Rilevato che lavare i piedi è operazione sempre disagevole e pericolosa

martedì 24 Dicembre 2019

Le idee di Maurice non erano sempre astratte come quelle dei numeri maiuscoli. Ve n’erano altre di genere molto pratico che potevano servire, come lui stesso annotava, per ottenere la concessione di brevetti industriali. Una, che mi colpì più delle altre, riguardava una macchina per lavare i piedi, poco dissimile da una comune lavatrice o lavastoviglie di oggi, nella quale, dopo aver introdotto del sapone in polvere, faceva entrare dell’acqua calda che veniva agitata da un’elica posta dietro una grata. Il piede, introdotto nella macchina attraverso un’apertura protetta da un manicotto di gomma che stringeva la gamba a metà polpaccio, veniva a trovarsi avvolto da un turbine d’acqua saponata che presto defluiva da un foro di scolo lasciando il posto a un getto d’acqua calda per risciacquare. Espulsa l’acqua del risciacquo, entrava un flusso d’aria calda che asciugava il piede. Nelle note illustrative della sua macchina, l’inventore, rilevato che lavare i piedi è operazione sempre disagevole e pericolosa, faceva notare la praticità della sua lavatrice, che era da tenere in bagno, accanto al lavabo.

[Piero Chiara, Il cappotto di astrakan, Milano, Mondadori 1978, p. 68]

Quello che si può portare a Parigi

giovedì 10 Agosto 2017

A prima vista mi era parso una pelliccia della Lenormand, di breitschwanz o di karakul, ma la donna presentandomela disse che si trattava di un capo di gran valore fatto confezionare da suo figlio prima della sua partenza presso un grande sarto. «Fu» disse «un’idea di Maurice. Voleva un cappotto non con la pelliccia all’interno come si usa comunemente, ma all’esterno. Diceva che in Russia, al temo degli zar, i signori portavano cappotti di quel tipo lunghi fino ai piedi. Perciò è un po’ lungo… Andrebbe portato on un colbacco dello stesso pelo in testa e un paio di stivali ai piedi.»
Mi vidi, quando avessi indossato quella pelliccia, simile a un Michele Strogoff o a qualche personaggio di Tolstoi, ma non osai sorridere. Guaredai bene il cappotto, che aveva una martingala sopra lo spacco posteriore e un colletto rialzato, come certi pastrani militari dell’epoca napoleonica. Era di colore grigio argento con riflessi quasi azzurri e una fodera di satin bleu all’interno sulla quale spiccava l’etichetta di un sarto.
Al mio paese, con un cappotto simile non sarei mai comparso, ma a Parigi si può portare tutto, anche un elmo col pennacchio. Nessuno si sarebbe mai voltato a guardarmi per strada.

[Piero Chiara, Il cappotto di Astrakan, Milano, Mondadori 2015 (14), p. 40]