Paura

mercoledì 13 Settembre 2023

E la direzione del Museo Russo ha cercato in tutti i modi, riuscendoci, di negarci il proprio aiuto senza essere formalmente attaccabile, e abbiamo avuto l’impressione che noi, alla Direzione del Museo Russo, facevamo paura.

[Domani, sul Fatto quotidiano, esce un pezzo sul servizio che va in onda domani, a Piazza pulita, che viene da un documentario che abbiamo fatto con Claudio Sforza e Alessandro Freno in collaborazione con Choramedia]

[ERRATA CORRIGE, L’ARTICOLO NON ESCE DOMANI, E IL SERVIZIO SU PIAZZA PULITA NON ESCE DOMANI MA GIOVEDÌ 28]

Adesso dico una cosa molto importante

sabato 29 Luglio 2017

Scrivo queste righe appena tornato dalla Russia, e intanto che le scrivo sento per radio un dibattito e sta intervenendo l’ex sindaco di Milano Pisapia e Pisapia a un certo punto dice «Adesso dico una cosa molto importante», e dopo la dice e a me, devo dire, non mi sembra una cosa così importante.
Ecco, a proposito della comicità, ci sono quelli che dicono, quando cominciano a parlare, «Adesso dico una cosa molto divertente», e dopo la dicono e a me, devo dire, non mi sembra quasi mai una cosa così divertente.
Allora la condizione in cui sono, dover raccontare delle cose comiche che mi sono successe, probabilmente la maggior parte dei lettori non le troveranno tanto comiche, un po’ per via del fatto che probabilmente non sono, così comiche, un po’ per via del fatto che il riso, come dice un mistico probabilmente caucasico che si chiama Gurdjeff, nasce da un’oscillazione tra il sì e il no, gioca sulla sorpresa, sull’inaspettato, sull’imprevisto, e mi viene in mente una cosa che mi è successa in Russia, il giorno che siamo tornati, che quando siamo partiti, alle sei e mezza del mattino, da San Pietroburgo, per andare all’aeroporto,edavanti all’albergo, in Artillerijskaja ulica, siamo montati sulla corriera e io mi son messo a contare se c’eravamo tutti, e eravamo uno in più.
C’era un signore, vestito di blu, che dormiva. Continua a leggere »

Aleksandr

martedì 16 Luglio 2013

Ma gli articoli dei loro giornali, i giornalisti, quand’è che li scrivono? Son sempre in televisione a parlare. E scrivere? Mio babbo dice che sono io, che non capisco, secondo me sono loro. Quand’è che li scrivono? Son sempre in televisione a parlare. Li scrivon di botto, cinque minuti, così, di nascosto? Aah, vi sembra un bel modo, di fare? Mio babbo dice che sono io, che non capisco. Secondo me sono loro. Anche se io, non capire, non capisco davvero. Non mi ci trovo. Mio babbo dice «È normale». «Ci vuole pazienza», dice. Io, pazienza, mi sembra, ce l’ho, ma non mi ci trovo. Fai il giornalista? Scrivi. Io, quando sono andato a vendemmiare, vendemmiavo. Andavo mica in televisione a parlare. Dopo poi sarò io, eh? Mio babbo dice che anche lui, quand’era piccolo, non ci si trovava. Che lì, a parte che io, ci ho quasi vent’anni, altro che piccolo. Sono anche alto due metri e zero due. Che lui, invece, mio babbo, è uno e settanta. E mi dice a me che son piccolo. Ma a parte quello, i ragionamenti, anche se uno è piccolo, che poi non è piccolo, ma i ragionamenti, son ragionamenti. Altro che piccolo. Continua a leggere »

