Una serie
La mattina dopo la signora Bartolotti si svegliò più presto del solito. Si strofinò gli occhi e guardò verso il lettino di Marius: era vuoto. Le venne un accidente. Saltò fuori dal letto – pensando per un attimo che Marius fosse stato solo un sogno – e si precipitò in soggiorno. Marius era seduto nell’angoletto dei giochi, lavato e pettinato, e stava giocando con le costruzioni. Metteva un dado sull’altro e intanto mormorava: «Queste sono le unità, queste le decine e queste le centinaia».
«Che stai facendo, Marius?»
«Faccio esercizio di aritmetica» rispose lui. «Se domani vado a scuola è bene che mi presenti preparato a dovere».
«A dovere» borbottò la signora Bartolotti ritornando in cucina, e quando fu sicura che Marius non poteva più sentirla sbottò: «’A dovere’ è un’espressione che non sopporto, è odiosa come ‘coi piedi per terra’, ‘a modo’, ‘di sana pianta’! Porca miseria!».
C’era tutta una serie di parole che la signora Bartolotti non poteva soffrire: oltre a ‘a dovere’, ‘coi piedi per terra’, ‘di sana pianta’, odiava ‘scopo’, ‘sensato’, ‘normale’, ‘istruttivo’, ‘per bene’, ‘decoro’, ‘morale’, ‘casalinga’, ‘consono’ e ‘appropriato’.
[Christie Nöstlinger, Il bambino sottovuoto, traduzione di Carla Becagli Calamai, Milano, Salani 2013 (3), pp. 52-53]