Ne parleremo ancora

lunedì 4 Gennaio 2021

C’era anche chi parlava in italiano, specialmente nel dopoguerra, ma ovunque sentivi la voce lombarda, con la sua ironia, con quei toni un po’ rauchi, anche nello straparlare italiano. Una lingua parlata da gente che, come ha scritto Delio Tessa, era «più attenta ai suoni che ai significati», una lingua che ti entrava dentro con i luoghi, con le facce delle persone, con la spinta morale che distingueva la città. Io, poi, abitavo in una zona di immigrati e tra noi si parlava italiano, ma il tono, la forma del dire e del sentire, tra noi bambini, erano già quelli del milanese. Ne parleremo ancora.

[Franco Loi, Da bambino il cielo. Autobiografia, Milano, Garzanti 2010, p. 77]

Me pèrdi

mercoledì 12 Ottobre 2011

Dent la paròla vèrta mí me pèrdi,
deventi i ròbb del mund, l’aria che passa

(Dentro la parola aperta io mi perdo,
divento le cose del mondo, l’aria che passa)

[Franco Loi, Aria de la memoria, Torino, Einaudi 2005, p. 190]

Della città

sabato 10 Aprile 2010

loi

Hai detto bene, «La musica della città». Quand’ero bambino o ragazzo, camminavo per le strade e sentivo il milanese. Forse non avrei mai scritto in milanese, se non ci fosse stata questa simbiosi con la musica della città. C’era anche chi parlava in italiano, specialmente nel dopoguerra, ma ovunque sentivi la voce lombarda, con la sua ironia, quei toni un po’ rauchi, anche nello straparlare italiano. Una lingua parlata da gente che, come ha scritto Delio Tessa, era «più attenta ai suoni che ai significati», una lingua che ti entrava dentro con i luoghi, con le facce delle persone, con la spinta morale che distingueva la città. Io, poi, abitavo in una zona di immigrati e tra noi si parlava italiano, ma la forma del dire e del sentire, tra noi bambini, erano già quelli del milanese. Ne parleremo ancora.

[Franco Loi, Da bambino il cielo, a cura di Mauro Raimondi, Milano, Garzanti 2010, p. 77]

17 aprile – Reggio Emilia

domenica 22 Novembre 2009

Sabato 17 aprile,
a Reggio Emilia,
alla Biblioteca delle arti,
in piazza della vittoria, 5
dalle ore 18 e 30 alle ore 19 e 30 circa,
nell’ambito della rassegna
Come se i libri eran motori
(e chi li leggeva era un meccanico)
si parla di
Da bambino il cielo
(autobiografia)
di Franco Loi
(a cura di Mauro Raimondi)
con Franco Loi e
la redazione dell’Accalappiacani

Neanche un pio

martedì 10 Marzo 2009

Metto qui sotto l’ultima parte (la quinta) del discorso sul dialetto (intitolato Neanche un pio) pronunciato a Bologna il 9 marzo 2009 in occasione di un convegno intitolato Dialetto lingua viva

Parte quinta
(intitolata Franco Loi e le caccole)

