cognato “che gridare ogni tanto Io sono Napoleone, oppure Io sono Emile Zola, oppure Io sono Maometto”. Al ragionier Berlaga, potendo scegliere, gli sarebbe piaciuto essere il Vicerè delle Indie e per rendere più credibile la sua pazzia di era strappato la camicia e si era versato sulla testa una boccetta di inchiostro. Agli infermieri del manicomio, chiamati dal cognato, urlava a gran voce “Io sono il Vicerè delle Indie, dove sono i miei nahib e maharajà, dove sono i miei abreki, i miei kunaki i miei elefanti?”. E fu portato subito in manicomio. Il cognato gli aveva consigliato di urlare spesso “io sono il Vicerè delle Indie”, tanto che creò dello scompiglio e fu rinchiuso in isolamento con tre malati irrequieti come lui: uno che credeva di essere un cane, e camminava a quattro zampe e abbaiava, un altro omone baffuto che credeva di essere una donna nuda ed infine il terzo che credeva di essere Giulio Cesare e gridava “Anche tu Bruto si sei venduto ai bolscevichi!”.
Che paura gli venne al ragionier Berlaga, quando gli si avvicinò l’uomo cane, che invece di addentarlo lo guardò con interesse e venne fuori che conosceva suo padre e poi che i tre non erano mica matti ma come il ragionier Berlaga stavano fingendo. Avevano tutti e tre degli ottimi motivi per essere lì, chinon aveva pagato certi debiti e quindi rischiava di fare un viaggetto al Nord, chi rischiava l’arresto per furtarelli vari, ma la ragione più valida ce l’aveva Giulio Cesare che preferiva i matti alla Russia dei
soviet, perché solo in manicomio, diceva, c’era una certa libertà personale, c’era libertà di coscienza e pure di parola. E poi non si doveva lavorare e non si doveva sempre stare a parlare di socialismo.
[Dal repertorio dei matti della letteratura russa, questo matto è di Morena Sartori]
domenica 27 Ottobre 2019
Una giovane moglie era arrabbiata con il marito perché, per fare economia, erano costretti a mangiare arrosto di carote e salsicce vegetariane. All’obiezione del marito, che diceva che anche Tolstoj era vegetariano, la moglie aveva risposto che però, quando scriveva Guerra e Pace e Anna Karenina, Tolstoj mangiava la carne e si rimpinzava e che da vegetariano tutt’al più aveva potuto scrivere La sonata a Kreutzer che è corta.
[Dal Repertorio dei matti della letteratura russa, redazione di Milano, questo matto è di Laura Venturini]
giovedì 21 Gennaio 2016
Son stato a Parma, a presentare il Manuale pratico di giornalismo disinformato, in una libreria che mi è piaciuta molto (Clic) e ho letto un pezzetto sull’assessore alla cultura della città di Parma che dice che, nel dossier per la candidatura di Parma al titolo di città italiana della cultura 2017 hanno messo «la Parma più… più migliore», pezzetto che uscirà domani su Libero, e alla fine mi han detto che, a chi le ha fatto notare che più migliore è un errore, lei, l’assessore, è una donna, ha detto che non è un errore, è una licenza rafforzativa.
Che io, non ne avevo mai sentito parlare, delle licenze rafforzative, quando son tornato a casa le ho cercate in rete, non le ho mica trovate.
Ho trovato la licenza poetica, la licenza di pesca, la licenza windows 7, la licenza di caccia, la licenza media, ma di licenze rafforzative, niente.
E niente, заседание продолжает (la seduta continua), come direbbe Ostap Bender, che è il protagonista di questi due libri che a me sembrano due libri bellissimi (Clic, Clic).
lunedì 31 Agosto 2015
Ai pedoni bisogna volergli bene.
I pedoni costituiscono infatti la parte più numerosa del genere umano. Non solo: ne costituiscono la parte migliore. I pedoni hanno creato il mondo. Sono stati loro a costruire le città, a innalzare gli edifici di tanti piani, a impiantare i canali e gli acquedotti, a lastricare le vie e ad illuminarle con lampade elettriche. Sono stati loro a diffondere la civiltà su tutta la terra, a inventare la stampa, a scoprire la polvere da sparo, a lanciare i ponti sui fiumi, a decifrare i geroglifici egiziani, a introdurre l’uso del rasoio di sicurezza, ad abolire il commercio degli schiavi e a stabilire, infine, che coi semi della soia si possono preparare ben centoquattordici saporite e nutrienti pietanze.
E quando tutto era già bell’e fatto, quando il nostro pianeta natio aveva assunto un aspetto relativamente ordinato, soltanto allora sono apparsi gli automobilisti.
Va notato, del resto, che anche l’automobile è stata inventata dai pedoni. Ma questa è una cosa di cui gli automobilisti, da un giorno all’altro, si sono scordati. Senz’altro si sono messi a schiacciare i docili e intelligenti pedoni. Le vie, che dai pedoni erano state create, sono passate sotto il dominio degli automobilisti. Le carreggiate sono divenute larghe il doppio, i marciapiedi si sono assottigliati fino alle dimensioni d’una fascetta da tabacco. E i pedoni, spaventati, si sono ridotti a incollarsi contro i muri delle case.
Nelle grandi città i pedoni conducono una vita da martiri. Per loro si è istituito una specie di ghetto del traffico. Hanno permesso di attraversare le strade soltanto agl’incroci, cioè proprio nei punti dove il movimento è più forte e dove quel capello, a cui sta appesa di solito la vita del pedone, è più che mai soggetto a spezzarsi.
Nel nostro ampio paese, l’automobile di tipo comune – destinata nel pensiero dei pedoni al pacifico trasporto dei passeggeri e delle merci – ha assunto la minacciosa configurazione d’un proiettile fratricida. Essa mette fuori combattimento interi scaglioni di membri dei sindacati e relative famiglie. Se poi un pedone riesce per avventura a frullar via illeso di sotto l’argenteo cofano d’una macchina, sopravviene a multarlo la polizia per infrazioni alle norme del catechismo stradale.
[Il’ja Il’f, Evgenij Petrov, Il vitello d’oro, traduzione di Agostino Villa, Pordenone, Studio Tesi 1992, pp. 9-10]
mercoledì 13 Aprile 2011
Una donna andava al cimitero a lamentarsi col marito defunto di com’era dura la vita. Il guardiano, che non ne poteva più, di questa cosa, aveva detto, con voce d’oltretomba, da dietro un albero:
– Friggi delle ciambelle.
– E come faccio a friggerle? Non ho soldi.
– E allora non friggerle.
– E come faccio a non friggerle? Muoio di fame.
– E allora friggile.
[Il’ja Il’f, Zapisnye knižki (Taccuini), Moskva, Tekst 2000, p. 164 ]