Cosa pensa la gente

martedì 26 Aprile 2011

Quando si dicon le cose, clic

Cosa pensa le gente quando si dicon le cose

domenica 24 Aprile 2011

Premesso che quello che penso io è che secondo me noi siamo liberi di fare quel che vogliamo, se ci riusciamo, mi viene in mente che un anno fa, a Bergamo, ero appena arrivato in città, mi ero molto meravigliato che i balconi delle case di Bergamo fossero pieni di bandiere tricolori. Quando avevo incontrato il ragazzo che era venuto a prendermi in stazione gli avevo chiesto: “Ma c’è una ribellione contro la lega?”. “No, – mi aveva detto lui, – c’è il raduno degli alpini”.
Ecco, non so come siano oggi le altre città e gli altri paesi italiani, ma a Bologna, o, per essere precisi, a Casalecchio di Reno, oggi, che è il 16 aprile 2011, ed è passato un mese dalle celebrazioni dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, molti balconi sono ancora addobbati di bandiere tricolori, non tante quante a Bergamo per il raduno degli alpini, ma fanno comunque un’impressione strana. Continua a leggere »

La passione per gli allevamenti dei maiali

sabato 2 Aprile 2011

Due domeniche fa, a Castelmaggiore, che è un posto, le case tutte nuove, i balconi rotondi, gli autobloccanti, i dipinti sui muri, non graffiti, fatti bene, con una geometria ortodossa, una ballerina, rossa, una chiave di violino, verde, una colonna blu con la sagoma di una mascherina, da teatro, quella che ride, bianca, e lì di fianco, in bianco, la scritta: “Sala teatrale Biagi D’Antona”, e era anche domenica, e la domenica le cose, delle volte, è come se non avessero lo scheletro, due domeniche fa mi avevano inviato a Castelmaggiore a parlar dei film che mi piacevano, e far veder dei pezzi, Oblomov, Vogliamo vivere, Di madre in figlia, Total Balalajka show e Stalker, e il giornalista che era con me mi ha chiesto «Cosa le piace in Stalker?», e io ho risposto «Non lo so, però l’ultima volta che l’ho visto, quando son lì, nella zona, quell’area proibita, contaminata, forse, forse radioattiva, che c’è la stanza dove dicono che si realizzino i tuoi desideri, ecco io questa cosa, che nella vita me l’han detta, delle volte, “Se potessi realizzare un tuo desiderio, cosa desidereresti?” ecco questa cosa qui, che nella vita se te lo chiede uno ti vien da pensare che è infantile, e che è rimasto indietro come la coda del maiale, io l’ultima volta che ho visto Stalker, quando sono arrivato lì io ci ho pensato per davvero, a qual era il mio più grande desiderio: Tarkovskij, – ho detto, – col suo film è riuscito a far di questa cosa puerile, infantile, indietro come la coda del maiale una cosa vera, e acuta, che ti scava dentro, che supera tutti gli schermi che hai nella testa e ti tocca e questa, – ho detto, – forse, è l’arte». Continua a leggere »

Se avessero potuto parlare

venerdì 18 Marzo 2011

Una cosa stranissima, della nostra idea su di noi, e quando dico noi intendo noi italiani, con tutta l’approssimazione che ci può essere dentro quel noi, una cosa stranissima, mi sembra, è che quando parliamo di noi stessi noi di solito ne parliamo malissimo, quando uno straniero si azzarda a parlar male di noi ci viene da contraddirlo e ci monta anche un po’ di nervoso.
Io, per esempio, in questi giorni sto provando a scrivere un discorso che mi hanno chiesto di fare in occasione delle celebrazioni dell’unità d’Italia, e, non sapendo praticamente niente del risorgimento, ho provato a ragionare sull’unità linguistica, e mi son trovato a scrivere che in relazione alla particolarità della storia della lingua italiana, che è stata, per la maggior parte degli italiani, prima una lingua scritta e poi una lingua parlata, cioè, sostanzialmente, una lingua imparata a scuola, tanto che Settembrini, intorno al 1870, cioè un decennio dopo l’unità d’Italia, finiva le sue lezioni sulla letteratura italiana augurandosi che l’italiano diventasse una lingua viva, intendendo con ciò che era ancora una lingua morta, una lingua libresca, e tanto che mia nonna, che aveva fatto la seconda elementare, quando sentiva un discorso in italiano che le risultava complicato perché c’erano delle parole difficili di quello che aveva fatto il discorso diceva che parlava come un libro stampato, in relazione a questa particolarità, dicevo, mi son trovato a scrivere che ancora oggi, 150 anni dopo l’unità d’Italia, trovare in Italia dei libri stampati dove si parli una lingua viva, concreta, simile alla lingua che sentiamo parlare per strada, non è facilissimo. Continua a leggere »

