Una descrizione

venerdì 28 Aprile 2023

La porta era aperta perché la padrona di casa, preparando non so bene che pesce, aveva fatto così tanto fumo, in cucina, che non si vedevan neanche più gli scarafaggi.

[Alla scuola Un’altra vita 2 leggiamo Il cappotto di Gogol’]

Un paletot

martedì 26 Aprile 2022

In lettere dei condannati a morte della resistenza ce n’è una di Bianchetti Giuseppe, operaio trentaquattrenne di Montescheno, in provincia di Novara, che fa così:

Caro Fratello Giovanni, scusa se dopo tutto il sacrificio che tu hai fatto per me mi permetto ancora di inviarti questa mia lettera. Non posso nasconderti che fra mezz’ora sarò fucilato; però ti raccomando le mie bambine di dar loro il migliore aiuto possibile. Come tu sai che siamo cresciuti senza padre e così volle il destino anche per le mie bambine.
T’auguro a te e a tua famiglia ogni bene, accetta questo mio ultimo saluto da tuo fratello
Giuseppe

C’è un poscritto:

Di una cosa ancora ti disturbo: di venire a Novara a prendere il mio paletot e ciò che resta. Ciau tuo fratello.

Nel saggio su Leskov, Benjamin dice che, quando si sta per morire, l’indimenticabile affiora d’un tratto nelle espressioni e negli sguardi del morente e conferisce a tutto ciò che lo riguarda l’autorità che anche l’ultimo degli uomini possiede, morendo, per i vivi che lo circondano. Questa autorità, scrive Benjamin, è all’origine del narrato, e quest’autorità, credo, fa sì che il paletot di Bianchetti Giuseppe sia memorabile come quello di Akakij Akakievič (illustrazione di Boris Kustodiev).

Il personaggio importante

lunedì 8 Aprile 2019

Quale fosse e in cosa consistesse la carica del personaggio importante, ancora oggi non si sa. Bisogna sapere che quel personaggio importante era diventato da poco un personaggio importante e, fino a poco prima, era stato un personaggio che non era importante.

[Stasera, alla scuola elementare di scrittura emiliana, parliamo del Cappotto di Gogol’]

Ridevano di lui

giovedì 13 Dicembre 2018

I giovani funzionari ridevano di lui e facevano gli spiritosi ai suoi danni, per quanto glielo permetteva l’umorismo burocratico; raccontavano, di fronte a lui, varie storie inventate sul suo conto, sulla sua padrona di casa, una vecchia di settant’anni, dicevano che lei lo picchiava, chiedevano quando si sarebbero sposati, o gli spargevano sulla testa dei pezzetti di carta, dicendo che era neve. Akàkij Akàkevič a questo non rispondeva una parola, come se, di fronte a lui, non ci fosse nessuno: queste cose non avevano neppure nessuna influenza sul suo lavoro. In mezzo a tutte quelle seccature, non faceva il minimo errore, nel copiare. Solo se lo scherzo era troppo pesante, se gli davano un colpo sul braccio impedendogli di fare il proprio lavoro, lui diceva «Lasciatemi stare, perché mi offendete?». E c’era qualcosa di strano, in queste parole e nella voce con cui erano dette. Vi si sentiva qualcosa che induceva talmente alla compassione, che un giovanotto, assunto da poco, che, secondo l’esempio degli altri, si era permesso di prenderlo in giro, si era fermato d’un tratto, come fulminato, e da quel momento era come se tutto fosse cambiato, ai suoi occhi, e gli sembrasse in tutt’altro modo. Come se una qualche forza non naturale lo allontanasse dai suoi compagni che aveva conosciuto come persone per bene, di mondo. E a lungo, poi, nei momenti più allegri della sua vita, gli era tornato in mente il piccolo impiegato con la calvizie sulla fronte, e le sue toccanti parole: “Lasciatemi stare, perché mi offendete?”, e in queste parole toccanti risuonavano altre parole: “Io sono tuo fratello”. E quel povero ragazzo si copriva la faccia con la mano, e molte volte era trasalito, nella sua vita, vedendo quanta disumanità c’è nell’uomo, quanta furiosa volgarità sia nascosta nel raffinato, educato uomo di mondo, e Dio mio!, anche nell’uomo che il mondo giudica nobile e onesto.

