sabato 1 Agosto 2015
Quello che mi affascina dell’invecchiamento è questa diminuzione del potere di agire. A chi potremo dare del “buffone” dal punto di vista della vita? A chi non accetta di invecchiare, a chi non sa invecchiare quando è ora.
[Gilles Deleuze, Cosa può un corpo, traduzione di Aldo Pardi, Verona, Ombre corte 2010, pp. 63-64]
martedì 14 Ottobre 2014
Che cosa significa avere un’idea? Che cosa accade quando si dice: “Ecco, ho un’idea”? Perché, da una parte, tutti sanno che avere un’idea è un evento che accade raramente, è una specie di festa, abbastanza rara.
[Gilles Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione?, a cura di Antonella Moscati, Napoli, Cronopio 2013 (3), p. 9]
domenica 2 Febbraio 2014
L’opera d’arte non è uno strumento di comunicazione. L’opera d’arte non ha niente a che fare con la comunicazione. L’opera d’arte non contiene letteralmente la minima informazione. C’è invece un’affinità fondamentale tra l’opera d’arte e l’atto di resistenza. Questo sì. Essa ha qualcosa a che fare con l’informazione e la comunicazione in quanto atto di resistenza. Qual è questo misterioso rapporto tra un’opera d’arte e un atto di resistenza, se gli uomini che resistono non hanno né il tempo né talvolta la cultura necessaria per avere il minimo rapporto con l’arte? Non so. Malraux sviluppa un bel concetto filosofico, dice una cosa molto semplice sull’arte, dice che è la sola cosa che resiste alla morte. Torniamo al principio: che cosa si fa quando si fa filosofia? Si inventano concetti. Secondo me questa è la base di un bel concetto filosofico. Riflettete… che cos’è che resiste alla morte? Basta guardare una statuetta di tremila anni avanti Cristo per trovare che la risposta di Malraux è in fondo una buona risposta. Si potrebbe dire allora, meno bene, dal punto di vista che è il nostro, che l’arte è ciò che resiste, anche se non è la sola cosa che resiste. Di qui il rapporto così stretto fra l’atto di resistenza e l’opera d’arte. Non ogni atto di resistenza è un’opera d’arte, benché, in un certo senso, lo sia. Non ogni opera d’arte è un atto di resistenza e tuttavia, in un certo senso, lo è.
[Gilles Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione?, a cura di Antonella Moscati, Napoli, Cronopio 2013, pp. 22-23]
mercoledì 2 Gennaio 2013
La coscienza è soltanto un sogno ad occhi aperti. «È così che un bambino crede di desiderare liberamente il latte, un giovane in collera di volere liberamente la vendetta, un pauroso la fuga. Così, persino l’ubriaco crede di dire per libera decisione della mente quelle cose che, fuori da quello stato, vorrebbe aver taciuto».
Inoltre occorre che la coscienza stessa abbia una causa. Capita a Spinoza di definire il desiderio come «l’appetito con coscienza di se stesso». Ma precisa che si tratta solamente di una definizione nominale del desiderio, che la coscienza non aggiunge nulla all’appetito («noi non tendiamo ad una cosa […] per il fatto che la riteniamo buona, ma, […] al contrario, giudichiamo che una cosa sia buona, perché tendiamo ad essa». Occorre dunque pervenire ad una definizione reale del desiderio che mostri, al tempo stesso, la «causa» da cui la coscienza è come scavata nel processo dell’appetito.
[Gilles Deleuze, Filosofia pratica, traduzione di Marco Senaldi, Milano, Guerini e associati 2012 (5), p. 31]
giovedì 23 Febbraio 2012
Allora, anche se effettivamente esistono delle costrizioni, l’artista è colui che – Bergson lo diceva del vivente – muta i limiti in opportunità.
