In una stazione
Starsene seduti su uno zaino in una stazione ad aspettare che passi un treno, non è la felicità?
[Fredrik Sjöberg, Perché ci ostiniamo, traduzione di Andrea Berardini e Fulvio Ferrari, Milano, Iperborea 2018, p. 174]
Starsene seduti su uno zaino in una stazione ad aspettare che passi un treno, non è la felicità?
[Fredrik Sjöberg, Perché ci ostiniamo, traduzione di Andrea Berardini e Fulvio Ferrari, Milano, Iperborea 2018, p. 174]
La riflessione su di sé, scriveva, è spesso una buona cosa, ma se si parla troppo di se stessi alla lunga il prezzo può essere troppo alto. È una di quelle lettere che non dimenticherò mai.
Probabilmente la mai conferenza a Bona si era incentrata soprattutto sull’autore e le sue passioni. L’ansia da prestazione mi ha sempre spinto, a mia memoria, a puntare tutto su una carta sola, e appena il panico allenta la presa – come capita sempre quando mi ritrovo sul palco – il sollievo, il senso di liberazione è tale che tendo ad andare sul personale e dico delle cose del tipo che me ne frego del movimento ambientalista, basta che mi vogliate bene. Guardatemi. Forse non proprio dritto in faccia, ma quanto meno nella mia direzione. Il motivo per cui si dice o si scrive qualcosa, le ragioni profonde, mi interessano più del contenuto concreto. Il perché vince sempre sul cosa, e certi giorni rivolgo questa curiosità verso l’interno. Dunque: perché lo facciamo? Perché ci ostiniamo?
[Fredrik Sjöberg, Perché ci ostiniamo, traduzione di Andrea Berardini e Fulvio Ferrari, Milano, Iperborea 2018, pp. 35-36]
Lo ripeto: il collezionismo rinforza gli argini quando la follia minaccia di far saltare le dighe dell’anima. Non è così raro perdere sia la giusta prospettiva che i propri appigli, per come è fatto il mondo, ma il collezionista ha perlomeno il totale controllo su qualcosa, e di conseguenza un punto fermo nella vita. Provate a far uscire di senno un abitudinario collezionista di – mettiamo – scatole di fiammiferi. Ci si riesce, ma è difficile. Mandare al tappeto un normale spettatore televisivo o un patito di ipermercati è più facile.
[Fredrik Sjöberg, Perché ci ostiniamo, traduzione di Andrea Berardini e Fulvio Ferrari, Milano, Iperborea 2018, p. 14]
Non si può mandare a letto un collezionista di farfalle, per quanto piccolo sia.
[Fredrik Sjöberg, L’arte di collezionare mosche, traduzione di Fulvio Ferrari, Milano, Iperpborea 2015, pp. 136]
Certi giorni mi persuado che il mio compito sia dire qualcosa sull’arte di limitarsi e sulla sua eventuale felicità. E anche sulla leggibilità del paesaggio. Altri giorni sono più cupi. Specchi dappertutto. Come se me ne stessi in coda sotto la pioggia fuori dal campo nudisti intellettuali della letteratura autobiografica. Livido di freddo.
[Fredrik Sjöberg, L’arte di collezionare mosche, traduzione di Fulvio Ferrari, Milano, Iperpborea 2015, pp. 18-19]
Se sei pronto a lasciare padre e madre, fratello e sorella, moglie e figli e amici e a non rivederli mai più, se hai pagato i tuoi debiti e hai scritto il tuo testamento e sistemato tutti i tuoi affari e sei uomo libero, allora sei pronto per una passeggiata.
[Henry David Thoreau, L’arte di passeggiare, in Fredrik Sjöberg, L’arte della fuga, traduzione di Fulvio Ferrari, Milano, Iperborea 2017, p. 148]
Chi giace nella tomba di un poeta? In ogni caso non il poeta, questo è sicuro. Il poeta è morto, altrimenti non avrebbe una tomba. Ma chi è morto non si trova più da nessuna parte, nemmeno nella propria tomba. Le tombe sono ambigue: custodiscono qualcosa e non custodiscono niente. Questo, naturalmente vale per qualsiasi tomba, ma nel caso di quelle dei poeti e degli scrittori c’è anche qualcosa d’altro. C’è una differenza. La maggior parte dei morti tace. Non dice più niente. Ha – letteralmente – già detto tutto. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare. A volte si ripetono. Succede ogni volta che qualcuno legge o recita una poesia per la seconda o per la centesima volta. Parlano anche ai non nati, a che non viveva ancora quando hanno scritto quel che hanno scritto.
Perché si va sulla tomba di una persona che non si è mai conosciuta? Perché ci dice ancora qualcosa, perché dice qualcosa a te, qualcosa che ti risuona ancora nelle orecchie, che ti è rimasta in testa e che probabilmente non riuscirai mai a dimenticare, qualcosa che conosci a memoria e che, di tanto in tanto, a bassa o ad alta voce, ripeti.
[Cees Nooteboom, Tumbas. Tombe di poeti e pensatori. Fotografie di Simone Sansen, traduzione di Fulvio Ferrari, Milano, Iperborea 2015, p. 11]