E se noi domani

sabato 8 Giugno 2013

Se dovessi fare una domanda a Walter Veltroni gli chiederei «Ma davvero lei pensa che noi ci abbiamo creduto, quando ha detto di non essere mai stato comunista?». Non mi è mai capitato di trovarmi nella condizione di fare delle domande a Walter Veltroni, ma mi è successo di sentire che altri gliele facessero, e l’ultima volta è successo qualche giorno fa, quando ho sentito, grazie all’archivio di Radio Radicale, la registrazione della presentazione romana, del 3 giugno scorso, del libro di Veltroni E se noi domani. L’Italia e la sinistra che vorrei. Presentavano il libro Sergio Chiamparino, Guglielmo Epifani, Eugenio Scalfari, Laura Boldrini e Walter Veltroni. Quando ha preso la parola Chiamparino io, che politicamente sono un po’ ingenuo, pensavo che Chiampiarino avrebbe chiesto a Veltroni «Ma davvero tu pensi che loro ci credono, quando dici di non essere mai stato comunista?», invece Chiamparino, che ha parlato per 10 minuti e 25 secondi, ha detto delle cose che io, che sono un po’ digiuno di politica, le ho capite non tanto bene, parlava di sinistra, diceva che si tirano dei rigori col portiere legato, e vanno a finire sul palo, diceva «Noi siamo parte della soluzione ma siamo parte anche del problema», non voglio dilungarmi ma proprio non si capiva mica tanto bene, secondo me, passiamo a Epifani. Epifani, che è stato presentato come segretario del PD, cosa che è effettivamente, anche se non sembra, io, che sono un po’ ingenuo, politicamente, credevo che avrebbe esordito dicendo a Veltroni «Ma davvero tu pensi che loro ci credano, quando dici di non esser mai stato comunista?», invece Epifani, che ha parlato 9 minuti e 43 secondi, ha parlato dell’eterno presente, del progetto, cioè qualcosa in grado di orientare un destino comune, di una fatica smarrita, della paura che la crisi ingenera, non voglio dilungarmi ma proprio non si capiva tanto bene, passiamo a Scalfari. Continua a leggere »

Un testo goffo e un po’ pretenzioso

sabato 8 Giugno 2013

Dovrebbe essere qui: clic

Il quotidiano ideale

venerdì 7 Giugno 2013

Un testo goffo e un po’ pretenzioso

discorso sui quotidiani

e sul Fatto quotidiano

pronunciato al Fuori orario

alla festa del fatto quotidiano

il 7 giugno del 2013 (inizio)

 