[Gilles Deleuze, Cosa può un corpo. Lezioni su Spinoza, p. 68]
domenica 26 Dicembre 2010
Se gli uomini comprendessero di più, non ci sarebbe bisogno né di obbedire, né di comandare. Purtroppo, il più delle volte gli uomini possiedono conoscenze molto limitate, e allora l’unica cosa che gli si può chiedere è di non impicciarsi in faccende politiche. In alcune pagine molto belle del Trattato teologico-politico, Spinoza dice che l’unica libertà assolutamente inalienabile è la libertà di pensare. Conoscere annulla ogni relazione basata sull’ordine e sull’obbedienza, la dissolve. Il dominio dei segni è il dominio simbolico dell’ordine, del comandamento e dell’obbedienza. Il dominio della conoscenza è il dominio dei rapporti e delle espressioni univoche.
[Gilles Deleuze, Cosa può un corpo, cit., p. 108]
lunedì 6 Settembre 2010
La sua problematica politica centrale, l’unica problematica politica possibile, ancora molto attuale, è: come far reagire l’etica con l’esercizio della politica? La pone in maniera meravigliosa, facendo questa domanda: “Perché le persone si battono per essere schiave?”. Fare dell’etica un fatto politico significa questo. Le persone sono così felici di essere schiave che sono pronte a tutto pur di rimanere in quella condizione. Come spiegare una cosa simile? Questo problema lo affascinava.
[Gilles Deleuze, Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, cit., p. 94]
giovedì 2 Settembre 2010
Pensiamo alla definizione di solletico data da Spinoza: una gioia locale.
[Gilles Deleuze, Cosa può un corpo, cit., p. 57]
mercoledì 1 Settembre 2010
Spinoza designa due poli attraverso cui traccia l’ininterrotta partitura delle variazioni dell’affetto: la gioia e la tristezza. Per lui sono le passioni fondamentali. Ogni passione che implichi la diminuzione della potenza di agire verrà denominata “tristezza” e viceversa “gioia”. Vedremo in seguito come queste conclusioni determineranno l’approccio peculiare di Spinoza alla politica e alla morale, in relazione ad un problema cardine: perché chi detiene il potere ha sempre bisogno che le persone siano affette da tristezza? Le passioni tristi sono necessarie, provocare passioni tristi è essenziale all’esercizio del potere. E Spinoza sottolinea nel trattato teologico-politico come ci sia un legame profondo tra il despota e il prete, poiché entrambi hanno bisogno che le persone assoggettate siano tristi. Spinoza non usa “tristezza” in modo vago, ma in un senso molto rigoroso: tristezza è l’affetto che implica una diminuzione della mia potenza di agire.
[Gilles Deleuze, Cosa può un corpo, Lezioni su Spinoza, cit., pp. 48-49]
martedì 24 Agosto 2010
I passaggi su idea e affetto sono contenuti nella parte II e III dell’Etica. Spinoza vi tratteggia una specie di affresco geometrico della nostra vita che trovo molto, molto convincente. Dice a caratteri cubitali che le nostre idee si succedono costantemente: ad ogni istante un’idea ne caccia un’altra, un’idea ne rimpiazza un’altra. Una percezione è un tipo peculiare di idea, ne vedremo presto il perché. Un attimo fa voltando la testa da quella parte ho visto l’angolo della sala. Ora mi giro ed ho un’altra idea. Vado a spasso in una strada in cui mi conoscono: “Buongiorno Pietro!”, mi giro: “Buongiorno Paolo!”. Oppure sono le cose a cambiare: guardo il sole che cala a poco a poco finché non mi ritrovo al buio. È arrivata la notte. Simultaneità e successione della serie di idee. Detto questo, che succede ora? La nostra vita quotidiana non è fatta solo di idee in successione. Spinoza impiega il temine automaton: siamo, dice lui, degli automi spirituali. Non siamo noi ad avere delle idee ma sono le idee che si affermano in noi.
[Gilles Deleuze, Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, prefazione e cura di Aldo Pardi, Verona, ombre corte 2010, pp. 46.47]