Leggere i russi

giovedì 22 Ottobre 2015

Domani vado a Milano, all’associazione Italia Russia, a fare un discorso sulla letteratura russa che si intitola Leggere i russi e prende il titolo da questa cosa che ha scritto una volta Giorgio Manganelli: «Di nuovo, sono stato risucchiato. Ho avvertito una lieve pressione alle vertebre cervicali, mi è arrivato alle narici un odore aspro di campagna concimata di recente, di bettole, di sobborghi torvi e tristi, di tenerissimi fiori appena sbocciati e odore di mucche, di cavalli, di carrozze coperte dalla muffa della morte, e infine l’aroma sacro del sangue, l’afrore della cosa uccisa o suicida. Oh, certo sono immagini, molto discordanti, addirittura senza senso, perché metterle tutte insieme? Diciamo che sono esibizionista – che sto diventando, come succede a molti, un personaggio di ciò di cui vorrei parlare: vorrei parlare infatti di quella esperienza violenta, malsana, indispensabile, unica, che dà il semplice gesto di «leggere i russi». L’ho scritto tra virgolette, perché leggere i russi non è mica una variante di tutti i mondi letterari, come leggere i ruteni, o magari gli italiani dell’Ottocento, eccettuato Manzoni, che, in questo momento, mi sembra un caso secolare di samizdat, di esule russo nel suo secolo.
«Leggere i russi» è un’esperienza che molti fanno nell’adolescenza, più o meno al tempo delle sigarette e dei primi, sani desideri di scappare di casa e andare a fare il mozzo. Di questi desideri i «russi» sono i più tenaci, e se poche sono le possibilità che ci si dedichi a correre lungo i moli in cerca di un brigantino, assai minori sono quelle di liberarsi di un Dostoevskij una volta che vi è entrato nel sangue. Ma non è solo lui; non esistono disintossicanti per Gogol, ed è molto più facile dimenticare il numero del telefono del primo amore, che la prima lettura della Sonata a Kreutzer di Tolstoj, o della Steppa di Cechov. Così accade che, periodicamente, nella vita, veniamo accolti da un attacco di «leggere i russi».

La cellulite dei secoli

mercoledì 16 Settembre 2015

manganelli

Roma veniva fuori da quella pelle posticcia, tra fascista e liceale, con la sua pinguedine grandiosa, la sua pessima digestione, le arcaiche flatulenze, la cellulite dei secoli.

[Giorgio Manganelli, in Roma degli scrittori, a cura di Giorgio Biferali, Roma, Artemide 2015, p. 67]

Producete, producete cultura

domenica 19 Luglio 2015

Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa

Si deplora che gli studenti non leggano libri ma riassunti, recensioni, ‘profili’; bene, è esattamente ciò che è riuscita a fare la scuola, la quale, non potendo trasmettere esperienza, libertà, gioia o angoscia, trasmette ‘cultura’. Il motivo per cui lo studente «non sa leggere» non accade malgrado i suoi studi, ma a causa dei suoi studi. […] Producete, producete cultura: è il vostro mestiere, e soprattutto è il contrario della letteratura.

[Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, Milano, Adelphi 2013 (2), pp. 211-212]