Ciao

venerdì 11 Marzo 2011

Nel libro Togliamo il disturbo, recentemente pubblicato da Guanda, Paola Mastrocola, che insegna lettere in un liceo scientifico di Torino, descrive gli studenti del suo liceo, e tutti gli studenti «di tutte le scuole di Torino, d’Italia, d’Europa». «Sono così: – scrive la Mastrocola – ammassati fuori a parlare, parlottare, stazionare, sfumacchiare. Ombre, lemuri. Spettrali». «Hanno ciuffi scomposti e occhi addormentati. Giubbotti striminziti e jeans abbassati e lunghissimi, con la stoffa che si accascia esorbitante sul collo delle scarpe. Le mani in tasca, lo zaino in spalla, i cinturoni bassi, le scarpe da ginnastica grosse, gonfie, colorate. A volte dorate». «Hanno zaini obesi, spropositati, appesi a una spalla, sbattuti a terra, carichi di scritte, adesivi, mostri, piccoli peluche, “peluscini”. «Hanno gli occhi cerchiati, tristi, il naso pieno di sonno, le spalle curve, la braccia penzole, inerti. Lo sguardo perduto nel nulla, la bocca semiaperta, i capelli stanchi, le orecchie assenti. Anche i brufoli, chi li ha, sono scoraggiati, pallidi brufoli, muti, apatici». «Forse una stanchezza cosmica impedisce loro la posizione eretta». Sono ragazzi che stanno «perdendo il dono della parola». Sono ragazzi «pressoché muti», che «parlano anche se non hanno niente da dire». Continua a leggere »

Un uguale candore di spensieratezza

venerdì 18 Febbraio 2011

Credo che tutti quelli che, in tutto il mondo, hanno studiato russo abbiano sentito parlare di Nikolaj Dobroljubov, ma forse mi sbaglio. Ammettendo che non mi sbagli, se ne hanno sentito parlare credo che sia principalmente per un articolo che Dobroljubov scrisse nel 1859, subito dopo la pubblicazione del romanzo di Gončarov Oblomov, e l’articolo era intitolato Che cos’è l’oblomovismo.
Che non è un titolo bellissimo, secondo me, per un articolo.
Bellissimo invece mi sembra il titolo di un libretto di Turgenev del 1850 (da pochi giorni disponibile in un nuova traduzione di Alessandro Niero pubblicata da Voland), Diario di un uomo superfluo.
Diario di un uomo superfluo è un titolo che ha in sé qualche cosa che appena uno lo vede, gli vien voglia di riscriverla lui, una storia intitolata così, e forse non è solo per via del titolo.
Anche L’idiota, per esempio, è un bellissimo titolo, ma non è che uno che vede in libreria L’idiota pensa «Che bel titolo, mi vien proprio voglia di scriverla anch’io, una storia intitolata così».
No io credo che, obiettivamente, adesso L’idiota è un titolo veramente che colpisce, ma Diario di un uomo superfluo ha qualcosa che suona, alle nostre orecchie, più attuale, più vicino, più immediatamente comprensibile. E questo credo dipenda dal fatto che c’è, forse, una somiglianza, magari vaga, tra la situazione nella quale erano i giovani russi colti della prima metà dell’ottocento e quella in cui sono molti dei nostri conoscenti neolaureati all’inizio del ventunesimo secolo.
Provo a spiegarmi. Continua a leggere »