Buongiorno. Vi ringrazio per l’invito, anche se sono un po’ in imbarazzo per l’argomento perché io, dei quotidiani, e anche del fatto quotidiano, è un argomento, devo dire, che, praticamente, non ne so niente. Mi rendo conto che può sembrare una cosa strana, il fatto che uno fa un discorso su un argomento che non ne sa niente, e ancora più strano potrebbe sembrare il fatto che l’argomento, per questo discorso, non è che me l’ha dato qualcuno, l’ho scelto io. Cioè qualcuno potrebbe chiedersi perché scelgo di fare un discorso su un argomento che non ne so niente. Eh, per via che io, una cosa che mi piace moltissimo, è il niente; cioè io non ascolto molta musica, ma uno dei miei pezzi musicali preferiti è un pezzo di un compositore americano che si chiama John Cage che si intitola 4’ 33” e sono quattro minuti e trentatré secondi di silenzio; a me mi piace talmente, questa cosa qua, il niente, quando non c’è niente da dire, o quando non si sa cosa dire, o quando non si sa cosa fare, o quando non si vede niente, o quando non si capisce niente, o quando non si sente niente, o quando non si riesce a dormire, o quando non si vuole mangiare: le astensioni di tutti i tipi, le scene mute, le fotografie senza pellicola, le macchine che restano senza benzina, i sans papier, i sanculotti, i frigo vuoti, i film muti, i buchi neri, la menopausa, le notti in bianco, quando si cerca in tutte le tasche e non c’è neanche una sigaretta; i digiuni, gli anestetici, gli astemi, gli anoressici, gli scioperi; le pianure, le steppe, i deserti, la siccità, la crisi energetica, i black out, gli annulli filatelici, le amnesie, la crescita zero, le tinte unite. La calvizie, la sterilità, il celibato e il nubilato, l’inappetenza e l’incontinenza, il buio, il silenzio, il niente, il nulla, a me mi piace talmente che una volta ho organizzato un convengo, sul niente, 6 ore di conversazione sul niente con dodici relatori e il convegno inspiegabilmente ha anche avuto un discreto successo tanto che l’abbiamo rifatto due volte, una volta a Ravenna una volta a Bologna e l’ultima volta, a Bologna, uno dei relatori era un editore di Faenza  che ci ha raccontato che da giovane era innamorato di una ragazza che l’aveva iniziato alla pratica politica di estrema sinistra e l’aveva costretto, in un certo senso, a leggere Marx, Lenin, Mao, e dopo un po’ questa ragazza l’aveva lasciato e si era sposata, con un portiere (di calcio) democristiano e aveva fatto 3 figli nel giro di pochissimi anni. Questa vicenda, ci ha raccontato questo editore, ha generato l’idea di un libro che è diventato il suo bestseller, della sua casa editrice, libro che si intitola Tutto quello che gli uomini sanno delle donne, ed è un libretto di un centinaio di pagine tutte bianche, che ha venduto più di centomila copie, appena uscito la CGIL di Milano, da sola, ne ha ordinate 8.000 copie, che lo regalava ai suoi associati, e anch’io, all’epoca, sarà stato il 1990, l’avevo trovato sul bancone della Feltrinelli di Parma e l’avevo comprato, e quell’editore di Faenza, però, dopo un po’ si era stancato di farlo. Gli sembrava poco serio vendere tante copie di un libro su cui non c’era scritto niente e venderne meno di libri su chi c’erano scritte delle parole che a lui piacevano molto ma a me, devo dire, quel libro lì a me continua a sembrarmi un libro bellissimo, e, per venire al tema del nostro discorso, se devo pensare a un quotidiano ideale, per me un quotidiano con tutte le pagine bianche devo dire mi piacerebbe moltissimo, che uno può scriverci quello che vuole, io sarei disposto anche a comprarlo, non tutti i giorni, probabilmente, ma avere davanti della carta bianca, esser di fronte a questo nulla a me sembrerebbe un modo bellissimo di cominciar la giornata, che meraviglia, sarebbe, e è una di quelle cose che a me vien da pensare che son così belle che non succederanno mai, mi vien da dire, e con questo avrei detto tutto quel che avevo da dire dei quotidiani e del fatto quotidiano però devo parlare venti minuti, non siam neanche a tre, allora dirò qualcosa non come esperto di quotidiani, né come lettore di quotidiani ma come scrittore, su quotidiani, e in particolare voglio parlare di tre esperienze, quella con la Gazzetta di Parma, quella con Repubblica, e quella con il fatto Quotidiano, che sono tre dei quotidiani coi quali ho collaborato ce ne sono anche altri che sono Il manifesto, Libero, il foglio, il Corriere della sera e il sole 24 ore se dovessi parlare di tutti altro che diciassette minuti, ci vorrebbero delle ore.

7 giugno – Taneto di Gattatico (RE)

venerdì 7 Giugno 2013

Venerdì 7 giugno,
al circolo Arci Fuori Orario,
a Taneto di Gattatico (RE),
dentro la festa del Fatto quotidiano,
alle 20 e 30,
leggo un breve discorso sui quotidiani
e sul fatto quotidiano
(dura 20 minuti)

La presentazione di Disarmadillo e delle altre cose

mercoledì 22 Maggio 2013

Un mio amico che si chiama Alessandro Bonino, e che mi ha aiutato a presentare un libro al salone del libro di Torino, ha detto, tra le altre cose, che io ero morto, e io ho detto che effettivamente, uno dei motivi per cui volentieri partecipavo a manifestazioni pubbliche, in questo periodo, era che qualche settimana fa, sui giornali, avevano scritto che io, praticamente, ero morto, e allora quello che volevo fare, partecipando a queste manifestazioni pubbliche era testimoniare che si sta benissimo, da morti, ho detto, e ho aggiunto che il primo libro che ho visto pubblicizzato al salone del libro di quest’anno, appena entrato al lingotto, era un libro della collana Mistero, e era stato scritto da Ade Capone, e aveva l’introduzione di Andrea G. Pinketts, e si intitolava Vite oltre la vita e io avevo pensato che avrei potuto scriverlo anch’io, forse. E poi avevo visto lo stand del Cicap, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, e avevo pensato che potevo anche andare da loro e chiedergli che mi controllassero, e il principale testimonial, del Cicap, è Piero Angela, ho visto, e ho pensato che, a parte la mia condizione di redivivo, ma suo figlio, di Piero Angela, non poteva fare dell’altro? Continua a leggere »

