mercoledì 8 Aprile 2015
Il passato remoto è dunque in fondo l’espressione di un ordine e conseguentemente di un’euforia. Esso fa sì che la realtà non sia né misteriosa né assurda, ma chiara, quasi familiare; raccolta ogni momento e contenuta nella mano di un creatore, essa subisce l’ingegnosa pressione della sua libertà. Per tutti i grandi narratori del XIX secolo, il mondo può essere patetico, ma non è abbandonato, perché non c’è sovrapposizione dei fatti scritti, perché chi lo racconta ha il potere di rifiutare l’opacità e la solitudine delle esistenze che lo compongono, perché in ogni frase può dare comunicazione di una gerarchia delle azioni, perché in poche parole queste azioni si possono in definitiva ridurre a segni.
[Roland Barthes, La scrittura del romanzo, in Il grado zero della scrittura, traduzione di Giuseppe Bertolucci, Torino, Einaudi 1982, p. 10]
lunedì 6 Aprile 2015
La lingua è dunque al di qua della Letteratura. Lo stile è quasi al di là: le immagini, il lessico, il fraseggiare di uno scrittore, nascono dal suo corpo e dal suo passato e a poco a poco diventano gli automatismi stessi della sua arte. Così, sotto il nome di stile, si forma un linguaggio autarchico che attinge solo nella mitologia personale e segreta dell’autore, in quello stadio ipofisico dell’espressione in cui si forma la prima coppia di parole e di cose, in cui si fissano una volta per tutte i grandi temi verbali della sua esistenza. Qualunque sia il suo grado di raffinatezza, lo stile ha sempre qualcosa di grezzo: è una forma senza uno scopo, è il prodotto di un impulso, non di un’intenzione, è come una dimensione, verticale e solitaria del pensiero. I suoi riferimenti sono al livello di una biologia o di un passato, non di una Storia: è la «cosa» dello scrittore, il suo splendore e la sua prigione, è la sua solitudine.
[Roland Barthes, Che cos’è la scrittura, in Il grado zero della scrittura, traduzione di Giuseppe Bertolucci, Torino, Einaudi 1982, p. 10]