25-30 gennaio 2011

venerdì 4 Febbraio 2011

Piccolo diario
Casalecchio di Reno – Bologna – Carpi – Cracovia
Auschwitz – Birkenau – Cracovia – Carpi – Casalecchio di Reno
25-30 gennaio 2011

Prima di partire, la serie di frasi: «Prendo l’acqua, no, è inutile, che tanto me la danno in treno e poi comunque ho la frutta», fa quattro giri della mia testa, nei quaranta minuti che ci metto a arrivare sul treno.
Ogni anno, mi porto sempre più roba. Quest’anno ho preso su tre cappelli, e tre quaderni, e due taccuini, e quattro maglie di lana e due calzamaglie.
Un ragazzo pelato, tutto vestito di nero, un po’ sovrappeso, con una carnagione chiara ma troppo, come se mangiasse male, che stava prendendo qualcosa al distributore automatico, tra i binari 2 e 3 del piazzale ovest a un certo punto ha sentito un rumore, ha chinato la testa, ha guardato per terra, un bottone.
Che dispiacere, quando ti cade un bottone. Certe volte vuol dire che sei ingrassato. Certe altre volte che stai ingrassando. Cioè che sei ingrassato e che continuerai a ingrassare.
La frase: «Questa volta non mi sembra di essermi scordato niente» ha fatto tre giri della mia testa, nell’ora e quaranta minuti che ci ho messo a arrivare, fino a quando, sul binario uno della stazione di Carpi non mi son detto: «Ecco, la sveglia. Non ho preso la sveglia. O forse l’ho presa e non mi ricordo».
«Scusi, – chiede un anziano con una sciarpa a rombi che deve avere degli anni, ce l’avevo anch’io quand’ero un ragazzo, poi la ditta che le faceva è fallita, vent’anni fa, – scusi, – chiede, – dove va questo treno?».
«Ad Auschwitz».
«Ecco, – dice lui, – a spese del contribuente. E perché non andate nei gulag?» chiede.
«Perché son più lontani», gli rispondono.
E lui scuote la testa come per dire che non è d’accordo. Che è strano. Perché i gulag, è un dato di fatto, son più lontani. Continua a leggere »

Basta, basta, basta, per favore

venerdì 21 Gennaio 2011

Comincia alle sei di sera, alle cinque e mezza non ci sono già più posti a sedere. Vien da pensare che sia per il titolo, anche, un po’. Il numero della rivista Limes che si presenta oggi si intitola: Berlusconi nel mondo. Qualche mese fa ero stato qui, alla libreria Coop Ambasciatori di Bologna, a vedere la presentazione di un libro di Michele Cogo che si intitolava Fenomenologia di Umberto Eco, e era uguale, mezz’ora prima non c’erano più posti a sedere. Una persona, allora, aveva detto: «Molti pensavano che ci sarebbe stato Umberto Eco, per quello, c’è pieno». Forse questa volta molti pensavano che ci sarebbe stato Berlusconi, ma forse no. Anche se nei titoli, delle volte, metterci dentro dei nomi è una cosa che serve. C’è un mio amico, Giuseppe Genna, che quando è uscito il suo romanzo che si intitola Hitler, si lamentava del fatto che la casa editrice non lo promuoveva abbastanza: «Con un titolo così, diceva, dagli appena una spinta che poi è un libro che va da solo». E, effettivamente, il libro era andato poi bene, e io, un po’ invidioso, avevo pensato di fare un romanzo che si intitolasse Goering. Ma passiamo oltre.
Per cominciare hanno aspettato Pennacchi e Pascale, che sono arrivati con una decina di minuti di ritardo. C’erano già un signore con un maglione azzurro e Enrico Brizzi con un completo fumo di Londra e una camicia immacolata. «È dimagrito», ho sentito dire alle mie spalle. «Eh, si vede che camminare fa bene», ho sentito rispondere.
Pennacchi, quand’è arrivato, col cappello, la sciarpa e il bastone, sembrava un po’ Nino Manfredi quando faceva mastro Geppetto. Continua a leggere »

