giovedì 17 Giugno 2021
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi vi crede
[27 e 28 ottobre sono a Losanna a un convegno su Morgante, mi sembra così strano. Che io, gli ho detto, del Morgante non so niente, Per quello la invitiamo, mi han risposto loro]
sabato 29 Ottobre 2016
E il Morgante, per come l’ho capito io, è, come abbiano già detto, come un Don Chisciotte che non si chiamasse però Don Chisciotte ma Sancho Panza, un Don Chisciotte dove il protagonista fosse Sancho Panza, o, per esempio, una Peste di Camus il cui protagonista non fosse il medico, Rieux, ma Monsieur Grand, l’addetto alle statistiche del comune di Orano che vuol scrivere un romanzo tale che, quando arriverà sulla scrivania di un editore, costringa l’editore, sin dalla prima frase, a alzarsi in piedi e a dire ai suoi impiegati: «Signori, giù il cappello!».
E allora, per tutto il romanzo, Monsieur Grand riscrive sempre la stessa frase, che è, in origine: «In una bella mattina del mese di maggio, un’elegante amazzone percorreva, su una superba giumenta saura, i viali fioriti del Bois de Boulogne» e poi diventa «In una bella mattina del mese di maggio, una svelta amazzone, che montava su una superba giumenta saura, percorreva i viali fioriti del Bois de Boulogne», e poi: «In una bella mattina del mese di maggio, una svelta amazzone, che montava su una nera giumenta saura, percorreva i viali fioriti del Bois de Boulogne», e poi: «In una bella mattina del mese di maggio, una svelta amazzone che cavalcava una sontuosa giumenta saura percorreva i viali pieni di fiori del Bois de Boulogne», ma non andava bene neanche questo per via dei tre genitivi di seguito e lui, Monsieur Grand, per tutto il romanzo va avanti a correggere questa prima frase finché non muore, ed è ancora una volta l’inizio della letteratura e mi viene in mente che sarebbe bellissimo, se il protagonista della Peste fosse lui, così come sarebbe bellissimo se il protagonista dei Promessi sposi fosse Don Abbondio, e se fosse lui, per dire, ad avere una storia con Lucia, e fosse così innamorato da volerla sposare, e arrivassero due vescovi, inviati dal papa, e gli dicessero: «Questo matrimonio non s’ha da fare», oppure se l’Odissea fosse raccontata tutta da Argo, il cane di Ulisse, dal suo punto di vista da cane, ad altezza cane, per così dire, sarebbe da fare, a saperlo fare, e quel che vorrei dire, per finire questo discorso, è che tanto più sorprendente è la figura e l’enfasi che si posa, nel Morgante, su Morgante e Margutte, cioè su due personaggi laterali, scalcinati, sboccati e deformi, e, oltre che non nobili, non cristiani di nascita e non eruditi, tanto più sorprendente è quest’enfasi se si considera, l’ho già detto, ma è una cosa che continua a sembrarmi stupefacente, che il poema era stato commissionato dalla mamma di Lorenzo il Magnifico, Lucrezia Tornabuoni, e questa cosa mi fa pensare che l’idea di Malevič (clic) vale anche nel Morgante, e che la legge che guida Pulci nella stesura del Morgante è una legge che non ha a che fare con l’utilità, con la corte, con il gusto, e tanto meno con il buon gusto, ma con le stelle del firmamento, mi viene da dire.
lunedì 22 Agosto 2016
E per tornare alla polivocità del Morgante, che, se non mi sbaglio, era la cosa di cui stavamo parlando, e chiudere finalmente questo quarto discorso, il personaggio che forse ha la voce più singolare e più dissonante rispetto a tutti gli altri è uno che, nel contesto specialissimo del Morgante di Pulci, a me ha ricordato il protagonista di quel libro stupefacente che sono le Anime morte di Gogol’, il cui protagonista, come si sa, è il possidente Pavel Ivanovič Čičikov, un signore «non bello ma nemmeno brutto d’aspetto, né troppo grasso, né troppo magro, non si poteva dire che fosse troppo vecchio, però non è che fosse neanche troppo giovane» ; cioè un signore assolutamente medio, che non si distingue in nulla dai suoi contemporanei se non per la sua gentilezza e la sua faccia tosta.
