Quello che leggevo

venerdì 13 Aprile 2018

Lo scrittore sardo Giovanni Maria Bellu, una volta che Marino Sinibaldi gli aveva chiesto come mai, in un periodo così confuso, la Sardegna vivesse, nel campo della musica e della letteratura, un momento così felice, ha risposto che era una cosa che da dire era difficile ma che forse c’entrava il fatto che i sardi, anche quelli che avevano lasciato l’isola, avevano comunque dentro di sé un universo di riferimento, e che lui, per esempio, che abitava a Roma da un sacco di tempo, quando usciva da Roma e si trova all’altezza, per esempio, di Civitavecchia, è come se fosse arrivato ad Arasolè, perché le unità di misura che si portava con sé, dovunque andasse nel mondo, eran quelle lì, sarde, i chilometri che percorreva Bellu erano sempre chilometri sardi, io allora avevo pensato che la stessa cosa succedeva forse anche a me con i libri, che avevo studiato russo e quello che leggevo, anche quando leggevo dei libri italiani, o americani, leggevo poi sempre dei russi, c’è il caso.

[Da Lea grande Russia portatile, che lo sto scrivendo, esce in agosto, se faccio in tempo]

Chilometri

lunedì 27 Ottobre 2008

È uscito ieri sul manifesto un pezzo sul libro di Giovanni Maria Bellu L’uomo che volle essere Peròn.
Io l’avevo intitolato Chilometri sardi, la redazione del giornale l’ha intitolato Tra la Sardegna e il Caucaso, e, a vederlo impaginato, con una foto di Orgosolo degli anni cinquanta (di Guglielmo Coluzzi) che io quando l’ho vista ho pensato che fosse un contadino caucasico, mi sembra che il loro titolo ci stia molto bene. Lo metto qua sotto (è un po’ lungo).

Chilometri sardi

Ho saputo del libro di Giovanni Maria Bellu L’uomo che volle essere Peròn (Milano, Bompiani 2008, pp. 356, 19 euro) quest’estate, in Sardegna, all’Argentiera, dentro un piccolo festival che si chiama Sulla terra leggeri, dove una sera, su una piazza antistante una miniera dismessa, Bellu ne parlava insieme a Marino Sinibaldi, e a me è subito venuto in mente il Caucaso.
Una delle cose mi piacciono, del Caucaso, è il fatto che la gente che ci vive, i cabardini, gli osseti, i ceceni, i georgiani, gli armeni, i circassi, gli abchasi, gli ingusci, i daghestani e anche gli altri, visti così da lontano, sembra che abbiano conservato, indipendentemente dai vari governi che si alternavano al potere in quella determinata regione, e dalle varie legislazioni alle quali, di volta in volta, quella regione era sottoposta, una legislazione parallela, ufficiosa ma più importante di quella ufficiale, una sovralegislazione che è rimasta invariata nel corso dei secoli e che forse deriva, detto volgarmente, da quello che i russi chiamano il byt, cioè dalla vita quotidiana, dalla pratica, dall’uso; si è sempre fatto così, si è sempre pensato così e si continua a fare così e a pensare così sia sotto lo zar che sotto il governo sovietico che sotto quella roba lì che c’è adesso.
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