Sarà bene non parlare d’amore

sabato 18 Luglio 2015

Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa

È noto, anzi addirittura ovvio, che se il successo è gratificante, l’insuccesso, se bene amministrato e vissuto, lo è anche di più. Un best-seller è certamente un libro cordiale, comunicativo, coinvolgente e sciarmoso; è un libro che parla a ‘tutti’; ma un worst-seller può essere un libro delicatamente scostante, afono, schivo, un libro che dà del ‘lei’ e si rivolge a pochi, pochissimi, nessuno. Beckett cominciò con libri stampati in trecento copie, e arrivò al Nobel. Dunque la tentazione ci indurrebbe a scrivere un best-seller, ma l’astuzia della storia ci dovrebbe persuadere a ricercare l’insuccesso. In realtà, se il verso ‘successo’ è misterioso e imprevedibile, così l’autentico ‘insuccesso’ è difficile da perseguire, e da amministrare una volta conseguito. Infine ci sono dei best-seller che sommano i vantaggi del successo e dell’insuccesso, e dei worst che sono e restano tali, non letti da alcuno. Tuttavia possiamo provare a dare alcuni consigli ad un giovane scrittore che sia fermamente deciso a conseguire l’insuccesso, tenendo presente che nessuna ricetta è sicura, ed un virtuoso giovane può trovarsi investito da un insolente successo che aveva fatto di tutto per evitare.
In linea di massima, sarà bene non parlare d’amore, o al più di un amore squallido, da consumarsi in soffitte, da una coppia priva di senso storico, di amore per la trasgressione, di immoralità trionfante. Tuttavia, bisognerà anche evitare i delitti passionali, le morti violente, i drammi della coscienza, al poesia del ricordo. Quella ipotetica coppia deve essere distratta, inutile, fiacca, di mira incerta, non votante, frettolosa nelle cose d’amore, deve avere un reddito basso, ma non infimo, che può eccitare l’interesse del lettore classista. Ho detto: niente delitti; onesti scrittori votati al fallimento sono stati brutalizzati dal successo di un delitto: Delitto e castigo insegni; il successo è il meritato ‘castigo’ del ‘delitto’.  

[Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, Milano, Adelphi 2013 (2), pp. 191-192]

Per servire a qualcosa

martedì 14 Luglio 2015

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Le parole usate per servire a qualcosa si vendicano.

[Giorgio Manganelli, Il delitto rende ma è difficile, Milano, Comix 1997, p. 13]

Per non firmare gli appelli

martedì 3 Febbraio 2015

Giorgio Manganelli, Antologia privata

Tutti conoscono la vecchia leggenda dei Prossimani del diluvio. Secondo questa bella tradizione, il diluvio non devastò l’intero pianeta, ma solo una parte, la più prospera, ampia e fittamente popolata. Quando prese a piovere e i fiumi si ingrossarono e la gente prima inumidita, poi seccata, poi travolta si diede a inane fuga per campi, le tribù viciniori presero a deplorare la situazione. In ciò agevolati dal clima ragionevolmente sereno, gli uomini migliori di quelle razze si raccolsero in luoghi aprichi; erano uomini colti, intellettuali, fondatori delle arti, smaliziati manipolatori di sintassi. Si misero in capo di redigere un documento: il che sessi fecero presto e bene. In quel testo, costoro, rivolgendosi alle Nuvole – giacché rivolgere direttamente la parola all’iracondo Dio diluviante poteva prestarsi a interpretazioni che poi sarebbe stato difficile rettificare – «fecero notare» come fosse contrario ad ogni consuetudine piovere così a lungo, tanto e un posto solo; «deplorarono» la devastazione dei campi e delle greggi; e inserirono un pezzo sui bambini annegati che era cosa di grande e semplice bellezza. Proseguendo, ed anzi viva via incanagliendosi le piogge, i valentuomini si riunirono di nuovo, e – mentre un comitato di femminette preste di dita e conocchia si davano a far golfini – elaborarono un secondo documento, che era senza alcun dubbio accorato. In questo si «denunciava» l’indifferenza delle piogge alla pubblica opinione e si «reclamava» a) l’immediata cessazione del diluvio, b) la restituzione del ciel sereno, «inalienabile diritto di tutti i cittadini», c) l’impegno a non piovere più, se non nelle forme e nei limiti consacrati dalla tradizione. Il diluvio continuò, le brave donne allungarono i golfini adattandoli a comodi sudari, qualche dabbene scrisse una lettera aperta sulla «inutile strage», che ancora si legge nelle scuole. Si narra anche che mentre l’incaricato banditore a gran voce leggeva alle Nuvole il messaggio, più su il Numinoso Caprone si rotolasse sui bronzei pianciti dell’empireo, percotendoli con la latitudine delle arcaiche chiappe, e traendone un clangore di aureolata letizia.

