Provate a ricordarvi la vostra faccia in quel momento

mercoledì 3 Agosto 2016

Gargantua e Pantagurele

Avete mai stappato una bottiglia? Corpo d’un cane! Provate a ricordarvi la vostra faccia in quel momento. E avete mai visto per l’appunto un cane (che, come dice Platone – libro II de Rep. – è la bestia più filosofa del mondo) quando incappa in un osso col midollo? Se l’avete visto, avete anche notato con quale devozione lo guata, con quanta cura lo custodisce, con che fervore lo tiene, con quanta cautela lo intacca, con quale bramosia lo stritola, con quanta diligenza lo succhia.
Chi lo induce a fare questo? Che cosa spera dalla sua fatica? Qual bene ne pretende? Nient’altro che un poco di midollo.

[François Rabelais, Gargantua e Pantagruele recato in lingua italiana da Augusto Frassineti, volume primo, Milano, Bur 2000, p. 15]

Omero

domenica 12 Aprile 2009

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Credete voi in buona fede che Omero, scrivendo L’Iliade e l’Odissea, avesse mai per la mente le allegorie che gli hanno ristoppato sopra Plutarco, Eraclide, Pontico, Eustazio, Fornuto e quel che da costoro ha rubacchiato Poliziano? Se lo credete non vi accostate di un piede né di un pollice all’opinione di chi come me dichiara che Omero ha tanto pensato a quelle allegorie quanto Ovidio nelle sue Metamorfosi ai sacri misteri dell’Evangelio, come prenderebbe un tal Frate Lubino, emerito leccapiedi, sperando di imbattersi, come dice il proverbio, in un coperchio degno del paiolo, cioè a dire in gente matta come lui.

[François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, recato in lingua italiana da Augusto Frassineti, cit., p. 17]

Socrate

venerdì 10 Aprile 2009

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Nel Simposio di Platone si legge che Alcibiade, lodando Socrate suo precettore – e incontestabilmente il principe dei filosofi – lo diceva fra l’altro simile ai Sileni. Sileni eran chiamati a quel tempo certi piccoli vasi quali se ne vedono oggidì nelle botteghe degli speziali, ornati di figure festose e puerili, come satiri, arpie, paperi imbrigliati, lepri cornute, ed altre pitture del genere, contraffatte a piacere per far ridere la gente, proprio come Sileno, maestro dell’ottimo Bacco; ma dentro poi custodivano le droghe più ricercate, come balsamo, ambra grigia, amomo, muschio, zibetto, pietre virtuose, ed altre cose di gran pregio. E così, diceva lui, era Socrate, perché a vederlo di fuori, a giudicarne dall’aspetto, non gli avreste dato una pelle di cipolla, tanto era brutto nel corpo e ridicolo nel portamento. Naso appuntito, sguardo di toro, faccia da mantecatto, disadorno nei modi, rustico nel vestire, povero, sfortunato con le donne, inetto ad ogni pubblica funzione, sempre di umor faceto, sempre a bere in compagnia – uno a me uno a te -, sempre a berteggiare, sempre attento a nascondere il suo divino sapere. Ma poi, chi avesse scoperchiato quel coccio, vi avrebbe scorto all’interno una celeste inestimabile droga: intendimento più che umano, virtù meravigliosa, coraggio invincibile, sobrietà ineguagliabile, facilissima contentatura, lealtà assoluta, e un incredibile disprezzo di tutto ciò per cui gli uomini perdono il sonno, corrono, si arrabattano, vanno per mare e battagliano.

[François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, recato in lingua italiana da Augusto Frassineti, Milano, Bur 1984, p. 13]