Autore, scrittore, romanziere

sabato 16 Luglio 2016

Milan Kundera, I testamenti traditi, traduzione di Maia Daverio, Milano, Adelphi

Il bisogno di usare un’altra parola in luogo di quella più ovvia, più semplice, più neutra (essere – penetrare; andare – camminare; pensare – sferzare) potrebbe essere definito come un riflesso di sinonimizzazione – ed è un riflesso di quasi tutti i traduttori. Possedere una vasta vasta gamma di sinonimi fa parte del «bello stile»; se nello stesso paragrafo del testo originale compare due volta la parola «tristezza», il traduttore, contrariato dalla ripetizione (che considera un oltraggio alla doverosa eleganza stilistica), sarà tentato di tradurre, la seconda volta, con «malinconia». Ma c’è di più: il bisogno di sinonimizzare è ormai così profondamente radicato nell’animo del traduttore che questi opta da subito per un sinonimo: traduce «malinconia» laddove nel testo originale c’è «tristezza», traduce «tristezza» laddove c’è «malinconia».
Ammettiamolo senza ombra di ironia: la situazione del traduttore è estremamente delicata: deve essere fedele all’autore e contemporaneamente rimanere se stesso; come riuscirci? Vuole (che ne sia o no consapevole) infondere nel testo la propria creatività; quindi, come per farsi coraggio, sceglie una parola che apparentemente non tradisce l’autore ma che nonostante ciò è frutto di una sua iniziativa personale. Faccio questa constatazione mentre sto rivedendo la traduzione di un mio breve testo: io scrivo «autore», e il traduttore mette «scrittore»; io scrivo «scrittore», e lui traduce «romanziere»; io scrivo «romanziere», e lui traduce «autore»; se scrivo «verso», traduce «poesia»; se dico «poesia», traduce «poemi».

[Milan Kundera, Postilla sulla sinomizzazione sistematica, in I testamenti traditi, traduzione di Maia Daverio, Milano, Adelphi 2010 (6), pp. 107-108]

I biografi

sabato 16 Luglio 2016

Milan Kundera, I testamenti traditi, traduzione di Maia Daverio, Milano, Adelphi

I biografi, che non sanno nulla vita sessuale delle proprie consorti, sono però convinti di conoscere quella di Stendhal o di Faulkner.

[Milan Kundera, I testamenti traditi, traduzione di Maia Daverio, Milano, Adelphi 2010 (6), p. 50]

Sospendere il giudizio morale

venerdì 15 Luglio 2016

Milan Kundera, I testamenti traditi, traduzione di Maia Daverio, Milano, Adelphi

Sospendere il giudizio morale non costituisce l’immoralità del romanzo bensì la sua morale. Una morale che si contrappone alla inveterata pratica umana che consiste nel giudicare subito e di continuo tutto e tutti, nel giudicare prima di e senza aver capito. Dal punto di vista della sapienza del romanzo, questa fervida disponibilità a giudicare è la più esecrabile sciocchezza, il peggiore di tutti i mali. Non che il romanziere contesti in assoluto la legittimità del giudizio morale, ma egli si limita a spostarlo oltre i confini del romanzo. Detto questo, siete liberi di condannare Panurge per la sua viltà, di mettere sotto accusa Emma Bovary e Rastignac, sono affari vostri; il romanziere non c’entra.

[Milan Kundera, I testamenti traditi, traduzione di Maia Daverio, Milano, Adelphi 2010 (6), p. 17]