[Giorgio Manganelli, Alcune ragioni per non firmare gli appelli, in Antologia privata, Macerata, Quodlibet 2015, pp. 154 155]

Antologia privata

venerdì 23 Gennaio 2015

Giorgio Manganelli, Antologia privata

«Leggere i russi» è un’esperienza che molti fanno nell’adolescenza, più o meno al tempo delle sigarette e dei primi, sani desideri di scappare di casa e andare a fare il mozzo. Di questi desideri i «russi» sono i più tenaci, e se poche sono le possibilità che ci si dedichi a correre lungo i moli in cerca di un brigantino, assai minori sono quelle di liberarsi di un Dostoevskij una volta che vi è entrato nel sangue. Ma non è solo lui; non esistono disintossicanti per Gogol, ed è molto più facile dimenticare il numero del telefono del primo amore, che la prima lettura della Sonata a Kreutzer di Tolstoj, o della Steppa di Čechov.

[Giorgio Manganelli, Antologia privata, Macerata, Quodlibet 2015, pp. 211-212]

Conseguire l’insuccesso

martedì 13 Gennaio 2015

Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa

Tuttavia possiamo provare a dare alcuni consigli a un giovane scrittore che sia fermamente deciso a conseguire l’insuccesso; tenendo presente che nessuna ricetta è sicura, ed un virtuoso giovane può trovarsi investito da un insolente successo che aveva fatto di tutto per evitare.
In linea di massima, sarà bene non parlare d’amore, o al più di un amore squallido, da consumarsi in soffitte, da una coppia priva di senso storico, di amore per la trasgressione, di immoralità trionfante. Tuttavia, bisognerà anche evitare i delitti passionali, le morti violente, i drammi della coscienza, la poesia del ricordo. Quella ipotetica coppia deve essere distratta, inutile, fiacca, di mira incerta, non votante, frettolosa nelle cose d’amore, deva avere un reddito basso ma non infimo, che può eccitare l’interesse del lettore classista. Ho detto: niente delitti, onesti scrittori votati al fallimento sono stati brutalizzati dal successo di un delitto: Delitto e castigo insegni; il sangue è seducente, e il successo è il meritato ‘castigo’ del ‘delitto’.

[Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, Milano, Adelphi 2013 (2), pp. 191-192]

Un personaggio

lunedì 12 Gennaio 2015

Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa

Un personaggio che voglia fare un minimo di carriera deve, naturalmente, amare; può amare praticamente qualunque cosa in qualunque modo, ma amare deve.

[Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, Milano, Adelphi 2013 (2), p. 186]

Un saltimbanco

domenica 21 Dicembre 2014

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Per secoli, in tutti i dialetti d’Europa, in rime rozze e calde, le storie dei paladini furono la bella letteratura dei poveri: una fiaba di amori, di audacie, di tradimenti. C’è qualcosa di più bello al mondo? Ci furono cantastorie famosi, contesi da mercato a paese, cantastorie umili e rochi, finti cantastorie. Come questo che ora ascoltiamo, una faccia accigliata e magra, due occhi più pensosi che furbi, bizzarri e svelti. Che singolare saltimbanco: si finge un dappoco, come quei prestigiatori che simulano una laboriosa inettitudine, e si trovano pieni di conigli e cilindri e fazzoletti e spade che non tagliano. Alla folla un po’ sbalordita, quell’uomo ingegnoso e strano, comincia a raccontare una fola mai dita, una miscela di fiabe antiche, nuove, paesane e colte, e molte inventate proprio or ora:

In principio era il Verbo appresso a Dio,
ed era Iddio il Verbo e’l Verbo Lui:
questo era nel principio al parer mio,
e nulla si può far sanza Costui.
Però, giusto Signor benigno e pio,
mandami solo un degli angel tui,
che m’accompagni e rechimi a memoria
una famosa, antica e degna storia.

[Giorgio Manganelli, Un’allucinazione fiamminga. Il Morgante maggiore raccontato da Manganelli, Roma, Socrates 2006, p. 41]