Abbandonare ogni falsa vergogna

giovedì 8 Ottobre 2020

Per avere più soldati abbiamo bisogno di più soldi. Dove possiamo prendere questi soldi? Ritengo necessario aumentare, per quanto possibile, la produzione di vodka. Dobbiamo abbandonare ogni falsa vergogna e spingere apertamente per la massima produzione di vodka.

Lettera di Stalin a Molotov, primo settembre 1930

[Andrea Graziosi, L’Unione Sovietica in 209 citazioni, Bologna, il Mulino 2006, p. 67]

Anche Togliatti

martedì 26 Giugno 2018

Qualcuno si dice certo che

anche Togliatti spesso in Italia negli anni del dopoguerra usava ordinare ai compagni di uccidere e mangiare i loro stessi figli per lenire alla penuria alimentare nel dopoguerra.

Altri ancora preferiscono fornire spiegazioni più metaforiche:

I comunisti non mangiano i bambini nel senso letterario della parola, ma «mangiano» è inteso come perdita dell’essere spensierati e giocare come bambini, visto che venivano assorbiti nei lavori dei grandi. Perché nel comunismo si diventava adulti rapidamente. Ecco la momea del comunista che mangia i bambini, mangia la loro infantilità e spensieratezza.

[Stefano Pivato, I comunisti mangiano i bambini. Storia di una leggenda, Bologna, il Mulino 2013, p. 17]

Due eventi importanti

giovedì 21 Settembre 2017

Due eventi importanti stanno avendo luogo in questi giorni nel paese, e la gente ne parla: l’erezione di due mie statue come Eroe dell’Unione Sovietica e Eroe del lavoro socialista nel mio paese natale, e la mia promozione al rango di Maresciallo dell’Unione Sovietica.

L. I. Brežnev a una riunione di dirigenti degli Uffici affari generali del partito, 19 maggio 1976

[Andrea Graziosi, L’Unione Sovietica in 209 citazioni, Bologna, il Mulino 2006, p. 95]

E lo chiamate lavoro?

domenica 17 Settembre 2017

E lo chiamate lavoro? Non avete ancora portato a termine una sola esecuzione! Che gentaglia siete?

N. S. Chruščëv a dei generali del commissariato
agli Interni (Nkvd),vicinanze di Leopoli,
23 settembre 1939

[Andrea Graziosi, L’Unione Sovietica in 209 citazioni, Bologna, il Mulino 2006, p. 95]

Con la grazia di un cigno

lunedì 3 Aprile 2017

Osservare l’entrata di un cameriere nella sala da pranzo di un albergo è uno spettacolo istruttivo. Varcando la porta avviene in lui un improvviso mutamento. Cambia l’assetto delle sua spalle; tutto lo sporco, la fretta e l’irritazione spariscono in un attimo. Con solenne aria sacerdotale egli scivola sul tappeto. Ricordo il nostro maître d’hotel in seconda, un focoso italiano, fermarsi sulla porta della sala da pranzo per rimproverare un apprendista che aveva rotto una bottiglia di vino. Agitando il pugno sopra la testa si mise a gridare (per fortuna la porta non lasciava quasi passare i suoni): «Tu me fais… Ti ritieni un cameriere, pezzo d’animale? Tu sei un cameriere! Non saresti nemmeno capace di lavare il pavimento del bordello da dive viene tua madre… Maquereau!». Mancandogli le parole si volse verso la porta e, parendola lanciò un insulto finale come Squire Western in Tom Jones.
Poi entrò in sala da pranzo scivolando con la grazia di un cigno recando un vassoio in mano: dopo dieci secondi s’inchinava ossequiosamente davanti al cliente. Guardandolo inchinarsi e sorridere con il benevolo sorriso del cameriere ben addestrato, non si poteva fare a meno di pensare che l’avventore provasse una certa vergogna nell’esser servito da un simile aristocratico.

[George Orwell, Down and Out in Paris and London, London, Secker & Warburg 1951, pp. 68-69, citato in Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, traduzione di Margherita Ciacci, Bologna, il Mulino 1969, pp. 142-143]

Non lasciatevi pescare seduti

mercoledì 28 Dicembre 2016

Erving Goffman

Siamo abituati a ritenere che le regole di decoro che prevalgono nei luoghi sacri, come ad esempio nelle chiese, siano molto diverse da quelle che prevalgono sul lavoro. Cionostante non si deve pensare che le norme che vigono nei luoghi sacri siano più numerose o più rigide di quelle che troviamo sui luoghi di lavoro. In chiesa, infatti, è ammesso che una donna stia seduta, sogni ad occhi aperti e magari dormicchi, ma una commessa di un negozio di abbigliamento deve stare in piedi, all’erta, evitare di masticare chewing-gum, sorridere, anche se non sta parlando con nessuno, e indossare abiti che può a malapena permettersi.
Una forma di decoro che è stata studiata nella istituzioni sociali è ciò che si può chiamare «fare finta di lavorare». In molti stabilimenti si sa che non solo è richiesto agli operai di produrre un certo quantitativo entro un certo tempo, ma si pretende altresì che essi, in determinate situazioni, diano l’impressione di star lavorando intensamente. Ecco quanto si racconta a proposito di un cantiere navale:

Era interessante osservare l’improvvisa trasformazione che aveva luogo tutte le volte che correva voce che il capocantiere era sullo scafo o nell’officina o che stava per arrivare un dirigente. Tutti i capireparto correvano dai loro operai e li incitavano a darsi da fare ostentando un’attività qualsiasi. «Non lasciatevi pescare seduti», era la parola d’ordine, e anche dove non c’era niente da fare, un tubo veniva laboriosamente piegato e filettato, o un bullone già saldamente fissato al suo posto veniva assoggettato a una più forte e inutile stretta. Questo era l’omaggio formale che invariabilmente veniva tributato a ogni capo in visita e il rituale era tanto ben conosciuto sia dagli operai che dai capi, quanto lo è nell’esercito quello riservato all’ispezione di un generale di corpo d’armata. Il trascurare un qualsiasi dettaglio dell’inutile esibizione a vuoto sarebbe interpretato come un segno di particolare mancanza di rispetto.

[Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, traduzione di Margherita Ciacci, Bologna, il Mulino 1969, pp. 130-131]

In-baculum

sabato 5 Novembre 2016

Maurizio Ferraris, L'imbecillità è una cosa seria, Bologna, il Mulino

«Imbecille», infatti, deriva da in-baculum, colui che è privo di bastone, incapace, ad esempio, di incarnare la terza età della vita nell’enigma che la sfinge pone a Edipo: insomma, l’uomo al naturale senza ausili tecnici, giuridici o sociali, siano questi fogli di fico o loden, clave, ruote, accendini o telefonini. Quel che è peggio è che l’inadeguatezza risulta duplice, e disegna per l’appunto quella che più avanti definirò «dialettica dell’imbecillismo», inversa e simmetrica alla più dibattuta, ma infinitamente meno influente, dialettica dell’illuminismo.

[Maurizio Ferraris, L’imbecillità è una cosa seria, Bologna, il Mulino 2016, p. 25]