[Stasera, all’Atelier Sì, Il cappotto di Gogol]

Tutte le volte

domenica 4 Novembre 2018

Tutte le volte che rileggo il Cappotto di Gogol’, questa settimana tre volte che stiamo lavorando sulle bozze, quando arrivo al punto, alla fine, dove alla polizia impartiscono la disposizione di catturare il morto vivo o morto, non so cosa farci, scoppio a ridere, tutte le volte.

Una cucina descritta da Gogol’

venerdì 21 Settembre 2018

La porta era aperta perché la padrona di casa, preparando non so bene che pesce, aveva fatto così tanto fumo, in cucina, che non si vedevan neanche più gli scarafaggi.

[Nikolaj Gogol’, Il cappotto, esce, nei Racconti di Pietroburgo, in novembre, forse, per Marcos y Marcos]

Il realismo di Gogol’

mercoledì 19 Settembre 2018

Alla polizia era stata impartita la disposizione di catturare il morto a tutti i costi, vivo o morto, e di punirlo, che servisse d’esempio, nel modo più crudele possibile, e per poco non c’eran riusciti, perfino.

[Il cappotto di Gogol’, oggi finiamo]

Gogol’

sabato 15 Settembre 2018

Quale fosse e in cosa consistesse la carica del personaggio importante ancora oggi non si sa. Bisogna sapere che quel personaggio importante era diventato da poco un personaggio importante, e fino a poco prima era stato un personaggio che non era importante.

[Il cappotto, di Gogol’]

Un monologo

giovedì 13 Settembre 2018

Per strada, Akàkij Akakèvič era come se stesse sognando. «Questo, così, questa cosa…» aveva detto tra sé, «davvero non credevo, che sarebbe saltata fuori questa cosa…»; e poi, dopo un breve silenzio, aveva aggiunto: «Così ecco cos’è! Alla fine ecco cosa è saltato fuori, e io proprio non lo potevo immaginare, che sarebbe stato così». Al che era seguito un altro lungo silenzio, dopo il quale Akàkij Akakèvič aveva detto: «Così ecco cos’è! Una cosa così è proprio inaspettata, una cosa così… non c’era verso di… ma che brutto lavoro!».

[Nikolaj Gogol’, Il cappotto]

Una frase di Gogol’

martedì 11 Settembre 2018

Perfino nelle ore in cui il cielo grigio di Pietroburgo si spegneva completamente, e tutto il popolo impiegatizio mangiava da star male, e pranzava, ognuno come poteva, in conformità con lo stipendio che gli davano e secondo il proprio capriccio, quando tutti ormai si riposavano, dopo il dipartimentale scricchiolio dei pennini, dopo le corse, dopo le occupazioni inevitabili, per sé e per gli altri, e dopo tutte le cose che un uomo instancabile si impegna volontariamente a fare, perfino più di quel che sarebbe necessario, quando i funzionari si affrettavano a dedicare al piacere il tempo che era loro rimasto, chi, più vivace, andava a teatro, chi, per strada, dedicava il suo tempo all’osservazione di certi cappellini, chi, a una serata, lo perdeva a far dei complimenti a una ragazza avvenente, stella di una piccola cerchia di impiegati, chi, e questo succedeva il più delle volte, andava, semplicemente, da suo fratello, al terzo o al secondo piano, due piccole stanze con anticamera e cucina, e certe pretese di moda, una lampada, o un’altra cosetta, che erano costate molti sacrifici, rinunzie a pranzi e a passeggiate, insomma, anche nel momento in cui tutti i funzionari si sparpagliavano negli appartamentini dei loro conoscenti a giocare un whist all’assalto, bevendo il tè dal bicchiere, con dei biscotti secchi da una copeca, tirando il fumo da lunghi bocchini, raccontando, mentre distribuivano le carte, un pettegolezzo raccolto nell’alta società, cosa dalla quale mai, in nessun caso, può esimersi l’uomo russo, o perfino, quando non c’era niente da dire, riraccontando l’eterna storiella del comandante al quale erano andati a dire che la coda del cavallo del monumento di Falconet si era rotta, insomma, anche quando tutti si sforzavano di divertirsi, Akàkij Akakèvič non si concedeva nessuno svago.

[Nikolaj Gogol’, Il cappotto]