Ecco, nel mondo di Morgante, che è un mondo di paladini e di giganti, di re, di soldani e principesse, di draghi e di cavalli, di cammelli e coccodrilli, questa medietà è rappresentata da un personaggio che si chiama Margutte, che è il nome che si dava, nel medioevo, ai fantocci di legno usati nella giostra della quintana. Questo Margutte era un mezzo gigante, alto sette braccia, che se si prende il braccio fiorentino, che corrisponde a 58,32 centimetri, corrispondono a poco più di 4 metri e 8 centimetri, cioè altro più o meno come una giraffa, cioè non troppo alto né troppo basso, nell’universo di Morgante.
E, conformemente alla sua attitudine di medietà, quando Morgante gli chiede:
Dimmi più oltre: io non t’ho domandato
se se’ cristiano o se se’ saracino,
o se tu credi in Cristo o in Apollino.
(XVIII, 114)
Rispose allor Margutte: – A dirtel tosto,
io non credo più al nero ch’a l’azzurro,
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto:
e credo alcuna volta anco nel burro,
nella cervogia e, quando io n’ho, nel mosto,
e molto più nell’aspro che il mangurro [vino dolce]
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi vi crede:
(XVIII, 115)
e credo nella torta e nel tortello.
l’uno è la madre e l’altro è il suo figliol;
e ‘l vero pater nostro è il fegatello,
e possono esser tre, due ed un solo,
e diriva dal fegato almen quello.
E perch’io vorrei ber con un ghiacciuolo,
se Macometto il mosto vieta e biasima,
credo che sia il sogno o la fantasima
(XVIII, 116)
Ed è un personaggio, Margutte, che usa dei verbi come ‘pillottare’, che significa «Fare sgocciolare il lardo sull’arrosto» :
S’io ti dicessi in che modo io pillotto,
o tu vedessi com’io fo col braccio,
tu mi diresti certo ch’io sia ghiotto;
o quante parte aver vuole un migliaccio [sanguinaccio]
che non vuol esser arso, ma ben cotto,
non molto caldo e non anco di ghiaccio,
anzi in quel mezzo, ed unto ma non grasso
(parti ch’i’ ‘l sappi?), e non troppo alto o basso.
(XVIII, 124)
E con questo pillotto, solo con l’uso di questa parola, ci dice, Margutte, molto di sé, che uno che usa un verbo che significa «Far sgocciolare il lardo sull’arrosto», è uno che un po’ si capisce, che vita fa, ed è l’unico personaggio che, nel Morgante, usa questo verbo ed è lo stesso personaggio che un po’ più avanti, mangia, con Morgante, un unicorno, e una testuggine, e un basilisco, e un elefante, e un cammello, e dice che le tre virtù cardinali sono «la gola e ‘l culo e ‘l dado» e la quarta è rubare, e questo mezzo gigante, è, nel romanzo, uno dei personaggi principali e la sua voce è, insieme a quella di Morgante, la voce che resta più impressa, la voce giuda, in un certo senso.
E il Morgante, per come l’ho capito io, è, come abbiano già detto, come un Don Chisciotte che non si chiamasse però Don Chisciotte ma Sancho Panza, un Don Chisciotte dove il protagonista fosse Sancho Panza, o, per esempio, a una Peste di Camus il cui protagonista non fosse il medico, Rieux, ma Monsieur Grand, l’addetto alle statistiche del comune di Orano che vuol scrivere un romanzo tale che, quando arriverà sulla scrivania di un editore, costringa l’editore, sin dalla prima frase, a alzarsi in piedi e a dire ai suoi impiegati: «Signori, giù il cappello!».