Ordinare di sparare

sabato 25 Dicembre 2010

Cinquant’anni fa, sulla piazza dei teatri di Reggio Emilia, alle 4 del pomeriggio, c’era molta gente, per partecipare a una manifestazione indetta dalla CGIL che doveva concludere uno sciopero di protesta contro le violenze della polizia a Roma, il giorno precedente.

Per quella manifestazione era stata concessa la sala Verdi del teatro Ariosto, una sala che può contenere al massimo 400 persone.

Alle manifestazioni della CGIL, allora, a Reggio Emilia, partecipavano sempre migliaia di persone.

Al mattino il prefetto aveva dato ordine di «sciogliere con la forza qualsiasi assembramento non autorizzato».

Assembramento non autorizzato, per le leggi dell’epoca, voleva dire una riunione non autorizzata di più di tre persone.

E prima che cominciasse la manifestazione, sulla piazza qui dei teatri di Reggio Emilia, c’erano almeno duemila persone.

E prima che cominciasse la manifestazione, d’un tratto, la polizia ha caricato.

E subito dopo, inspiegabilmente, si è messa a sparare.

E ha sparato per quaranta minuti.

E ha ferito sedici persone, e ne ha uccise cinque, tutti operai.

Cinque operai che non avevano fatto niente.

Uccisi, sulla piazza dei teatri di Reggio Emilia, il 7 luglio del 1960.

Governo Tambroni.

Ministro degli interni Spataro.

Presidente della repubblica Gronchi.

Un commissario di polizia venne accusato, da due poliziotti, di aver dato l’ordine di sparare. La testimonianza di questi due poliziotti non fu però considerata attendibile.

Perché, scrive nella sentenza il dottor Curatolo Paolo, giudice estensore, uno dei due «era anche studente universitario, e poi ha lasciato la polizia» Continua a leggere »

La nostra Russia

venerdì 17 Dicembre 2010

La prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver letto A Mosca, a Mosca!, il libro di Serena Vitale appena uscito per Mondadori (collezione Scrittori italiani e stranieri, 238 pagine, 19 euro), è stata una lettera di Gogol’, pubblicata nel 1847 nel volume Brani scelti dalla corrispondenza con gli amici, nella sezione «Quattro lettere a proposito di Anime morte», e più precisamente la lettera in cui Gogol’ rievocava il momento in cui aveva letto a Puškin i primi capitoli del suo poema in prosa: «Quando cominciai a leggere a Puškin i primi capitoli di Anime morte nella loro forma primitiva, – scriveva Gogol’ – lui, che rideva sempre alle mie letture (gli piaceva ridere), cominciò a farsi a poco a poco sempre più accigliato, finché s’incupì del tutto. Quando poi la lettura terminò, disse con voce angosciata: «Dio, com’è triste la nostra Russia!».
Adesso, oggi, un’esclamazione del genere sarebbe forse, non so come dire, datata. Se qualcuno dicesse, in un negozio, o per strada, o sull’autobus: «Dio, com’è triste la nostra Russia», ci volteremmo probabilmente a guardarlo aspettandoci di vedere un originale, un signore magari con bastone da passeggio e papillon, e cilindro per cappello, e diamanti per gemelli, e gardenia nell’occhiello, magari, però, per quanto io non porti il bastone da passeggio, non abbia il papillon, non porti il cilindro e non porti gemelli e non solo non abbia fiori all’occhiello, ma non abbia di solito nemmeno l’occhiello, dal momento che non uso abitualmente né giacche né cappotti, ma degli altri capi di abbigliamento che non vale in questo momento la pena di specificare, per quanto tutto questo sia indubitabilmente vero, a me viene da dire: «Com’è triste la nostra Russia». Continua a leggere »