Sorge quindi la domanda

martedì 27 Settembre 2011

Nikolaj Rakuškin, all’età di 15 anni, dopo aver terminato l’ottava classe, lasciò la scuola. Si mise a vivere a spese della nonna pensionata e dei genitori: questi ultimi avevano un contratto di lavoro che li vincolava a risiedere nell’Estremo Settentrione e spedivano ogni mese la somma di 70 rubli destinata al mantenimento del proprio figliolo.
Quando Nikolaj ebbe compiuto il sedicesimo anno di età, fu convocato dalla Commissione per le questioni dei minorenni istituita presso il Comitato esedcutivo del soviet municipale, dove venne invtato a trovarsi un lavoro. Nikolai si disse d’accordo, e accettò l’indirizzo suggeritogli, di lavorare cioè in una fabbrica. Poi, però, si rifiutò di iniziare a lavorare colà, dopo aver comunicato al direttore del personale che il lavoro propostogli non gli andava bene, perchè non presentava per lui prospettive interessanti.
La nonna, d’altro canto, insisteva per cercare di convincere in qualche modo il nipote ad iniziare un lavoro purchessia.
Si preoccupava inoltre, perché Nikolaj aveva cominciato a frequentare cattive compagnie, a bere, a tornare a casa molto tardi, insomma, per dirla con le parole della nonna stessa, «aveva proprio rotto tutti i giuinzagli». La nonna aveva più di una volta fatto presente queste circostanza alla Commissione minorenni. E fu proprio per delibera della Commissione che Nikolaj Rakuškin venne inviato in uno speciale istituto rieducativo per adolescenti, dove rimase fino al compimento della maggiore età.
Tornato a casa, Nikolaj si accinse a partire per le Siberia, dove aveva desiderio di intraprendere la caccia su vasta scala insieme ad uno zio colà residente. Ma il viaggio non ci fu. Lo zio aveva scritto una lettera, nella quale si dichiarava categoricamente contrario all’arrivo di Nikolaj, adducendo la giovane età del nipote e le condizioni particolarmente rigide e pericolose in cui si svolgeva la caccia a quelle latitudini. Continua a leggere »