E allora, per tutto il romanzo, Monsieur Grand riscrive sempre la stessa frase, che è, in origine: «In una bella mattina del mese di maggio, un’elegante amazzone percorreva, su una superba giumenta saura, i viali fioriti del Bois de Boulogne» e poi diventa «In una bella mattina del mese di maggio, una svelta amazzone, che montava su una superba giumenta saura, percorreva i viali fioriti del Bois de Boulogne», e poi: «In una bella mattina del mese di maggio, una svelta amazzone, che montava su una nera giumenta saura, percorreva i viali fioriti del Bois de Boulogne», e poi: «In una bella mattina del mese di maggio, una svelta amazzone che cavalcava una sontuosa giumenta saura percorreva i viali pieni di fiori del Bois de Boulogne», ma non andava bene neanche questo per via dei tre genitivi di seguito e lui, Monsieur Grand, per tutto il romanzo va avanti a correggere questa prima frase finché non muore, ed è ancora una volta l’inizio della letteratura e mi viene in mente che sarebbe bellissimo, se il protagonista della Peste fosse lui, così come sarebbe bellissimo se il protagonista dei Promessi sposi fosse Don Abbondio, e se fosse lui, per dire, ad avere una storia con Lucia, e fosse così innamorato da volerla sposare, e arrivassero due vescovi, inviati dal papa, e gli dicessero: «Questo matrimonio non s’ha da fare», oppure se l’Odissea fosse raccontata tutta da Argo, il cane di Ulisse, dal suo punto di vista da cane, ad altezza cane, per così dire, sarebbe da fare, a saperlo fare, e quel che vorrei dire, per finire questo discorso, è che tanto più sorprendente è la figura e l’enfasi che si posa, nel Morgante, su Morgante e Margutte, cioè su due personaggi laterali, scalcinati, sboccati e deformi, e, oltre che non nobili, non cristiani di nascita e non eruditi, tanto più sorprendente è quest’enfasi se si considera, l’ho già detto, ma è una cosa che continua a sembrarmi stupefacente, che il poema era stato commissionato dalla mamma di Lorenzo il Magnifico, Lucrezia Tornabuoni, e questa cosa mi fa pensare che l’idea di Malevič vale anche nel Morgante, e che la legge che guida Pulci nella stesura del Morgante è una legge che non ha a che fare con l’utilità, con la corte, con il gusto, e tanto meno con il buon gusto, ma con le stelle del firmamento, mi viene da dire.
venerdì 27 Maggio 2016
Raffaello Baldini, che è un poeta che scriveva prevalentemente nel dialetto di Santarcangelo di Romagna, e scriveva delle poesie come questa, che si intitola La cambra schéura (La camera cieca):
Che pu um suzéd da rèd, e u n sint niseun,
(Che poi mi succede di rado, e non sente nessuno,)
tla cambra schéura, ad sòtta, tra i pan spórch,
(nella camera cieca, di sotto, tra i panni sporchi,)
a céud la pórta, e a rogg. Dopo a stagh méi.
(Chiudo la porta, e urlo. Dopo sto meglio)
Baldini, dicevo, una volta ha detto che quelli che sanno il dialetto, quando parlano in dialetto non fanno mai errori, che è una cosa alla quale non avevo mai pensato ma che mi vien da dire che è vera; c’è una libertà, nel parlare in dialetto, che è abbastanza stupefacente e è dovuta, forse, al fatto che non ci si mettono in mezzo la scuola e la grammatica prescrittiva, se capisco bene cosa vuol dire grammatica prescrittiva e quella libertà lì, nel Morgante, io ho l’impressione di sentirla tutta.
venerdì 5 Giugno 2015
Ecco Milone d’Angrante, per combinazione, era il babbo di Orlando, nonché, altra combinazione, lo zio dell’abate, che si chiamava Chiaramonte e era figlio di Ansuigi, cioè del fratello del babbo di Orlando, cioè era suo nipote, di Milone d’Angrante, cioè del padre di Orlando, e era anche primo cugino di Orlando, che lì, nell’antichità, noi non ci pensiamo, ma provate a leggere l’Iliade, io un paio di anni fa mi son messo a legger l’Iliade e a legger l’Iliade, è stranissimo, son tutti figli di qualcuno, invece noi, nella modernità, non siam più figli di nessuno, mi vien da dire, ma chissà se è vero.
[Da Il Morgante di Pulci (raccontato da me), in preparazione]