Quest’estate ho sentito Umberto Fiori che cantava delle canzoni che il testo di queste canzoni erano i versi in milanese di Franco Loi. Prima di cantare Fiori leggeva la traduzione in italiano, e diceva che la traduzione italiana è difficile, che arrivi al dialetto, per esempio Balabiot, dice Fiori, come fai a tradurlo, vuol dire uno che balla nudo, si può tradurre con innocente, ma vuoi mettere Innocente con Balabiot?
Non c’è niente da fare, il dialetto ha un’espressività, anche il parmigiano, per dire, per significare che qualcosa è asciutto, o che uno è dimagrito molto si dice l’è sut c’me na bresca, è asciutto come una caccola, per dire che qualcosa puzza si dice al spusa c’me n’endes, puzza come un indice, che gli indici erano le uova che mettevano nei pollai per indicare alle galline il posto dove fare le uova, e dopo un po’ marcivano, e puzzavano allora, per dire che uno è alto si dice l’e alt come na picca, è alto come una picca, per dire che una cosa costa molto si dice l’e car c’me al chiné, è caro come il chinino, per dire che una cosa non serve a niente si dice l’è gram cme al smoj, è gramo come lo smoglio, e al smoj, lo smoglio, che poi questa parola smoglio probabilmente in realtà non esiste, al smoj era l’acqua che restava dopo aver fatto il bucato con la cenere, che non serviva a niente, era da buttar via, gram c’me l smoj. Non so, per dire che una cosa è lacera, e vecchia, e povera, a Parma si dice L’e trid c’me l’Albania, è trito come l’Albania, e han cominciato a dirlo probabilmente quelli che avevano fatto la guerra e eran tornati dall’Albania e l’Emilia, all’epoca, primo novecento, era un posto povero, ma l’Albania.
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Il mondo

giovedì 20 Novembre 2008

E lì, il mondo,
e sembra quasi aspettarsi
che tu lo guardi,
che gli dài retta,
che lui, c’è sempre

(è l’inizio di una poesia di Loi, trascritta a memoria, dopo averla sentita ieri sera, al teatro Valli, nella sua versione italiana)

Ieri sera

giovedì 20 Novembre 2008

Ieri sera stavo aspettando l’autobus per andare a Reggio Emilia a veder Franco Loi che leggeva dentro un teatro. Intanto che aspettavo ho chiamato un mio amico per chiedergli se veniva anche lui.
Il mio amico mi ha detto che non poteva venire che doveva andare a sentire un concerto di Sollima e poi mi ha detto che aveva visto che andavo a Roma, e visto che ero a Roma mi consigliava a di andare a vedere la mostra di Munari che c’era lì.
Io gli ho detto che non avrei potuto perché a Roma non sarei potuto arrivare prima delle 6 di sera, alle sette avrei avuto la lettura, alle sette del giorno dopo sarei andato in una radio a fare una trasmissione fino alle 9, alle 9 e mezzo avrei avuto il treno che mi avrebbe riportato a Bologna dove avrei dovuto essere entro l’una che avevo poi un altro impegno.
È un periodo così, gli avevo detto a quel mio amico, pensa che poco fa, son tornato a casa di corsa, ho risposto alla posta elettronica, ho preparato la borsa, sono uscito, quando son stato sulla porta mi sono accorto che ero in anticipo di un’ora. Dovevo uscire alle 18 e 30, eran le 17 e 30.

Poeta

martedì 18 Novembre 2008

Domani sera, a Reggio Emilia, al teatro Valli, c’è Franco Loi.
Franco Loi l’ho sentito l’altra estate, in Sardegna, che diceva, più o meno, di esser stato poeta solo due volte, nella sua vita, una volta nel 1971, per un mese, e un’altra volta, qualche giorno, nel 1974.
E non so, a me è piaciuta molto, questa cosa.

Lanciostory

venerdì 31 Ottobre 2008

Ieri tornando a casa, dopo aver fatto la spesa, avevo nella testa una canzone di un gruppo che a me non piace tantissimo, i Litfiba, la canzone credo si intitoli È il mio corpo che cambia, o qualcosa del genere.
Non è una brutta canzone, ma non è una canzone memorabile, e intanto che lavavo le tazzine del caffè mi dicevo che le canzoni fan questo effetto, ti restano attaccate molto più dei libri che leggi, anche se sei uno che, se dovessi dire, diresti che ti piacciono più i libri, della canzoni.
Poi stanotte, dopo aver visto un film di Woody Allen che sembrava un fumetto di Lanciostory, mi è tornato in mente Franco Loi, la prima volta che l’ho sentito leggere Tessa, che faceva Titirlìk, titirlèk, titirlìk, titirlèk. Titirlìk, titirlèk, titirlìk, titirlèk. Titirlìk, titirlèk, titirlìk, titirlèk.