Io non li sento

martedì 21 Maggio 2013

Non so se ho capito, ma quel che ho capito, ci ho messo del tempo. Il primo, per dire, non l’ho neanche sentito. Io sono così, non li sento. Dormivo. Io sono così. Davvero. Io ho vissuto per un po’ in Iraq, nell’ottantasette, ero andato là a lavorare, a far delle strade, c’era la guerra con l’Iran, e dal confine tiravan le bombe che cercavan di prendere una centrale elettrica che era lì, a Baghdad, io stavo a Baghdad, e di notte, quasi tutte le notti, arrivava una bomba si svegliavano tutti. Ea bella, Baghdad, con le bande di scotch sopra i vetri. C’era un senso, come se le cose che facevam lì erano vere. Non volevo dir quello. Volevo dire che la prima notte che sono arrivato, sono andato a letto, quando mi sono svegliato al mattino mi han chiesto «L’hai sentita la bomba?». «No, – ho detto io, – non l’ho sentita». E poi sono andato a lavorare, ero lì per quello, poi son tornato ho cenato sono andato a letto, quando mi sono svegliato al mattino mi han chiesto «L’hai sentita la bomba?». «No, – ho detto io, – non l’ho sentita». E poi son andato a lavorare, son tornato ho cenato sono andato a letto, quando mi sono svegliato al mattino mi han chiesto «L’hai sentita, stanotte?». «No, – ho detto io, – non l’ho sentita». Continua a leggere »

Il trapassatoio

sabato 20 Aprile 2013

L’altra settimana ero in ospedale, per un trauma cranico, stavo già ormai quasi bene, eran quasi le nove di sera, dormivo, e un infermiere mi ha svegliato per darmi la pillola di sonnifero che mi davano tutte le sere verso le 21.

Ecco: esser svegliato per prendere una pillola per il sonnifero è una di quelle cose che uno normale pensa non gli succederanno mai, nella vita, come uno che festeggia il fatto che ha smesso di bere bevendosi una bottiglia di grappa, o uno che festeggia il primo chilo che ha perso nella dieta con un panino con la nutella, o uno che festeggia il fatto di aver smesso di fumare accendendosi un toscano, che non ne aveva mai fumati, e, non essendo capace, lo respira, anche, o come due che festeggiano il matrimonio con una richiesta di separazione, o come uno che festeggia l’acquisita democrazia andando a votare e delegando a qualcun altro di decidere per sé, non lo so perché mi vengono in mente queste cose, forse perché son stato ventidue giorni in ospedale, e in ospedale, la cosa stranissima, che diventa importante tutto quello che fai, ma anche delle cose, la cacca, la pipì, che nel mondo normale cerchi di non pensarci di non nominarle neanche ti fanno anche un po’ schifo, in ospedale sono dei reperti da analizzare con la massima attenzione e poi conservarli sottovuoto per anni e anni, come la merda d’artista di Manzoni, tutti artisti, in ospedale, in un certo senso.

A me, non so perché, ricorda Birkenau, l’ospedale, che andare a Birkenau, le cose che si dicono, le cose che si pensano, i respiri che si fanno, sono cose che rimangono, non sono cose che passano senza lasciare il segno. Se qualcuno di voi ha, per caso, in programma un viaggio a Birkenau, si prepari al fatto che, a Birkenau, gli inscatoleranno la sua merda, se così si può dire, e la stessa cosa succede in un ospedale, che è, tra le altre cose, «un trapassatoio», come scrive Thomas Bernhard, cioè «un  centro di produzione della morte che funzionava senza soste e intensamente e spietatamente, un centro continuamente rifornito di nuova materia prima la quale incessantemente veniva elaborata», e quando penso alla materia prima non penso solo a noi, pazienti, ma a qualsiasi oggetto che entri nell’universo ospedaliero, un uovo di pasqua sul davanzale verde che Pasqua è passata da quindici giorni, con dentro le sorprese più raffinate, c’è scritto, chissà chi le vedrà mai, un’orchidea, stesso davanzale, dentro un vasetto con sopra disegnato un orsetto, che se l’avessi vista fuori dall’ospedale non ci avrei mai fatto caso ma in ospedale le cose son tutte fuori dal loro imballaggio non puoi non guardarle, e chissà se qualcuno si prenderà cura di quell’orchidea. Continua a leggere »